NOTA INFORMATIVA PER LA TUTELA DEI CITTADINI NORDAFRICANI RECENTEMENTE GIUNTI IN ITALIA

04 Mag 2011

 

Pubblichiamo una nota del Avv. Luca Santini, dell’INCA Nazionale, sulla situazione dei cittadini nord africani giunti in Italia in questi ultimi mesi. Nella nota, tra l’altro, vengono affrontati i segueni punti: richiesta del permesso di soggiorno per motivi umanitari non presentata nei termini previsti dal DPCM; possibilità di attività lavorativa con il permesso umanitario; possibilità di conversione del permesso umanitario in permesso di soggiorno per lavoro subordinato; libertà di circolazione nell’ambito del territorio dell’Unione Europea.

NOTA INFORMATIVA PER LA TUTELA DEI CITTADINI NORDAFRICANI RECENTEMENTE GIUNTI IN ITALIA

dell’avv. Luca Santini, dell’Inca Cgil nazionale

L’avvio in questi mesi di nuovi processi politici in molti paesi arabi, alcuni dei quali come la Tunisia o la Libia a pochi chilometri dei nostri confini e dalla nostre coste, comincia già a produrre fenomeni sociali di assoluto rilievo, tra i quali va certamente annoverata la ripresa massiccia di flussi migratori indirizzati per il momento in modo prevalente verso l’Italia (seppure forse solo in quanto luogo di transito verso mete dell’Europa continentale).

L’arrivo largamente imprevisto di diverse migliaia di cittadini maghrebini (e in particolare tunisini) ha indotto la creazione di prassi amministrative inedite (alcune delle quali come tra breve si vedrà palesemente prive di una plausibile base legislativa). Si tenterà delle righe che seguono di fissare gli elementi conoscitivi indispensabili per una prima tutela dei cittadini immigrati… .

Dopo un periodo di disorientamento e di molte incertezze di fronte all’emergenza il Governo ha deciso di fronteggiare la questione con spirito di accoglienza, stabilendo il rilascio di un permesso per motivi umanitari avente validità fino a sei mesi in favore dei “cittadini appartenenti ai Paesi del Nord Africa”. Questa misura è stata adottata mediante il DPCM 5 aprile 2011 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale l’8 aprile 2011), nella cornice legislativa di cui all’art. 20 del TU 286/98 il quale prevede che: “con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri … sono stabilite … le misure di protezione temporanea da adottarsi, anche in deroga a disposizioni del presente testo unico, per rilevanti esigenze umanitarie, in occasioni di conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in Paesi non appartenenti all’Unione europea”. Il decreto in questione ha disposto la concessione di un permesso di soggiorno per tutti gli immigrati giunti sul territorio nazionale a partire dal 1° gennaio 2011 e fino alla mezzanotte del 5 aprile 2011.

Una prima perplessità attiene proprio alla rigida indicazione di queste scadenze temporali, al di fuori delle quali parrebbe radicalmente esclusa qualsiasi forma di tutela, sicché il nord africano giunto in Italia poco prima del 2011 e poco dopo il 5 aprile 2011 non dovrebbe ottenere alcuna forma di tutela. Per scongiurare questi esiti palesemente irragionevoli occorrerà addivenire a una interpretazione “più morbida” del decreto, per cui coloro che siano giunti in Italia entro l’ambito temporale descritto avranno senza dubbio diritto al rilascio del permesso di soggiorno, negli altri casi potranno invece beneficiare di una valutazione personalizzata e individuale, che tenga conto di tutte le specificità del caso. Non è infatti precluso agli immigrati, anche se giunti al di fuori dei limiti temporali indicati nel decreto, di chiedere nelle forme ordinarie la “protezione internazionale”, che come noto può tradursi oltre che nel riconoscimento dello status di rifugiato politico, anche in forme diverse di tutela, quali la protezione sussidiaria o il rilascio di un permesso per motivi umanitari. Ebbene, c’è da attendersi (e in caso contrario dovranno essere esperiti gli opportuni rimedi giurisdizionali) che le Commissioni territoriali chiamate a decidere sulle domande di protezione dei cittadini nord africani terranno conto della conclamata verificazione di “eventi di particolare gravità” che per loro natura non possono giungere a soluzione nell’arco di una giornata. Sicché le domande dei richiedenti la protezione giunti in Italia appena dopo il 5 aprile 2011, anche se non potranno essere trattate mediante gli automatismi previsti del DPCM, tuttavia dovrebbero ben incontrare un trattamento benevolo da parte dalle Commissioni. Detto in altri termini il DPCM dovrebbe avere la funzione di orientare la prassi, specie in assenza, come è appunto il caso fino ad oggi, di particolare eventi politici nei contesti d’origine che possano avere un ruolo di “rottura” con la grave ed emergenziale situazione pre-esistente.

