12 Dic 2012
Intervista a Giorgio Dell’Amico, referente nazionale immigrazione ed asilo Arci Gay
QUESTIONE DI STATUS
di Sara Sfa
Giorgio Dell’Amico è referente nazionale per Arcigay su immigrazione ed asilo e da venti anni lavora per conto della Coop. Sociale Caleidos presso il Centro Stranieri del Comune di Modena come educatore. «Il centro è cresciuto nel tempo; venti anni fa il primo problema era l’accoglienza, l’inserimento lavorativo degli stranieri, successivamente la questione ha riguardato il ricongiungimento familiare con le mogli e le famiglie degli immigrati». Il lavoro di educatore lo ha portato ad occuparsi in questi anni in diversi ambiti su più fronti, come quello legato alla prostituzione con un progetto sulla prevenzione sanitaria, sui rifugiati, nel fornire orientamento ed informazione sulle normative, ecc.
Queste esperienze professionali sono state messe poi a disposizione come attività di volontariato in Arcigay che già nella prima metà del 2000 iniziava ad occuparsi delle tematiche legate all’immigrazione e partecipò ad un primo progetto europeo che «risale al 2003-2004, gestito da Arcigay sulle discriminazioni multiple come l’essere gay e disabile o gay e migrante e contestualmente venne attivato un gruppo su Yahoo per la diffusione delle informazioni sulla discriminazione sessuale nel mondo assieme ad una casella di posta elettronica migra@arcigay.it che tuttora riceve numerosissime mail».
Nel 2007 Arcigay presenta un progetto, del quale Giorgio è stato uno dei coordinatori, per un bando indetto dal Ministero delle politiche sociali che prevedeva un’indagine su un campione rappresentativo per mezzo di interviste. «Siamo riusciti a raccoglierne, una cinquantina trovando maggiore difficoltà nell’individuazione di donne lesbiche e non raggiungendo l’obiettivo di circa 80 interviste che avevamo previsto ma l’esito è comunque significativo e rappresentativo perché il campione è stato selezionato con cura evitando sbilanciamenti e variando nazionalità; cercando di raccogliere testimonianze di migranti arrivati per motivi di natura economica, di studio o perché in coppia con italiani».
Giorgio orgogliosamente precisa che «è stata la prima ricerca in Italia su questi temi e confermò spesso l’esistenza della discriminazione all’interno della comunità dei connazionali in quanto gay o della comunità gay in quanto migrante… poi certo ci sono sfumature: magari l’immigrato argentino ne subiva meno rispetto al tunisino». E ancora: «spesso emergeva che erano molto “richiesti” in quanto diversi da chi subiva il fascino dello straniero, ma queste relazioni dicevano che nella maggioranza delle volte duravano poco».
Altre azioni del progetto sono stati i due momenti di formazione; uno per i volontari di Arcigay ed uno per operatori di servizi che si occupano di migranti. Nello stesso momento nell’associazionismo gay si cercava di inserire il tema dei migranti. A queste iniziative seguirono due pubblicazioni; una per operatori e l’altro per i volontari e un opuscolo tradotto in diverse lingue per dare delle informazioni di base sul tema del diritto di asilo e sulla tutela della salute.
Da quei momenti di formazione e da quella prima attività di sensibilizzazione è emerso il bisogno e la volontà di formare volontari e sportelli per intervenire nell’ambito delle richieste di asilo svolgendo una preliminare attività esplicativa e di supporto per l’accesso alla domanda di protezione internazionale basata sull’orientamento sessuale. «Il primo gruppo di supporto per richiedenti asilo è nato a Milano e vede il coinvolgimento di diversi volontari di differenti associazioni che si occupano di tematiche LGBT e di migranti e poi a seguire, dopo Milano, Verona, l’anno scorso Palermo e nel 2012 Bologna.»
Giorgio ha partecipato ad una ricerca europea sui richiedenti asilo per motivi di orientamento sessuale. Quando gli chiedo se ci siano dei numeri sulle richieste accettate mi spiega che le motivazioni per cui si fa richiesta di asilo non vengono registrate quindi non si può parlare di dati certi. Dal 2012 ad oggi ne ha conosciuti indirettamente una quarantina, di persona una ventina e dati ufficiosi provenienti dalle Commissione danno una stima di 300-400 domande fatte esplicitamente per orientamento sessuale. «Bisogna tenere anche conto che spesso si sommano più fattori, come essere gay e cristiano. Sicuramente i numeri sono in aumento. Lì dove riusciamo ad intervenire come associazionismo gay nella maggior parte dei casi le domande sono state tutte accolte. L’Italia è sicuramente più avanti, ha svolto un buon lavoro, rispetto agli altri paesi europei perché le Commissioni esaminatrici operano in linea con le direttive europee vigenti in tema di discriminazioni. Non sono mancate le persone che hanno cercato di speculare sulle difficoltà degli stranieri in Italia, aggiunge Giorgio, «ricordo un migrante, completamente analfabeta, che avevo aiutato per ricostruire tutta la sua storia, le violenze subite, le umiliazioni vissute e per il quale avevo preparato oltre alla sua memoria per la Commissione anche un dossier sulla situazione dei gay in Marocco. Questo ragazzo ha seguito il consiglio di un suo amico; si è fatto accompagnare da un avvocato in audizione e che per lui aveva preparato solamente una lettera nella quale gli spiegava cosa fosse la richiesta di richiesta di asilo, facendogli pagare 1200 euro.»
