14 Ott 2013
di Vincenzo Intermite
Non c’era bisogno di essere profeti o chiromanti o veggenti e neppure esperti studiosi di scienze sociali o profondi conoscitori dei movimenti demografici e migratori: la morte era già là, sotto i nostri occhi, a due passi da un posto di vacanza e divertimento, in un luogo dove la vita sembra sgorgare da ogni stilla d’acqua marina e da ogni granello di sabbia. Bastava volerla guardare, decidere di guardarla, scegliere di guardarla, sentire l’imperativo categorico di guardarla, lasciarsi soggiogare dalla dolcezza del supremo comando etico, che poi altro non è che la nostra libertà, che dice “Non uccidere”, per vederla. Ma lo sguardo dell’Occidente era
L’Occidente, invece, ha guardato a questi uomini come a potenziali concorrenti, gente pericolosa che veniva a rubare pane e lavoro (miserabili privilegi, in realtà), eversori dell’ordine pubblico e della pace sociale (come se reclamare il diritto ad una vita dignitosa non fosse una questione di umanità, ma di pubblica sicurezza), destabilizzatori di certezze assodate e intangibili (che, in realtà, vivono solo mediante l’incontro con ciò che se ne differenzia, altrimenti non sono che palude stagnante e nauseabonda): da qui le legislazioni, le più aberranti e disumane, finalizzate a chiudere le frontiere, come l’italiana legge Bossi-Fini, gli accordi internazionali, le più vergognose, con i peggiori dittatori per bloccare o attenuare i flussi migratori, i continui tentativi di rendere sempre più ardui e pericolosi i viaggi della speranza fornendo, in questo modo, ottime opportunità ai trafficanti di carne umana, ben felici della crescente disperazione delle loro vittime sulla quale speculano e si arricchiscono.
È stato necessario che oltre 300 persone, uomini, donne e bambini, perdessero la vita tutti insieme, perché i sonnacchiosi uomini delle istituzioni scoprissero il problema delle migrazioni e si accorgessero dell’inadeguatezza delle legislazioni in materia, come se prima di quest’ultimo immane massacro nulla fosse accaduto, come se nulla fossero le decine di migliaia di morti nell’ultimo decennio solo perché distribuiti nel tempo in gruppi esigui e dunque con minore impatto sulla pubblica opinione: così in Italia si dichiara che forse sarebbe il caso di porre mano ad una modifica della Bossi-Fini che, peraltro, prevede non solo il reato di immigrazione clandestina, che già di per sé è un’aberrazione, ma anche quello di favoreggiamento a tale reato, con l’effetto paradossale e sconcertante di scoraggiare i soccorsi, come è probabilmente accaduto proprio in quest’ultima circostanza, e inibire persino quel senso di solidarietà che da secoli caratterizza la gente di mare.
Ma era davvero così difficile capire che una legislazione che autorizzava a respingere i migranti in mare, ignorando il loro diritto d’asilo, e che equiparava i “clandestini” ai delinquenti era una legislazione infame? No che non lo era, ma quella legge era utile per raccogliere i voti della parte più becera e razzista della popolazione, era utile per salvaguardare gli equilibri di potere grazie al patto con i razzisti della Lega Nord, era utile perché i parlamentari inquisiti in fuga dalla Magistratura trovassero nel Parlamento la garanzia dell’impunità, era utile perché il mandato parlamentare, tanto redditizio, non giungesse troppo presto alla sua scadenza.
Si è trattata, dunque, dell’ennesima strage annunciata, e non è un modo di dire, ma proprio annunciata su questo giornale nel dicembre del 2012 dal sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini, quando denunciava il dramma della sua isola e chiedeva quanto avrebbe dovuto essere grande il cimitero di Lampedusa per accogliere tutti i migranti che trovano la morte in quel mare. Scriveva, allora, il sindaco “Sono indignata dell’assuefazione che sembra avere contagiato tutti, sono scandalizzata dal silenzio dell’Europa che ha appena ricevuto il Nobel della pace e che tace di fronte ad una strage che ha i numeri di una vera e propria guerra. Sono sempre più convinta che la politica europea sull’immigrazione consideri questo tributo di vite umane un modo per calmierare i flussi, se non un deterrente. Ma se per queste persone il viaggio sui barconi è tuttora l’unica possibilità di sperare, io credo che la loro morte in mare debba essere per l’Europa motivo di vergogna e disonore.” Chi ha risposto a questo appello? Si risponderà adesso o, come sempre, si aspetterà che le acque si calmino e si ricomincerà a sonnecchiare?
rivolto altrove, e la sua anima era ottenebrata dai fumi appiccicosi e indelebili dell’avere: così, di fronte al ripetersi incessante degli sbarchi di persone in fuga da fame, guerra, miseria, persecuzione politica e di fronte al frequente verificarsi di tragiche morti in mare, si è scelto di collocarsi nell’ottica tipica del più selvaggio e spietato “economicismo” liberista e inquadrare il fenomeno entro i concetti di “profitto”, “concorrenza”, “competitività”, “libero mercato” e simili. Ci si è chiesti quindi che cosa i nostri Paesi avrebbero potuto ricavare dall’apertura delle frontiere, se questi migranti sarebbero stati utili alle nostre economie o se avrebbero potuto costituire, per esse, una palla al piede, se avrebbero creato profitto con il loro lavoro o se avrebbero “rubato” il lavoro agli autoctoni, se avrebbero costituito una risorsa per l’Occidente o se avrebbero occupato il nostro “spazio vitale”; e intanto si dimenticava che quei migranti, prima di essere tali sono persone, sono donne e uomini, bambine e bambini, sono esseri umani portatori di quella stessa dignità di cui noi siamo portatori; la stessa dignità, non una diversa o meno importante, non un surrogato, ma la stessa dignità, quella che fa di un uomo un uomo e che se viene calpestata negli altri, viene calpestata in noi stessi e che, dunque, deve farci soffrire della sofferenza altrui, patire delle altrui pene, sentire il peso e l’angoscia della fragilità e del dolore che angustia l’altro.