CONTRO LA TRATTA SPECIALE/LA CAROVANA ANTIMAFIE 2014

28 Apr 2014

 

 

CONTRO LA TRATTA LA CAROVANA ANTIMAFIE 2014. LA SITUAZIONE IN ITALIA

Sono migliaia in Italia le vittime di tratta e di grave sfruttamento lavorativo. Non esistono solo nel campo della prostituzione, ma sono presenti anche in altri settori. La risposta italiana a questa tragedia è insufficiente.

 

a cura di Mohcine El Arrag

E’ partita da Roma il 7 aprile e concluderà la prima parte del suo viaggio il 15 giugno in Sicilia, dopo aver attraversato tutta l’Italia, la Carovana antimafie 2014, di cui quest’anno ricorre il ventennale. Nata nel ’94, su iniziativa di Arci Sicilia, terminerà simbolicamente il suo viaggio proprio sull’isola siciliana, per poi riprendere in autunno il cammino verso la Serbia, la Romania, la Francia e, nel 2015, Malta.

Tema di questa edizione, quello della tratta degli esseri umani («I nuovi schiavi»), nuovo core business della criminalità organizzata, che trova laute fonti di guadagno nello sfruttamento dei migranti.

Nei piani dei promotori, ciascuna tappa sarà occasione per «condividere idee, informazioni,approfondimenti sui temi affrontati, saldare le esigenze e le proposte dei territori con quelle elaborate nazionalmente, organizzare momenti pubblici di confronto, dare evidenza alle buone pratiche diffuse in tante parti della penisola». In questo percorso, Carovana incontra il progetto internazionale Cartt (Campaign for awareness raising and training to fight trafficking), articolando il tema della tratta nei diversi aspetti di sfruttamento del lavoro: in Francia nel campo dell’edilizia, in Romania in quello minorile, a Malta nel settore turistico. In Italia il tema sarà lo sfruttamento del lavoro domestico, di cui sono vittime soprattutto le badanti straniere, nelle mani di organizzazioni che operano nell’Europa dell’Est. L’obiettivo è quello di «mettere a fuoco le modalità con cui le mafie si impadroniscono di ampie porzioni del mercato del lavoro, approfittando di un contesto sociale profondamente lacerato dalla crisi economica». Nel nostro Paese la Carovana è organizzata da Arci, Libera, Avviso Pubblico con Cgil, Cisl e Uil e con la Liguede l’Enseignement, organizzazione francese che si batte per una educazione pubblica e laica. Partner del progetto europeo Cartt sono Arci, Libera, Ligue de l’Enseignement, Parada (Romania) e Inizjmed (Malta).


La tratta degli esseri umani è ormai un core business della criminalità organizzata internazionale. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro stima che siano oltre 12 milioni le persone sottoposte a sfruttamento lavorativo, sessuale e schiavitù nei cinque continenti. L’80% delle vittime è costituito da donne e ragazze, in più del 50% dei casi minorenni. Nella sola Unione Europea genera un profitto di 25 miliardi di euro.

Anche in Italia è un fenomeno così diffuso da avere assunto caratteristiche di ‘normalità’, come rileva “Punto e a capo sulla tratta. 1° Rapporto di ricerca sulla tratta e il grave sfruttamento” curato da Caritas Italiana e Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza (CNCA), in collaborazione con il Gruppo Abele e l’Associazione On the Road. La ricerca ricostruisce l’evoluzione del fenomeno della tratta di persone, così come si è sviluppato in Italia dalla fine degli anni ‘90 ad oggi, e analizza il funzionamento del sistema di protezione sociale rivolto alle vittime.

Pur rimanendo la prostituzione forzata in strada la tipologia di tratta più visibile e conosciuta, nel corso dell’ultimo decennio è progressivamente aumentato il numero di casi identificati di persone trafficate e sfruttate in altri ambiti, tra cui quelli economico-produttivi e, in particolare, in agricoltura, pastorizia, edilizia, manifatture, lavoro di cura. La crisi economica e, soprattutto, un mercato del lavoro precario, irregolare e “flessibile” determinano alti fattori di rischio di invischiamento in sistemi di grave sfruttamento e tratta.

