29 Set 2011
di Ciro Spagnulo
Con la sentenza n. 32934 del 31 agosto 2011, della quale abbiamo già parlato (leggi qui), la I^ Sez. Penale della Corte di Cassazione ha affermato la responsabilità penale del datore di lavoro che omette di verificare, prima dell’assunzione, la regolarità del permesso di soggiorno dei dipendenti occupati presso l’azienda. Se ne occupa anche l’Ordine nazionale dei Consulenti del Lavoro con Il parere n. 21 della sua Fondazione Studi per analizzarla all’interno del contesto giurisprudenziale più recente.
“Il principio affermato dalla Suprema Corte nella sentenza n. 32934/2011 riguarda… il passato”, rileva la Fondazione, “poiché per i fatti accaduti dopo il 23 maggio 2008 trova applicazione la nuova normativa secondo cui il reato in questione si configura solo se c’è il dolo (e non la mera colpa) dell’imprenditore. Di conseguenza, per la responsabilità penale non è più sufficiente che il datore di lavoro non abbia verificato la sussistenza del permesso di soggiorno, ma occorre la volontà di assumere lo straniero pur nella consapevolezza che non possiede il permesso in questione”. Il riferimento è a una modifica dell’art. 22, comma 12, D.lgs. n. 286 del 1998 introdotta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, che ha cambiato la pena prevista per il reato in questione.
Prima del 2008 il reato era punito con la contravvenzione dell’“arresto da tre mesi ad un anno e con l’ammenda di 5.000 euro per ogni lavoratore impiegato” e si configurava anche quando il fatto non era voluto dall’agente, ma “si verifica[va] a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per l’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline” (art. 43, comma 3, c.p.). A seguito della riforma il reato è stato trasformato in un delitto, punito con la pena della “reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa di 5.000 euro per ogni lavoratore impiegato”. “Oltre all’inasprimento della pena, la mutata qualificazione dell’illecito (da contravvenzione a delitto) ha prodotto importanti conseguenze sul piano dell’elemento soggettivo del reato: in base alla disciplina del codice penale, infatti, coloro che commettono dei delitti sono punibili, salvo diversa previsione, se la condotta è posta in essere con dolo; per le contravvenzioni è invece sufficiente, di norma, la colpa (art. 42 c.p.).”
“Pertanto”, dice la Fondazione, “attualmente, la pena è più severa ma il reato di cui all’art. 22 si configura solo se l’assunzione dello straniero non in regola con il permesso di soggiorno è dolosamente ‘preveduta e voluta dal datore di lavoro come conseguenza della sua azione od omissione’ (art. 42 c.p.); viceversa, la condotta colposa di omessa verifica del permesso di soggiorno dei lavoratori – considerata penalmente rilevante dalla sentenza n. 32943 del 2011 – ormai non costituisce reato”.
La riforma non poteva incidere sulla sentenza n. 32934 del 31 agosto 2011 in quanto “avente ad oggetto fatti avvenuti in epoca antecedente alla modifica della legge (precisamente il 20 settembre 2006), i quali sono stati giudicati in base alla normativa previgente (art. 2, comma 4, c.p.)”, ma, conclude la Fondazione, “una recente sentenza della Cassazione penale, Sez. I, 11 marzo 2011, n. 9882 (in Dir. e Pratica Lav., 2011, 16, 986) ha ritenuto applicabile la nuova normativa anche a fatti avvenuti prima della riforma del 23 maggio del 2008. A parere della Cassazione, ai sensi dell’art. 2 c.p., anche le condotte pregresse di impiego di stranieri privi del permesso di soggiorno valevole ai fini lavorativi sono divenute punibili solo se commesse con dolo, fermo restando che, ai sensi del comma 4, art. 2 c.p., resta applicabile il trattamento sanzionatorio previgente, più favorevole (e quindi la pena dell’arresto e dell’ammenda). In base a questa decisione, quindi, secondo l’attuale situazione normativa, l’errore, ancorché colposo, del datore di lavoro sulla sussistenza del regolare permesso di soggiorno da parte dello straniero impiegato alle sue dipendenze, non comporta responsabilità penale anche se i fatti sono avvenuti prima del 23 maggio del 2008”.