Un secondo problema applicativo riguarda le modalità di prova dell’ingresso in Italia nell’arco temporale preso in considerazione dal DPCM. Il decreto stesso non offre indicazioni al riguardo e anche le successiva circolare esplicativa del Ministero dell’Interno prot. 2990 del 8.4.2011 si limita a dire che per l’accertamento della data di arrivo dello straniero ci si baserà sull’eventuale inserimento della data di foto segnalamento effettuato nel corso delle operazioni di identificazione dell’interessato a seguito di sbarco sulle coste italiane, oppure sulla valutazione di “ogni altra documentazione fornita dallo straniero a tal fine”. Appare evidente l’ampio spazio di manovra lasciato agli uffici periferici, le cui prassi dovranno essere attentamente monitorate, fermo il fatto che in considerazione della natura dei permessi di soggiorno da rilasciare e della conclamata situazione di emergenza umanitaria nei paesi d’origine, il beneficio del dubbio dovrà essere valutato a favore dello straniero.

Il permesso di soggiorno per motivi di protezione umanitaria va richiesto, secondo quanto stabilito nel DPCM, entro otto giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Dunque entro il 16 aprile 2011, oppure se si considerano gli “otto giorni” nel senso di “otto giorni lavorativi”, la scadenza verrebbe prolungata fino al 18 aprile 2011. Il termine indicato deve comunque ritenersi di natura ordinatoria, in analogia con quanto previsto per la generalità dei casi dall’art. 13, comma 2, lettera b) del TUI secondo il quale: “l’espulsione è disposta dal prefetto quando lo straniero si è trattenuto nel territorio dello Stato … senza aver richiesto il permesso di soggiorno nei termini prescritti, salvo che il ritardo sia dipeso da forza maggiore”. Questa clausola di salvaguardia vale a rimettere in termini tutti gli stranieri nord africani che non abbiano chiesto tempestivamente il permesso di soggiorno, sempre che siano in grado di addurre una causa giustificativa plausibile (tra cui si può certamente annoverare la mancata conoscenza del DPCM). Per gli aventi diritto al rilascio del permesso per motivi umanitari, ma che siano in ritardo con la presentazione della richiesta, si consiglia di redigere quanto prima una domanda in carta semplice da spedire alla questura territorialmente competente con posta raccomandata, avendo poi cura di seguire di persona gli sviluppi del procedimento amministrativo.

L’aspetto su cui forse ci si interroga maggiormente rispetto a questi permessi di soggiorno riguarda la facoltà da essi attribuita di svolgere o meno attività lavorativa e in che termini. Ci si chiede inoltre se l’autorizzazione in parola possa essere rinnovata al momento della sua scadenza. Diversamente dagli aspetti sopra richiamati, bisogna riconoscere che la risposta a questi interrogativi è chiaramente scolpita in termini non equivoci nel testo stesso del DPCM, laddove si dice che il permesso di soggiorno per motivi umanitari è rilasciato “ai sensi dell’art. 11, comma 1, lettera c-ter” del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394. Ebbene la disciplina di tale tipologia di permesso di soggiorno si può agevolmente ricavare dall’art. 14 del medesimo decreto, che al comma 1, lettera c) espressamente prevede che: “il permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare o per ingresso al seguito del lavoratore, per motivi umanitari … consente l’esercizio del lavoro subordinato e del lavoro autonomo”. E’ dunque chiaramente stabilito che il titolare di questo permesso ha facoltà di svolgere attività lavorativa sia in forma autonoma (previa acquisizione delle necessarie autorizzazioni e abilitazioni) sia in forma subordinata (previa comunicazione dell’assunzione alla Direzione provinciale del lavoro).