In Italia, i dati ufficiali sulle vittime di tratta riguardano solamente quelle identificate e assistite dai progetti di protezione sociale. Dal 2006 al 2012, sono stati realizzati 166 progetti art. 13, che hanno assistito 3.770 persone. Dal 1999 al 2012, sono stati finanziati 665 progetti art. 18, che hanno permesso di entrare in contatto con oltre 65.000 persone, a cui è stata offerta assistenza; di queste, hanno deciso di entrare in un programma di protezione ed assistenza sociale 21.378 persone, usufruendo della possibilità di avere un “permesso di soggiorno temporaneo per motivi umanitari” di sei mesi rinnovabile fino a 18 mesi e convertibile, se in possesso dei necessari requisiti, in un permesso di soggiorno per motivi di lavoro, di studio o altro. I permessi rilasciati ex art. 18 nel corso del 2012 sono stati complessivamente 520 di cui 440 per sfruttamento sessuale e solo 80 per sfruttamento lavorativo. Lo sbilanciamento nasce dalla controversa questione circa l’adeguatezza o meno di questo permesso anche per la tutela delle persone vittime di sfruttamento lavorativo.

Dunque, a fronte di un fenomeno dai numeri rilevanti, gli strumenti di tutela appaiono particolarmente deboli nonostante l’introduzione del reato di caporalato (Dlgs 109/12) e dunque l’inasprimento del sistema repressivo verso gli sfruttatori.

Il maggior numero di permessi ex art.18 per motivi sessuali è stato rilasciato nella regione Emilia Romagna (70) ed in particolare nella provincia di Modena (24).

Diversamente i permessi a seguito di sfruttamento lavorativo risultano essere stati rilasciati solo da tre regioni che sono nell’ordine Puglia (70), Campania (7) ed Emilia Romagna (3).

Circa le nazionalità di appartenenza delle vittime si registra un trend ormai noto che vede la Nigeria destinataria del maggior numero di permessi di soggiorno ex art.18 (245) per sfruttamento sessuale, seguita dal Marocco (35) e dalla Cina (22). I pochi permessi rilasciati per sfruttamento lavorativo evidenziano invece un primato del Senegal (38) e del Ghana (27). In generale si tratta di numeri contenuti e poco chiarificatori rispetto al fenomeno. Ad esempio la Romania è una delle nazionalità più coinvolte nello sfruttamento sessuale ma non risulta dalla rilevazione dei permessi ex art.18 in quanto si tratta di un paese comunitario.

LAVORO DOMESTICO. MENO VISIBILE MA DIFFUSO LO SFRUTTAMENTO

 

E’ sicuramente meno visibile, ma lo sfruttamento lavorativo colpisce anche nel settore della cura delle persone. Il numero delle sole badanti stimate in Italia al 2013 (rapporto Censis) è di 830 mila.. La stima comprende sia coloro che lavorano in posizione regolare che irregolare, il 90% delle quali è di origine straniera (747.000 lavoratrici). Sempre secondo le stesse stime circa il 40% delle assistenti familiari presenti in Italia lavorerebbe con un regolare contratto di lavoro, mentre il 36% pur essendo regolarmente presente nel nostro paese lavora in nero e il 26% lavora e risiede irregolarmente nel nostro paese. Sommando alle badanti anche collaboratrici e collaboratori domestici, si ha un incremento del 53% negli ultimi 12 anni. In Italia si è passati da poco più di 1 milione di persone impiegate nel settore nel 2001 a 1 milione e 655 mila nel 2012.