«Gli incontri di preparazione sono importanti», mi spiega Giorgio, «quattro, cinque incontri sono necessari per ascoltare il richiedente asilo, per raccogliere la sua vicenda personale, poi si fa scrivere la storia. Non mancano le difficoltà perché spesso non ti conoscono, non parlano bene la lingua e poi l’imbarazzo fa il resto. Ma anche per noi è importante, serve per capire se la storia è attendibile, il livello di motivazione del richiedente, non dimentichiamo che si tratta di una scelta di vita molto vincolante. Senza questa fase di orientamento che serve per capire e anche per tranquillizzare il rischio è che il migrante si presenti in Commissione senza sapere esattamente di cosa si tratti e con il timore di essere giudicato».
«L’ascolto del richiedente asilo comporta anche uno sforzo interpretativo», secondo Giorgio, «ad esempio in Nigeria, Senegal spesso ci sono le cosiddette “feste di matrimonio” per festeggiare un fidanzamento, in casa. Per me erano difficili da immaginare, bisogna sganciarsi dal nostro immaginario per poter comprendere l’altro»
Le aree del mondo dalle quali si registrano più richieste di asilo per orientamento sessuale sono il Marocco, il Senegal, la Nigeria, la Tunisia anche se sono stati seguiti dei ragazzi provenienti dal Mali, Tanzania, Salvador, Moldavia. Una volta ottenuto lo status di rifugiato è vietato per legge fare ritorno nel paese d’origine, si rischia la revoca dello status. Giorgio ancora ricorda con rammarico e tristezza un episodio accaduto ad un giovane migrante albanese che conosceva da due anni, «la cosa più spiacevole che mi sia capitata è stata di sconsigliargli di andare al funerale della madre in Albania che da diversi anni non poteva vedere».
La carriera di Giorgio è popolata da una miriade di volti e storie ma alcune più di altre hanno resistito all’oblio. Ricorda una ragazza che lo aveva contattato via e-mail dagli Emirati Arabi, dove ancora si trovava, per chiedergli informazioni. Delle storie più di altre lo hanno colpito particolarmente. Quella di un ragazzo pakistano, uno dei primi casi che avesse seguito, appena arrivato in Italia, che voleva fare domanda di protezione internazionale. Quando gli chiede perché sia scappato il ragazzo gli risponde con molta paura e nervosismo perché è gay e Giorgio gli dice spontaneamente «anch’io». Allora lui scoppia in un pianto ininterrotto. «Se scappi dal tuo paese, arrivi in un altro posto e la prima persona che incontri, per altro in un ufficio pubblico, ti dice che è gay sembra impossibile e per lui è stata una cosa inimmaginabile».
Poi una ragazza, andata via con la mamma dal Marocco quando aveva 6-7 anni. Si trasferirono in Spagna. I genitori erano separati, la sua famiglia era molto religiosa e il padre abbastanza integralista. Dopo la Spagna in Francia da una zia e ancora dopo l’Italia dove si fidanzò con una ragazza prima di arrivare al Centro Stranieri per avere informazioni sulla possibilità di regolarizzare la sua posizione, cosa che poi avvenne facendole ottenere lo status di rifugiata in quanto lesbica. Solo in Italia venne a sapere le reali motivazioni della morte della madre. Una collega di Giorgio dopo aver cercato in rete informazioni scoprì che la madre era stata ritrovata morta in casa per una emorragia con il bambino che aveva partorito probabilmente senza nessun aiuto.
Giorgio ci racconta anche la vicenda di un ragazzo molto giovane, anche lui marocchino, che aveva girovagato molto, in lungo e in largo per l’Italia, ospitato da amici, amici di amici e ogni volta sbattuto in strada dopo poco tempo. Era dolcissimo. Arrivò all’Arcigay grazie alla segnalazione di un suo conoscente italiano, aspettò un anno e mezzo prima di essere portato in Commissione. Era stato in prigione in Marocco in quanto omosessuale, «questo rappresentava una prova da portare alla Commissione per ottenere l’asilo ma lui sentiva tutto il peso di non poter tornare a casa e rivedere sua mamma. Spesso aveva delle crisi e voleva mollare tutto. Anche una volta ottenuto lo status di rifugiato so che ha girato in Europa e questa sua solitudine mi ha aperto gli occhi su cosa comporti una decisione del genere, per cui ora invito le persone che vogliono fare domanda di asilo a pensarci bene prima di inoltrare la richiesta e valutare attentamente cosa può comportare quella decisione».