La convertibilità alla scadenza del permesso per motivi umanitari in uno per lavoro è poi chiaramente desumibile dalla lettera e dal senso generale del medesimo art. 14 DPR 394/99. Al comma 3 si dice infatti che “con il rinnovo è rilasciato un nuovo permesso di soggiorno per l’attività effettivamente svolta”. Questa disposizione, letta in combinato disposto con la norma di cui al comma 1 sopra citata, consente di stabilire alcuni punti fermi: 1) il permesso per motivi umanitari consente di lavorare durante il periodo della sua validità; 2) secondo quanto afferma il comma 3 tale permesso di soggiorno può essere rinnovato; 3) al momento del rinnovo se il soggetto ha intrapreso un’attività di lavoro autonomo o di lavoro subordinato si deve prendere atto di tale mutata condizione lavorativa e procedere alla proroga del permesso per le ragioni corrispondenti all’attività lavorativa effettivamente svolta.

La correttezza di questa interpretazione della normativa (che peraltro corrisponde alla prassi universalmente seguita in tema di permessi umanitari) è confermata dalla lettura a contrario dei commi 4, 5 e 6 del medesimo art. 14, tesi a disciplinare la diversa situazione del titolare di un permesso di soggiorno per motivi di studio. In questo caso l’attività lavorativa è sì consentita, ma solo se di natura subordinata e per un massimo di 20 ore settimanali. Inoltre al momento della scadenza il permesso non può essere convertito in altro per motivi di lavoro, a meno che il titolare del permesso per studio non entri in possesso di un’autorizzazione supplementare nell’ambito del decreto flussi. Dal momento che queste restrizioni dettate in tema di permesso per motivi di studio non sono contemplate con riferimento al permesso per motivi umanitari, se ne deve concludere che la voluntas legis è nel senso di escluderle per i permessi umanitari, i cui titolari godono dunque di uno status giuridico “pieno” paragonabile a quello dei titolari di un permesso di soggiorno per lavoro o per famiglia.

La traduzione pratica di quanto esposto comporta che il cittadino nord africano titolare di un permesso ai sensi del DPCM 5.4.2011 al momento della stipula di un contratto di lavoro potrà liberamente farlo e subito dopo potrà inviare apposito kit postale con richiesta di rinnovo/conversione del permesso per motivi di lavoro. A quel punto bisognerà ovviamente monitorare le prassi delle varie questure e se necessario proporre impugnativa avverso eventuali provvedimenti di reiezione.