In merito alle ore di assistenza giornaliera prestata, circa la metà delle assistenti familiari forniscono cure per più di 13 ore al giorno, mentre la restante metà si divide in modo equo in orari compresi tra le 5 e le 8 ore al giorno e le 9 e le 12 ore. Rispetto alla retribuzione percepita, un terzo delle assistenti intervistate durante l’indagine si colloca nella fascia di stipendio mensile tra i 750 e gli 800 euro.

Un breve giro tra i centri di volontariato che offrono assistenza agli immigrati rivela un boom dello sfruttamento del lavoro domestico. Ci sono famiglie che offrono 200, 300 euro al mese per un lavoro 24 ore su 24, giocando sul fatto che tanti stranieri vivono in condizioni disagiate, dormendo spesso per strada o per brevi periodi a casa di amici. Così si arriva a proporre un lavoro di assistenza continuata in cambio dei soli vitto e alloggio, senza stipendio.

Molte donne dell’Est europeo, provenienti da Ucraina, Bielorussia, Romania, oppure da Stati ex sovietici come il Kirghizistan, arrivano in Italia con un titolo di operatrice socio sanitaria, ottenuto in una scuola professionale o persino all’università. Ma il nostro Paese, pur nell’enorme bisogno di infermieri specializzati, non riconosce questi titoli e non offre nemmeno la possibilità di equipararlo.

Le badanti sono inserite in un sistema in cui ci sono 12.370.822 anziani con più di 65 anni, pari al 20,8% della popolazione italiana, mentre gli anziani con più di 80 sono 3.656.285, rappresentanti il 6,2% (Istat, 2012). Il 27% degli anziani con più di 65 anni vive da solo, corrispondente a 3 milioni e 300 mila persone. Cifre aumentate nel corso degli ultimi anni, e destinate ad aumentare secondo le stime dell’Istat. Il 22 gennaio 2013, il Governo italiano ha ratificato la Convenzione sulle lavoratrici e i lavoratori domestici (n. 189) del 2011.

IL CASO INGLESE/INVISIBILI E SFRUTTATE. COLLABORATRICI DOMESTICHE DELL’UPPER CLASS FRA LONDRA E IL GOLFO PERSICO

di Elisa Nobler

Faccio la domestica nelle case delle famiglie benestanti. Lavoro dalle 7,00 alle 22,00 o spesso anche più a lungo. Cucino, faccio le pulizie, ma soprattutto mi prendo cura dei loro bambini. Ma i miei datori di lavoro mi trattano sempre male, mi urlano contro, mi fanno mangiare i loro avanzi e mi pagano molto meno di quanto mi avevano promesso …”.

Sembra la sceneggiatura del film “The Help” tratto dal bestseller di Kathryn Stockett ambientato nel Mississipi dei primi anni ’60. E invece è la storia delle domestiche delle famiglie facoltose in vacanza a Londra nel 2014. 50 anni dopo, e anche nell’Europa dei diritti umani, non è cambiato molto nella condizione delle collaboratrici domestiche, anzi per certi versi pare proprio che ci sia una regressione rispetto al trattamento che subiscono queste lavoratrici straniere nel Regno Unito. O almeno, questo è quanto emerge dal recente rapporto dello Human Rights Watch Hidden away: abuses against migrant domestic workers in the UK. In particolare il rapporto si concentra sul caso delle lavoratrici domestiche di origine straniera che sono entrate nel Regno Unito con visti specifici per accompagnare i loro datori di lavoro provenienti dai paesi del Golfo Persico e giunti nel paese per turismo o per cure mediche. La maggior parte di esse sono donne provenienti da paesi dell’Asia come Filippine, India, Sri Lanka, Indonesia e dell’Africa come Nigeria e Marocco.

A prima vista, appare strano che un rapporto sulla condizione dei lavoratori domestici si concentri solo su una categoria così specifica e apparentemente minoritaria. In verità sono circa 15.000 i migranti che arrivano nel Regno Unito al seguito dei loro datori con un visto da “overseas domestic worker” e la loro condizione è particolarmente vulnerabile a causa della dipendenza dal proprio datore non solo per il lavoro, il vitto e l’alloggio, ma anche per il proprio “status di immigrato”. In quanto donne, straniere e domestiche, queste lavoratrici si trovano a vivere una situazione di debolezza multipla e sono a forte rischio di abusi e sfruttamento. Abusi che si consumano a porte chiuse fra le mura domestiche e che quindi sono invisibili e molto difficili da denunciare per le donne coinvolte.

