L'ITALIA NON RECEPISCE LA DIRETTIVA RIMPATRI. LE CONSEGUENZE PER I CITTADINI STRANIERI PRESENTI IRREGOLARMENTE

12 Gen 2011

 

L’ITALIA NON RECEPISCE LA DIRETTIVA RIMPATRI. LE CONSEGUENZE PER I CITTADINI STRANIERI PRESENTI IRREGOLARMENTE

L’Italia non ha recepito la Direttiva 2008/115/CE riguardante le norme e le procedure comuni applicabili negli Stati membri per il rimpatrio di extracomunitari in caso di soggiorno irregolare. Il termine ultimo era il 24 dicembre 2010. Sugli effetti del mancato recepimento segnaliamo alcuni commenti apparsi su diversi siti.

TRATTO DA ARCIREPORT/L’ITALIA NON RECEPISCE LA DIRETTIVA RIMPATRI CHE IN MOLTI PUNTI CONTRASTA CON LA NOSTRA LEGISLAZIONE

Nel dicembre 2008 il Parlamento europeo e il Consiglio hanno approvato la direttiva «recante norme e procedure comuni applicabili agli Stati membri di rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare» (direttiva rimpatri). Agli Stati è stato concesso il termine del 24 dicembre 2010 per adeguarsi agli obblighi che ne derivano. Le organizzazioni di tutela dei diritti umani l’hanno subito ribattezzata ‘direttiva della vergogna’ perché ha introdotto nel diritto comunitario norme sino ad allora ritenute incompatibili con i valori fondanti dell’Unione: si è previsto un periodo di detenzione amministrativa per i migranti irregolari fino a 18 mesi, si è stabilita la possibilità di espulsione ed il trattenimento dei minori non accompagnati, così come delle famiglie con minori in violazione delle convenzioni internazionali e soprattutto, per la prima volta, è stata normata la possibilità di deportare migranti irregolari nei paesi di transito. Ma la direttiva, pur con tutti i suoi limiti, rende incompatibile con le norme comunitarie la disciplina delle espulsioni e la sussistenza del reato di clandestinità regolate dalla nostra pessima legislazione.

È forse questo il motivo per cui l’Italia non l’ha ancora recepita formalmente, rischiando la procedura di infrazione.

Tuttavia la direttiva dal 25 dicembre ha effetti nel nostro ordinamento. Primo fra tutti quello di rendere incompatibile il sistema di norme del T.U. che prevede come regola l’accompagnamento coattivo alla frontiera e il trattenimento nei Cie e, se non fosse possibile procedere al trattenimento, un ordine di allontanamento con termine di cinque giorni per lasciare il territorio nazionale.

La direttiva prevede la gradualità delle misure coercitive lesive della libertà personale del migrante e determina il ricorso al trattenimento nei Cie come ‘ultima ratio’ qualora non possano «essere efficacemente applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive». In particolare sono incompatibili con la direttiva le norme del T.U. che prevedono la reclusione per il migrante che, colpito dall’ordine di allontanamento del questore, non abbia lasciato il territorio nazionale entro il termine di cinque giorni. Il giudice interno dovrà quindi o rilevare l’incompatibilità delle norme e ritenerle non applicabili, pronunciando sentenza di assoluzione perché il fatto non costituisce reato, ovvero sospendere il procedimento e rinviare gli atti alla Corte di giustizia. Incompatibile con la direttiva è anche il reato di clandestinità introdotto con il pacchetto sicurezza 2009, reato creato ad hoc all’indomani della direttiva con il preciso intento di sottrarre l’Italia alla disciplina comunitaria dei rimpatri. La previsione di una autonoma fattispecie di espulsione come ‘sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale’ lascerebbe infatti il governo libero di scegliere di non applicare la direttiva. II reato di clandestinità, però, contrariamente a quanto disposto dalla direttiva, introduce una ‘sanzione penale’ come autonoma fattispecie di espulsione solo in relazione alla condizione di irregolarità del migrante sul territorio nazionale, laddove la direttiva prevede questa sanzione penale, con la conseguente non applicazione della direttiva, esclusivamente per allontanarei migranti condannati per fatti diversi dalla loro condizione di irregolarità.

Una diversa interpretazione porterebbe ad una macroscopica violazione dell’obbligo di standstill, ossia del divieto per gli Stati membri di adottare misure in contrasto con gli obiettivi di una direttiva o che ne ostacolino

l’attuazione.

In conclusione l’introduzione dell’ articolo 10 bis configura un tentativo di aggirare l’obbligo di interpretare il diritto interno in maniera conforme a quanto prescritto nelle direttive. Abbiamo oggi, con la direttiva rimpatri, più strumenti per rendere non più applicabili sulla pelle dei migranti le norme razziste introdotte da questo governo.

A noi tutti il compito di informare, denunciare ed assistere giudizialmente i cittadini migranti. (tratto da arcireport n.1 dell’11 gennaio 2011,

http://www.arci.it/speciale/editoriale/resistere_e_rilanciare/index.html)

MELTINGPOT/DIRETTIVA RIMPATRI E STATO DI DIRITTO – UN COMMENTO ALLA LUCE DELLA CIRCOLARE MANGANELLI DEL 17 DICEMBRE

di Fulvio Vassallo Paleologo, Università di Palermo

  1. Il 24 dicembre 2010 è scaduto il termine di attuazione della Direttiva 2008/115/CE sui rimpatri, senza che l’Italia vi desse attuazione. Per effetto del consolidato diritto comunitario, una volta scaduto il termine di attuazione, fatta salva la responsabilità dello stato per i danni derivanti da tale omissione, la Direttiva può comunque essere utilizzata dal giudice interno, che può disapplicare le norme interne che risultino contrastanti, costituendo un criterio prevalente di interpretazione della complessiva normativa previgente. … LEGGI http://www.meltingpot.org/articolo16169.html

STRANIERI IN ITALIA/DIRETTIVA RIMPATRI. LE INDICAZIONI DEL MINISTERO

Il Ministero dell’Interno fornisce le prime indicazioni per le espulsioni a seguito del mancato recepimento della Direttiva sui rimpatri. LEGGI http://www.stranieriinitalia.it/normativa-direttiva_rimpatri_le_indicazioni_del_ministero_12312.html

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