Ciò stabilito è ora possibile porre nella giusta ottica il tema della libertà di circolazione di questi stranieri nell’ambito del territorio dell’Unione. La questione risulta di scottante attualità specie a causa della rigida posizione assunta dalla Francia, che si è ripromessa di dare un’applicazione certosina al regolamento 562/2006 istitutivo del “codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone”. Posto che il regolamento citato consente in caso di minaccia grave per l’ordine pubblico e previa comunicazione alla Commissione di ripristinare temporaneamente i controlli alle frontiere interne degli Stati membri, occorre in particolare porre attenzione all’art. 5 del provvedimento, rubricato “condizioni d’ingresso per i cittadini terzi”. Tra queste condizioni spicca quella di cui alla lettera c) che impone al cittadino extracomunitario titolare di permesso di soggiorno che intende viaggiare attraverso le frontiere interne dell’Unione di “giustificare lo scopo e le condizioni del soggiorno previsto e disporre dei mezzi di sussistenza sufficienti, sia per la durata prevista del soggiorno sia per il ritorno nel paese d’origine”. Ciò posto si vede bene come in punto di diritto la posizione di rigida chiusura finora assunta dalla Francia (oltre che da altri Paesi europei) sia in linea di massima legittima e conforme al diritto comunitario, sicché gli stranieri pur titolari di permesso di soggiorno che volessero espatriare dall’Italia dovranno dimostrare il possesso di adeguate risorse finanziarie e di un riferimento plausibile per quanto riguarda l’alloggio. In caso contrario verrebbero respinti alla frontiera o, se già all’interno del territorio estero, potrebbero essere riaccompagnati in Italia secondo le procedure di cui alla direttiva 115/2008 (direttiva rimpatri). Se invece il controllo nello Stato terzo avverrà a permesso di soggiorno già scaduto il rimpatrio sarebbe disposto direttamente verso il Paese di provenienza.

Le prospettive di tutela sin qui delineate non potranno ritenersi esaustive senza un cenno alle gravissime violazioni dei diritti fondamentali compiute in taluni casi dal Governo nella caotica e disorganica gestione dell’emergenza umanitaria. I profughi nord africani sono stati infatti in alcuni casi privati della libertà personale e collocati a forza in strutture di ricovero presidiate dalla Forze dell’ordine senza alcuna chiara base legislativa e soprattutto senza alcun vaglio dell’Autorità giudiziaria. E’ superfluo ricordare che l’art. 13 della Costituzione prevede che per i casi di detenzione e più in generale di “privazione della libertà personale” l’autorità di pubblica sicurezza possa agire di propria iniziativa solo nei casi tassativamente indicati dalla legge e comunque sottoponendo la propria azione al controllo di giurisdizione entro il termine massimo di novantasei ore. Nel nostro caso questi stranieri sono stati trattenuti per settimane e settimane, spostati da un centro all’altro lungo tutto il territorio della Penisola, perquisiti più e più volte, caricati obbligatoriamente su navi da guerra e traghetti, collocati in strutture in senso lato carcerarie, senza alcuna chiara regolamentazione circa la possibilità di comunicare con l’esterno, comunque senza la facoltà di interloquire con avvocati, in un limbo giuridico certamente non degno di uno Stato di diritto. In casi di questo genere le organizzazioni internazionali per la tutela dei diritti umani parlano di “detenzione in incommunicado”, per il divieto del detenuto di rapportarsi adeguatamente con l’esterno e comunque per la mancata esplicitazione nei suoi riguardi delle ragioni giuridiche poste alla base della restrizione e dei termini di plausibile durata della stessa. Nessuno dei nord africani trattenuti in questo frangente, a quanto consta, ha ricevuto la notifica di un provvedimento individualizzato di trattenimento, contenente la contestazione delle norme di legge violate e l’esposizione delle ragioni poste alla base della compressione della libertà personale. Occorre a questo punto agire per il ripristino della legalità mediante la proposizione di azioni di risarcimento danni da avviare in sede civile.

Conclusivamente sul piano operativo in caso… di un soggetto straniero versante nelle condizioni di cui al DPCM 5 aprile 2011 dovrebbero essere assunte le seguenti iniziative:

1) provvedere ai necessari interventi di tutela nei casi dubbi o complessi per quanto riguarda il rilascio del permesso per motivi umanitari; prospettare allo straniero, secondo una valutazione individualizzata e caso per caso, la facoltà di formulare una domanda di protezione internazionale da sottoporre al vaglio delle Commissioni territoriali;

2) fornire le opportune informazioni sulle facoltà di lavoro e di rinnovo del permesso e sulle condizioni per il transito verso altri Stati dell’Unione;

3) condurre un’articolata istruttoria con riferimento ai casi di restrizione della libertà personale senza titolo in vista dell’avvio di una procedura di risarcimento danni.

(Roma, aprile 2011)

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