Il rapporto dello Human Rights Watch, in buona parte basato sulle testimonianze dirette di una trentina di domestiche migranti intervistate a Londra fra il 2013 e il 2014, documenta diversi tipi di soprusi fisici e psicologici: dagli orari di lavoro estremamente lunghi e senza giorni di riposo, ai salari molto bassi o talvolta non corrisposti, fino al confinamento in casa, alla confisca del passaporto. Molte lavoratrici hanno raccontato di essere sopravvissute mangiando gli avanzi delle tavole delle famiglie per cui lavoravano, o che è stato impedito loro di avere un proprio cellulare e di contattare così i propri cari lontani, o che non veniva dato loro nemmeno una piccola somma di contanti per potersi comprare lo stretto necessario per l’igiene personale.

Questa situazione, spesso già sperimentata anche nei paesi del Golfo, è tanto più grave per queste lavoratrici in quanto, oltre a ciò che devono subire, spesso non riescono nemmeno a sostenere economicamente i propri famigliari rimasti in patria. Infatti, viste le restrizioni a cui vengono sottoposte, a molte non resta che accettare che le somme guadagnate siano inviate nel paese di origine direttamente dal datore di lavoro, con evidenti problemi di controllo sull’utilizzo effettivo del proprio denaro.

Di fronte ad una tale barbarie, verrebbe da pensare che tutto ciò sia estremamente illegale e che una volta denunciato, esistano tutti gli strumenti per potervi far fronte e sanzionare i responsabili degli abusi. E invece no. Scorrendo il rapporto, scopriamo che in realtà il Governo britannico ha delle enormi responsabilità rispetto a queste vere e proprie violazioni dei diritti umani nel cuore della City. Un primo fondamentale aspetto è la recente modifica della normativa in materia di permessi di soggiorno per i lavoratori domestici. Nell’aprile del 2012, contrariamente alle raccomandazioni del Parlamento, delle organizzazioni non governative e degli esperti delle Nazioni Unite, è stato abolito il diritto dei lavoratori domestici migranti di cambiare datore di lavoro, una volta raggiunto il paese. Al fine di ridurre l’arrivo di lavoratori non comunitari scarsamente qualificati, è stato quindi introdotto una sorta di “permesso vincolato” secondo il quale i lavoratori domestici stranieri non possono legalmente lasciare il proprio datore di lavoro e trovare un nuovo impiego.

Una delle giustificazioni fornite dal Governo di Sua Maestà per questo provvedimento è che affinché si instauri una “relazione genuina” fra il datore e il collaboratore famigliare è necessario che quest’ultimo lavori almeno un anno alle sue dipendenze prima di fare richiesta di visto d’ingresso nel Regno Unito e, da parte sua, il datore deve impegnarsi a sottoscrivere un contratto che riporti alcune condizioni fra cui l’obbligo di corrispondere un salario minimo. Ma non è previsto nessun meccanismo per monitorare che le condizioni contrattuali siano rispettate, né nel “civile Occidente” né tantomeno nei paesi del Golfo dove una legislazione sul lavoro è assente. Al contrario, questo meccanismo sembra proprio fatto apposta per legare a filo doppio i lavoratori con i propri datori, sia prima che dopo l’ingresso nel paese, incoraggiando così un sistema di costrizione e sfruttamento dei collaboratori domestici in entrambi i contesti.

