100 MILA LAVORATORI STRANIERI ALL'ANNO FINO AL 2015: E' IL FABBISOGNO SECONDO IL MINISTERO DEL LAVORO

10 Mar 2011

  100 MILA LAVORATORI STRANIERI ALL’ANNO FINO AL 2015: E’ IL FABBISOGNO SECONDO IL MINISTERO DEL LAVORO

Nel periodo 2011-2015 il fabbisogno medio annuo di manodopera dovrebbe essere pari a circa 100 mila, mentre nel periodo 2016-2020 dovrebbe portarsi a circa 260 mila. Questa la stima fornita dal rapporto “L’immigrazione per lavoro in Italia: evoluzione e prospettive” del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali che illustra il quadro dell’occupazione nel nostro paese negli anni della crisi delineando futuri sviluppi. 0 dovrebbe portarsi a circa 260 mila”.

Il rapporto fornisce anche anche alcuni dati di sintesi sul fenomeno migratorio, che di seguito riportiamo.

La crescita demografica europea nell’ultimo decennio è trainata dalla componente immigrata e prosegue anche nel 2009

Al 2009 la popolazione straniera presente nell’Unione europea ammonta a poco più di 32 milioni, il 6,4% della popolazione complessiva (circa 500 milioni).

È la Germania a registrare la presenza straniera più numerosa (22,4%) seguita dalla Spagna (17,6%), dalla Gran Bretagna (13,1%), dall’Italia (12,1%) e dalla Francia (11,6%). Questi 5 paesi da soli raccolgono quasi l’80% della popolazione immigrata presente nei 27 paesi che compongono l’Unione europea.

Tra il 2000 e il 2008 l’incremento demografico osservato nell’UE è trainato dalla componente straniera. Questa varia del 3,7% a fronte di un aumento della popolazione complessiva dello 0,6%. La popolazione straniera continua la sua crescita anche durante la recessione economica del 2009: +4,3% rispetto al +0,4% totale.

Tra i primi 5 Paesi per presenza immigrata, Spagna e Italia sono quelli che, sia nel periodo precedente la crisi che nel 2009, osservano una crescita più sostenuta, con un incremento notevole dell’incidenza degli stranieri: per la Spagna questa passa dal 2% del 2000 al 12,3% del 2009; per l’Italia dal 2,2% al 6,5%. Germania e Francia che già al 2000 segnano una quota elevata di stranieri vedono una variazione della popolazione immigrata praticamente nulla.

La crescita della popolazione dell’Italia nell’ultimo decennio è stata trainata

dagli immigrati

Fino a metà degli anni ’80 la crescita della popolazione straniera in Italia ha registrato un andamento costante del 7%. Negli anni ’90 questa è passata da 500 mila a oltre 1 milione. Il vero cambio di marcia si ha però a metà anni duemila, quando la popolazione straniera raddoppia passando da 2 milioni a 4,3 milioni.

La crisi economica ha interrotto il processo di crescita dell’occupazione che ha caratterizzato molti paesi europei negli anni duemila

Nei cinque anni precedenti la crisi economica (tra 2003 e 2008) quasi tutti i Paesi europei si sono caratterizzati per un aumento sostenuto dell’occupazione. In molti di essi tale crescita è stata trainata dalla componente immigrata. Irlanda, Spagna, Italia e Gran Bretagna registrano, in questo periodo, tassi di variazione degli occupati stranieri superiori al 10%, a fronte di aumenti complessivi tra l’1 e il 3%. La crisi economica ha interrotto questo processo di crescita. Tra il 2008 e il 2010 gli occupati stranieri nell’Unione europea sono diminuiti dello 0,8% contro una flessione complessiva del 2,4%

La dinamica recente in Italia negli anni della crisi (2008-2010)

In Italia, secondo i dati Istat, il bilancio nei due anni della crisi (2009 e 2010) indica una

perdita di 554 mila posti di lavoro (realizzata per più di due terzi nel primo anno), ripartiti tra un calo degli occupati italiani pari a circa 863 mila unità (-4,0%) ed ad una crescita dell’occupazione immigrata di 309 mila unità (+17,6%). A questo si aggiunge la diminuzione del tasso di occupazione, l’incremento del tasso di disoccupazione e del numero di persone in cerca di occupazione sia per gli italiani che per gli stranieri.

