DA RASSEGNA SINDACALE/UN'INDAGINE IRES PER LA FP CGIL DELL' EMILIA ROMAGNA

15 Giu 2011

 

DA RASSEGNA SINDACALE/UN’INDAGINE IRES

PER LA FP CGIL DELL’EMILIA ROMAGNA

 

GLI IMMIGRATI E I SERVIZI PUBBLICI

 

 

di Mayda Guerzoni

 

Cosa cambia nel sindacato della Funzione pubblica, o cosa deve cambiare, di fronte alla crescente presenza di immigrati nel settore e fra gli iscritti? Per fare i conti col problema, la Fp dell’Emilia Romagna innanzitutto ne ha indagato i contorni, attraverso una indagine svolta dall’Ires regionale nei mesi conclusivi del 2010 (con la tecnica dell’intervista semi-strutturata che ha coinvolto dieci dirigenti tra Fp territoriali e regionale) e discussa in un convegno a Bologna (7 giugno).

Gli immigrati sono il volto nuovo del lavoro nei comparti privati collegati al pubblico: igiene ambientale, sanità, ma soprattutto socio-sanitario. Ed è proprio su questo ambito che si concentra lo studio condotto dai ricercatori dell’Ires Matteo Rinaldini e Cristina Nicolosi. Se fino a una quindicina di anni fa il nucleo centrale dei tesserati Fp era costituito dai dipendenti pubblici, le cose sono molto cambiate con l’esternalizzazione dei servizi socioassistenziali, spinta dai tagli alle risorse degli enti locali. La domanda di servizi alla persona – anziani, disabili, infanzia è in costante crescita e trova risposte nelle coop sociali del cosiddetto terzo settore quando va bene, ma spesso nelle cosiddette cooperative spurie, che possono applicare propri regolamenti peggiorativi del contratto nazionale (grazie alla legge 142). “La differenza arriva fino a 3-400 euro in meno in busta paga rispetto al dipendente pubblico dello stesso comparto – spiega Gianni Paoletti, della segreteria Fp regionale, relatore al convegno di Bologna –, per non parlare della flessibilità esasperata di turni e orari. È un lavoro faticoso e usurante, delicato e in molti casi essenziale, di relazione, cura, che i lavoratori nostrani evitano volentieri e che oggi è affidato soprattutto agli immigrati, o meglio alle immigrate.”

Lavoratrici che provengono dai paesi africani, dall’Est Europa e dal Sudamerica. Spesso arrivano come badanti, conseguono una qualifica e passano alle coop. Le europee hanno in genere una scolarità alta, molte sono infermiere, o laureate, ma il titolo di studio non riconosciuto è fonte di grande frustrazione. Il sindacato all’inizio è vissuto come una specie di ufficio informazioni di base e il primo contatto avviene presso i Centri stranieri, che mantengono un ruolo decisivo. Poi lo spostamento verso la categoria spesso salta il delegato – quando c’è, vista la difficoltà ad eleggere le Rsu nel socio sanitario –, che viene considerato un semplice collega di lavoro.

Il settore, sindacalmente debole già in partenza – osserva Paoletti –, è diventato anche più difficile: si diffondono irregolarità e differenze di trattamento tra italiani e immigrati, i quali hanno sempre davanti un percorso ad ostacoli, per la legge Bossi-Fini che lega permesso di soggiorno e rapporto di lavoro, o per i frequenti ritardi burocratici. E ora ci si mette anche la crisi, che accentua insofferenze e divisioni sul luogo di lavoro.”

La complessità inedita della categoria – spiega la ricerca – non sembra aver prodotto forme di riorganizzazione interna o di iniziativa ad hoc in Fp: si registrano singole vertenze in qualche coop, rari incontri con le associazioni immigrati in qualche territorio. Tra i funzionari intervistati c’è chi minimizza e non lo ritiene necessario (“sono lavoratori come gli altri”), chi invece sollecita le strutture ad approfondire, investire risorse, condividere progetti con altre categorie. E invita a superare – come fa un dirigente modenese – la considerazione marginale ancora riservata al socio sanitario, il privato nel pubblico: “perché in una fase di trasformazione profonda del rapporto tra pubblico e privato, come l’attuale, questo è un territorio strategico”.

La seconda pista convince la Fp regionale, che si propone una nuova scommessa: “Dare più attenzione alle discriminazioni – sintetizza Paoletti – ma non limitarsi alla denuncia; ripensare il metodo di lavoro e i contenuti della contrattazione su professionalità e formazione, qualità del lavoro e del servizio, controllo degli appalti; intervenire per il riconoscimento del titolo di studio; eleggere più delegati immigrati, che ora sono sedici in tutta la regione.”•(Rassegna Sindacale, n. 22, 9-15 giugno 2011)

 L’ARTICOLO SU RASSEGNA SINDACALE

LA RICERCA IRES

LA RELAZIONE INTRODUTTIVA AL CONVEGNO 

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