Un secondo aspetto è rappresentato dai tagli finanziari all’assistenza legale gratuita, riservata ormai soltanto alle vittime di traffico di esseri umani. In questo modo, si impedisce di fatto alle lavoratrici domestiche di ricevere un aiuto legale (incluso dai tribunali del lavoro), anche se esse sono ugualmente vittime del lavoro forzato. Di conseguenza, “i lavoratori che sono maltrattati ora si trovano davanti ad un’orrenda scelta: o continuare a subire terribili abusi, o fuggire e diventare migranti irregolari, e di conseguenza ancora più vulnerabili e a rischio di ulteriori abusi”, denuncia Izza Leghtas, ricercatrice presso lo HRW. Infine, le collaboratrici domestiche straniere che lavorano per le famiglie dei diplomatici, sono ancora più esposte a causa dell’immunità di cui gode il personale diplomatico, che li esenta dal rispetto della legislazione nazionale.

Sebbene le leggi britanniche, europee ed internazionali sui diritti umani, prevedano delle tutele anche per i collaboratori domestici, per prevenire gli abusi sia da parte dei funzionari governativi che dagli individui privati, questi diritti rischiano di rimanere solo sulla carta, visti i recenti orientamenti del governo nazionale. Nel dicembre 2013 il Dipartimento degli Affari Interni ha presentato un progetto di legge per “contrastare le moderne schiavitù” inasprendo le pene per reati come traffico di esseri umani e lavoro forzato, ma nel piano i collaboratori domestici non sono menzionati. Human Rights Watch e altre ONG, impegnate nell’assistenza ai lavoratori domestici stranieri, stanno facendo pressioni sul governo affinché sia ampliata la portata di questo provvedimento, per assicurare una protezione appropriata per i lavoratori domestici. Fra le principali richieste vi è naturalmente il ripristino del diritto di cambiare datore di lavoro, ma anche l’eliminazione dell’immunità per i diplomatici in caso di denunce da parte dei loro dipendenti e il riconoscimento ai lavoratori domestici degli stessi diritti degli altri lavoratori dipendenti, come impone la Convenzione dell’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) sui Lavoratori Domestici che nel 2011 il Regno Unito si è rifiutato di ratificare.

La figura della lavoratrice domestica dovrà quindi attendere ancora per essere riconosciuta e adeguatamente tutelata, non sono nel Regno Unito. E in un’Europa sempre più bisognosa di assistenza famigliare privata a causa della sua popolazione in via d’invecchiamento e dei tagli al welfare pubblico, diventa particolarmente urgente preoccuparsi di queste lavoratrici che spesso si trovano a vivere una segregazione non così diversa da quella delle nere americane di 50 anni fa.  

 

SCHEDA/GLI STRUMENTI DI TUTELA

di Ciro Spagnulo

L’Italia è parte di numerosi strumenti giuridici internazionali specificatamente rivolti a prevenire e reprimere il fenomeno della tratta di esseri umani. I due principali sono il “Protocollo di Palermo” e la “Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani”. Il primo è applicabile solo ai casi di tratta transnazionale che coinvolgano un gruppo criminale organizzato. Il secondo è applicabile a tutte le forme di tratta di esseri umani, sia a livello nazionale che transnazionale, legate o meno alla criminalità organizzata. Inoltre, l’Italia è obbligata a realizzare gli obiettivi indicati nelle numerose Direttive Europee che si occupano del contrasto al fenomeno della tratta di esseri umani. La più rilevante, al momento, è la Direttiva 36/2011/UE.

A quest’ultima è stata data finalmente attuazione con il D.lgs. 4 marzo 2014 n° 24. Pone una particolare attenzione alla “specifica situazione delle persone vulnerabili quali i minori, i minori non accompagnati, gli anziani, i disabili, le donne, in particolare se in stato di gravidanza, i genitori singoli con figli minori, le persone con disturbi psichici, le persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica, sessuale o di genere”. Ha inasprito gli articoli 600 e 601 del codice penale che sanzionano, nell’ordine, il reato di riduzione e mantenimento in schiavitù (anche al fine del traffico illecito di organi umani) e il reato di tratta di esseri umani. Prevede, tra l’altro, la creazione di un Piano nazionale d’azione contro la tratta e lo sfruttamento degli esseri umani.