Tra il 2008 e il 2010, a fronte di un leggero calo della popolazione italiana dai 15 anni in su (-63 mila, -0,1%), si è registrato un aumento significativo di quella straniera (+626 mila, +24,4%). Tali dinamiche demografiche si riversano sull’occupazione in modo diverso. Nel caso degli italiani alla diminuzione del numero di occupati (-863 mila) si accompagna l’incremento dei disoccupati (+281 mila) e degli inattivi (+519 mila). Nel caso degli stranieri l’aumento della popolazione si riversa in ognuno dei tre aggregati: occupati (+309 mila), disoccupati (+104 mila) e inattivi (+213 mila).

Crescono i disoccupati sia italiani che stranieri

Negli ultimi due anni il numero di disoccupati presenti in Italia è passato da 1,7 milioni del 2008 ad oltre 2 milioni nel 2010. L’aumento ha riguardato per 281 mila unità la componente italiana e per 104 mila quella straniera, con un variazione percentuale superiore al 60%, concentrato soprattutto nel primo anno di crisi. Più contenuta, ma di ampiezza rilevante, la crescita della componete italiana (+18,4%) che nel primo anno di crisi ha visto il 62,6% dei licenziamenti.

Senza ombra di dubbio sono i maschi i più colpiti dalla crisi. Infatti l’incremento delle persone in cerca di occupazione è pari al 34,6% tra il 2008 e il 2010, contro l’11,6% registrato dalle femmine. Variazione percentuale che si fa consistente tra gli stranieri: +101,5% e +37,9% rispettivamente per maschi e femmine, contro il 28,7% e l’8,4% degli italiani. All’incremento delle persone straniere in cerca di occupazione si affianca una crescita consistente del tasso di disoccupazione.

L’utilizzo degli ammortizzatori sociali: CIG, indennità di disoccupazione e di mobilità

Il 2009 e il 2010 si sono caratterizzati per la crescita delle ore concesse di cassa integrazione guadagni superando anche i valori raggiunti con la crisi del 1984 e del 1993. I lavoratori coinvolti sono risultati circa 554 mila nel 2009 e 729 mila nel 2010 pari rispettivamente a circa il 3 e il 4% dei lavoratori complessivi. Accanto alla cassa integrazione si sono registrati incrementi considerevoli del numero di beneficiari l’indennità di mobilità e di disoccupazione concesse a seguito del licenziamento del lavoratore.

I beneficiari stranieri dell’indennità di mobilità nel 2009 si sono incrementati del 28,9% a fronte di una crescita complessiva del 9,6% e della componente italiana dell’8,3%.

Per quanto riguarda la disoccupazione non agricola l’aumento dei percettori stranieri è

risultato del 65,4% nel caso di requisiti ordinari e del 3,3% per i requisiti ridotti. I corrispondenti incrementi per gli italiani si sono attestati su tassi inferiori e per i requisiti ridotti si è osservata una diminuzione dei beneficiari. Infine osservando la disoccupazione agricola, a fronte di una diminuzione dei beneficiari italiani vi è stato un incremento di quelli stranieri, del 16,8% nel caso di requisiti ordinari e del 39,1% per quelli ridotti.

La fonte delle Comunicazioni Obbligatorie (CO)

Il Sistema informatico delle Comunicazioni Obbligatorie (CO) contiene i dati raccolti in maniera continuativa dai datori di lavoro. Sono dati di natura amministrativa e riguardano l’universo dei rapporti di lavoro a carattere dipendente o parasubordinato comunicati da tutte le unità produttive localizzate sul territorio nazionale. Nel 2009 il sistema CO ha registrato un saldo modesto o negativo per molte categorie

A spiegare la crescita occupazionale del 2009 sono essenzialmente i settori del terziario a maggiore componente femminile: alberghi e ristoranti, istruzione, sanità e no profit. Il 2010 si profila come un anno di transizione in cui si stabilizzeranno i processi iniziati l’anno precedente, con flebili segni di ripresa.