Questa intervista non può essere riprodotta senza il consenso dell’autrice
SI SCAPPA DA 104 PAESI
di Ciro Spagnulo
Non si scappa solo per motivi razziali, politici e religiosi, dalla fame, dalla guerra, dagli sconvolgimenti climatici. Si scappa anche per il proprio essere LGBTI. In gran parte del mondo essere lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, intersessuali è motivo di persecuzione, di prigionia, di tortura, di morte. In Iran sono state eseguite circa 12 mila condanne a morte di persone gay e spesso la morte viene inflitta in maniera particolarmente efferata. Racconta in un’intervista il co-presidente del Gruppo EveryOne Roberto Malini, che “dopo aver catturato i ragazzi omosessuali, i loro aguzzini chiudevano loro l’ano con la ‘gomma iraniana’, quindi li costringevano a bere un potente lassativo. Gli effetti di tale tortura sono letali e le vittime, durante l’agonia, venivano sottoposti a ulteriori sevizie e pestaggi”. Dove non si uccide, si incarcera, con pene che arrivano all’ergastolo. Quando le leggi non colpiscono direttamente la comunità LGBTI, si usano quelle contro la moralità pubblica. Non sono solo gli Stati a perseguitare, ma anche famigliari, vicini, sconosciuti, gruppi. HT, un gay camerunense, “ha avuto per tre anni una relazione con un altro uomo. Dopo essere stato visto da un vicino baciare un altro compagno…, è stato fatto oggetto di gravi violenze da parte di un gruppo di giustizieri. Invece di aiutarlo, la polizia ha dato man forte agli aggressori” (da Fleeing Homophobia). Un gay ucraino “ha dichiarato di essere stato picchiato da un gruppo denominato Patrioti ucraini (che spesso molestano gli omosessuali) durante un incontro con altri omosessuali, e di avere perso tre denti. È stato anche minacciato apertamente con delle scritte sui muri che lo riguardavano personalmente. Quando ha lasciato la sua città natale, si è trasferito in albergo e ha chiesto al cameriere informazioni sulla scena gay di quella città. Due giorni dopo quattro persone si sono presentate nella sua camera d’albergo. Uno di loro l’ha stuprato, tutti insieme l’hanno minacciato e l’hanno avvertito di non chiamare la polizia” (da Fleeing Homophobia).
Sono 76 i Paesi del mondo che prevedono sanzioni penali per atti sessuali consensuali tra persone dello steso sesso e sette quelli in cui sono punibili con la morte (Iran, parte della Nigeria, Sudan, Yemen, Arabia Saudita, parte della Somalia, Mauritania). Ma si scappa da 104. Non esistono dati certi, però si stima che ogni anno nell’Unione Europea sono 10 mila le richieste d’asilo da parte di persone GBLTI.
L’indagine Fleeing Homophobia esamina l’applicazione nei Paesi dell’Unione Europea delle normative internazionali ed europee sulla protezione internazionale alle persone lesbiche, gay, transessuali e intersessuali (LGBTI). Ne emerge che esistono differenze consistenti nel modo in cui i paesi europei concedono asilo ai richiedenti asilo LGBTI, nonostante il sistema d Dublino, e che le prassi statali sono al di sotto degli standard richiesti dalla normativa internazionale e europea sui diritti umani. Addirittura, l’indagine indica che le richieste di asilo vengono valutate sulla base di stereotipi. “Per esempio, le decisioni si fondano ancora, e spesso, sull’idea che l’orientamento sessuale della/del richiedente vada preso sul serio solo quando provi un ‘insopprimibile e irreversibile’ desiderio di fare sesso con una persona dello stesso sesso”. Rischiano perciò l’esclusione dalla protezione internazionale “le/i bisessuali perseguitati, ma anche le persone LGBTI che non si comportano secondo gli stereotipi in cui le autorità credono. Questi stereotipi possono escludere le lesbiche che non hanno atteggiamenti maschili, i gay non effeminati e le/i richiedenti LGBTI che sono state/i sposate/i o che hanno figli”. In alcuni Paesi, inoltre, si nega il fondamentale diritto umano di vivere per quello che si è consigliando di nascondere il proprio orientamento sessuale o la propria identità di genere. E il consiglio accompagna il diniego alla richiesta di protezione.
Tra i Paesi segnalati per le buone prassi vi è una volta tanto l’Italia.
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