La legislazione italiana ha due meccanismi di assistenza e tutela delle vittime, attraverso le disposizioni dell’art. 18 del d.lgs. 286/1998 e dell’art. 13 della legge 228/2003. Il primo prevede la concessione di un permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale alle persone trafficate e la possibilità di essere inserite in programmi di assistenza e protezione. Il secondo prevede la creazione di un programma di assistenza che garantisce, in via transitoria, adeguate condizioni di alloggio, di vitto e di assistenza sanitaria alle vittime di tratta.

CAROVANA ANTIMAFIE/LE TAPPE EMILIANO ROMAGNOLE

di Franco Zavatti

 

Quella di quest’anno è la 20° edizione di vita della Carovana. Promossa da Libera-Arci-Cgil-Cisl-Uil-Avviso Pubblico,la Carovana Antimafie 2014, avrà propaggini pure internazionali, considerando il tema su cui si concentrerà : ” I nuovi schiavi. In cammino contro la tratta degli esseri umani “. Un filone fondamentale da svelare ed approfondire perchè è uno dei principali business delle mafie impiantate alle rive nord e sud del Mediterraneo, trasformato non in un “mare di mezzo”, di scambio ed incontro, bensì in luogo per nascondere e trafficare il più losco ed antico degli sfruttamenti : quello contro le persone disperate ed in cerca di un pò di futuro, ridotte a cose, oggetti, o sassi che tanto possono anche affondare. Un tema che richiama ancor più forte l’attenzione ed il lavoro del sindacato.

Per questo, d’intesa con tutti i promotori, cercheremo di caratterizzarne la settimana delle “tappe” emiliano-romagnole della Carovana,dal 5 al 12 maggio prossimi. A partire dal passaggio a Rimini, nella giornata di apertura del Congresso Nazionale Cgil, con don Ciotti. E poi via via, caratterizzando le tappe regionali sui temi del rispetto dei diritti e dignità dei lavoratori stranieri, oggetto di “antiche e moderne” forme di cinico sfruttamento,confinanti con vere e proprie forme di schiavitù. Sarà così che la tappa modenese, il 7 maggio, si occuperà della “tratta e sfruttamento” del cosidetto lavoro domestico o badantato. Poi la tappa reggiana, approfondire le modalità del fiorente e diffuso – anche nei nostri territori- lavoro nero degli stranieri, nell’esteso settore del facchinaggio, autotrasporto e logistica. La tappa di Parma affronterà invece l’analogo filone che intravede lo sfruttamento degli immigrati nelle cooperative fasulle, operanti a man bassa nel settore dell’agro-alimentare. Per non parlare delle “offerte” di manovalanza da caporalato, per i lavori nei canteri, in edilizia, nel movimento terra. Questa pesantissima crisi è resa ancor più lacerante ed inumana per quella “riserva” del mercato del lavoro manovrata dalle organizzazioni malavitose.

La Carovana 2014 è un’altra occasione: se sai contare, comincia a camminare.

Nel momento in cui scriviamo, le tappe sono in fase di organizzazione. Per aver calendari e dettagli definitivi rivolgersi alle sedi locali delle organizzazioni che promuovono e sostengono la Carovana.

Le tappe in Italia

Le tappe in Emilia Romagna:

lunedì 5 : mattina Forlì (1 furgone in arrivo dall’Umbria alle 10.00), ore 17.30 Cesena (2 furgoni)
martedì 6 : mattina/pomeriggio Rimini Congresso Nazionale Cgil, sera Ferrara
mercoledì 7: Modena
giovedì 8 : Reggio Emilia 
venerdì 9 : Piacenza, mattina. Incontro con Rita Borsellino
sabato 10: Bologna “Terra equa. commercio equo e legalità”
lunedì 12: Parma, sera. Incontro con Ivan Sagnet incontro sul settore dell’agroalimentare

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