L’invecchiamento della popolazione ha reso negativo il saldo occupazione tra generazioni

Si può affermare che, negli ultimi 20 anni, l’invecchiamento della popolazione italiana e

la crescita della scolarizzazione dei giovani che entrano più tardi nel mercato del lavoro hanno creato molti spazi vuoti nelle forze di lavoro.

Fino al 2000 in Italia il saldo tra generazioni era positivo e quindi non vi era alcun fabbisogno occupazionale aggiuntivo dall’estero. Da quell’anno si affaccia un crescente disequilibrio tra generazioni: al 2004 a fronte di 2,120 milioni di potenziali uscenti vi erano 1,671 milioni di potenziali entranti, con un fabbisogno da coprire di 449 mila posti di lavoro in teoria lasciati vacanti. Il divario è andato allargandosi nel 2008. A questi spazi vuoti di lavoro si è fatto fronte con la maggiore partecipazione delle donne e della popolazione più anziana (oltre i 54 anni) e con il flusso di lavoratori stranieri (che ha aumentato di intensità negli ultimi 10-15 anni).

In assenza di flussi migratori (in ipotesi di evoluzione naturale della popolazione) le dinamiche appena descritte sono destinate a proseguire. Il dato più rilevante risulta essere il continuo invecchiamento della popolazione: la quota di persone non età da lavoro anziana (oltre i 64 anni), infatti, ammonterebbe al 23,2% del totale al 2020, contro il 13% dei giovani (meno di 15 anni). La popolazione in età lavorativa (15- 64 anni) si assottiglierebbe ulteriormente (63,8%) e risulterebbe mediamente più vecchia: nel 2020 ci sarebbe il 25,9% dei residenti tra i 15 e i 39 anni, nettamente inferiore al 30,9% segnato dieci anni prima, mentre la quota dei residenti tra i 40-64 anni si porterebbe al 37,9%, rispetto al 34,9% del 2010, accrescendo ulteriormente il divario rispetto alla classe di età immediatamente più giovane.

Le previsioni del fabbisogno di manodopera

Il fabbisogno di manodopera è legato contemporaneamente alla domanda e all’offerta

di lavoro.

Sono molte le variabili che possono influire sia sul lato della domanda di lavoro, che da

quello dell’offerta. Sul primo versante per esempio: il ciclo economico, la produttività, il

rapporto di convenienza tra fattori produttivi e i costi indiretti legati alla tutela dei lavoratori (costi di assunzione, di previdenza, ecc.). L’offerta invece viene condizionata da variabili di tipo economico, demografico, sociale, logistico e normativo.

Il modello proposto perciò prevede la stima indipendente di domanda e offerta di lavoro e il loro incrocio determinerà l’eventuale fabbisogno di manodopera. Dal lato dell’offerta si prevede tra il 2010 e il 2020 una diminuzione della popolazione in età attiva (occupati più disoccupati) tra il 5,5% e il 7,9%: dai 24 milioni e 970 mila del 2010 si scenderebbe a una valore compreso tra i 23 milioni e 593 mila e i 23 milioni circa nel 2020. Dal lato della domanda gli occupati crescerebbero in 10 anni ad un tasso compreso tra lo 0,2%e lo 0,9%, arrivando nel 2020 a quota 23 milioni e 257 mila nel primo caso e a 24 milioni e 902 mila nel secondo.

Sono state fatte tre ipotesi di fabbisogno: un’ipotesi minima, un’ipotesi di massima e

l’ipotesi più probabile.

Nello scenario di minimo fabbisogno si stima che non ci sarà praticamente necessità di ulteriore manodopera almeno per i prossimi dieci anni. Tuttavia è un mercato ben distante dalla realtà attuale, verso il quale si può al massimo “tendere”, peraltro non senza rischi, come ad esempio quello di acuire ulteriormente il divario territoriale Nord-Sud. L’ultimo scenario risulta il più probabile perché si pone in mezzo tra quello di minimo e quello di massimo: nel periodo 2011-2015 il fabbisogno medio annuo dovrebbe essere pari a circa 100 mila, mentre nel periodo 2016-2020 dovrebbe portarsi a circa 260 mila.

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