“QUESTA CITTADINANZA S'HA DA FARE …”

10 Mar 2011

 

QUESTA CITTADINANZA S’HA DA FARE …”

Una riflessione suggerita dall’indagine Istat sulle famiglie con stranieri

di Fabio Mosca

L’ISTAT ed il Ministero delle politiche sociali hanno recentemente licenziato alcune tabelle argomentate relative alle famiglie con stranieri presenti in Italia.

I dati riportati si basano su indicatori di disagio economico e sono relativi al 2009; i più rilevanti riguardano indici di disagio legati alla condizione abitativa ed alla mancanza di beni essenziali per una minima qualità del vivere.

Queste condizioni del vivere sono comparate tra etnie di appartenenza delle famiglie e tra queste e le famiglie autoctone.

A mio avviso dalla pubblicazione di questa ricerca non si ricavano novità rilevanti, le condizioni illustrate sono già abbondantemente conosciute, ma ogni indagine può essere utile, se non altro per avviare ulteriori riflessioni.

Che nel nostro Paese il problema dell’alloggiare, del pagare l’affitto e più in generale della casa fosse indice di grande differenza tra le famiglie italiane e le famiglie straniere è dato ampiamente noto, come è già noto che l’aspirazione a condizioni di vita decenti è meno sentita dalle nuove famiglie che devono affrontare il ruvido percorso di inserimento in un paese ospitante, troppo spesso ostile.

Dovrebbe far riflettere il dato che ci dice come nel sud del Paese gli indici di deprivazione materiale tra famiglie straniere ed italiane siano meno ampi che nel resto d’Italia.

Dovrebbe essere monito per tutti prendere atto che in quelle regioni sembrano essere più rilevanti la solidarietà ed il mutuo sostegno tra diversi, mentre in altre parti del Paese sembra essere più aderente alla realtà la solidarietà tra le appartenenze etniche e la distanza dalle istituzioni locali.

Credo però utile una riflessione che prenda spunto dai dati documentati facendoli vivere nella realtà, partendo proprio dal puzzle etnico derivante dalla grande varietà di flussi che arriva nel nostro Paese (l’Italia è stato un paese coloniale per modo di dire ed in ogni caso il suo colonialismo è stato più breve e differente da quello inglese e francese e quindi non attrattivo per gli abitanti delle colonie).

I numeri non sono asettici, possono rivelare l’andamento di una società che sta diventando sempre più multietnica e che può oggi contare per non decadere su giovani, figli di famiglie immigrate, che ne possono rappresentare il futuro.

Il premier inglese David Cameron e la cancelliera tedesca Angela Merkel hanno acceso in queste settimane una discussione nuova sul multiculturalismo: con la crisi del multiculturalismo in Europa sarebbe andato in crisi il sogno della convivenza.

Credo che quando entrano in gioco i rapporti tra culture diverse all’interno della stessa società occorra evitare semplificazioni e schematismi. Non ci si può riferire solo a tentazioni basate su schemi già in qualche modo vissuti: assimilazionismo e multiculturalismo.

Due “atteggiamenti contrapposti che nelle loro visioni più intransigenti diventano irrealistici e quindi fallimentari”.

Il multiculturalismo infatti può esistere solo se contemporaneamente si rafforza l’unità nazionale sul piano sociale ed economico, ma anche sul piano di valori condivisi che fondano l’appartenenza alla cittadinanza ed alla identità collettiva. Qui le tabelle ISTAT ci aiutano.

Viviamo in un mondo mobile, le nazioni europee continuano inevitabilmente ad accogliere i migranti che lasciano il loro paese in cerca di libertà e di lavoro.

Li accogliamo perché ne abbiamo bisogno, ma la presenza delle diverse culture produrrà confronto e crescita per tutti.

Per raggiungere l’obiettivo di una identità collettiva non è sufficiente la tolleranza : servono leggi nazionali che sappiano andare oltre la “provenienza” ma che sappiano rafforzare la concittadinanza, dove sia possibile riconoscere le differenze culturali. “Occorre essere uguali e differenti”.

Qui si gioca la sfida . Solo così si possono contrastare contemporaneamente il “comunitarismo e la xenofobia”.

Scrive Jurgen Habermans “Se concepiamo in questo modo l’ancoraggio particolaristico, esso non toglie un’oncia di universalismo né alla sovranità popolare né ai diritti dell’uomo”.

Allora, interpretando le tabelle ISTAT, appare evidente la grande opportunità rappresentata dalla presenza in Italia di famiglie straniere, la loro giovane età, la loro capacità di lavoro, il sostegno alla previdenza per tutti, la loro voglia di concittadinanza può diventare la strada maestra per una nuova identità collettiva, ribaltando pregiudizi radicati.

Quando l’atteggiamento nei confronti dei nuovi arrivati non è conflittuale succede “che nel giro di una generazione le differenze si smussano, succede che questi ragazzi arrivati in Emilia Romagna con i genitori in poco tempo parlino bene l’italiano, che chi attraversa i cicli della scuola dell’obbligo si senta italiano”, mentre non lo sono per la nostra respingente legge in vigore.

Se è così, ed i dati ISTAT sembrano dimostrarlo, vanno pensate politiche che sostengano le famiglie italiane e le famiglie straniere.

La famiglia può diventare la via maestra verso la “buona integrazione”. La casa e la scuola pubblica diventano essenziali.

Ancora, le tabelle ISTAT illustrano come “in generale le abitazioni delle famiglie con stranieri risentono maggiori problemi di sovraffollamento”, come “siano più complicate le modalità di accesso al mercato dell’abitazione”, come “questo renda più difficile vivere insieme e non soli”.

Sono quindi necessari interventi a sostegno di chiare politiche abitative che mirino a migliorare le condizioni attuali delle famiglie straniere e a favorire il loro inserimento nel contesto urbano. Così come il sostegno alle famiglie in cui “la presenza di minori acuisce le difficoltà economiche delle stesse”.

E’ amaro dover ricordare che in qualche realtà amministrata dalla Lega si è impedito agli alunni l’accesso alla mensa, perché i loro genitori non potevano pagare la retta. Nella stragrande maggioranza quei bambini erano figli di stranieri.

Sono convinto che abbia molta, molta ragione Marco Lodoli che sulla Repubblica di giovedì 3 marzo scrive : “Per tenere insieme la società c’è solo la scuola pubblica. E’ commovente vedere come i ragazzi italiani ed i ragazzi che in Italia sono arrivati da lontano riescano a stare insieme, a capirsi, a spiegarsi, questa solidarietà c’è tra tutti quanti, questi discorsi crescono insieme e si intrecciano al futuro. Bisogna solo rendere la nostra scuola più bella, perché sia il fondamento di una società giusta: bisogna credere in questi ragazzi, proteggerli, farli crescere bene”, anche se non hanno risorse appropriate.

Ci riusciremo, spero di sì, a partire dal 12 marzo, il giorno della manifestazione dedicata alla difesa della Costituzione e della scuola pubblica.

Ci riusciremo se sapremo cogliere il significato della lettura congiunta di giovani di origine straniera e rappresentanti del mondo della cultura e dello spettacolo che in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia leggeranno insieme a Roma, nel Tempio di Adriano, brani da “I Promessi Sposi”.

Sì, “questa cittadinanza s’ha da fare”: identità, unità, cittadinanza sono il futuro del Paese.

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