“PER I DIRITTI. CONTRO LA XENOFOBIA”. UN’AGENDA PER I CANDIDATI ALLE PROSSIME ELEZIONI EUROPEE

13 Mag 2014

 

 

di Elisa Nobler

La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, così come le normative, le convenzioni e i documenti programmatici europei ed internazionali, richiamano sistematicamente il rispetto dei diritti umani, la tutela delle minoranze, il principio di non discriminazione. Ma basta guardarsi intorno e leggere i rapporti delle organizzazioni per i diritti umani per capire che l’Europa che si appresta a rinnovare il suo Parlamento alle prossime elezioni del 24 e 25 maggio è ancora drammaticamente lontana dall’applicazione di quei principi fondamentali. L’attuale crisi economica, poi, che si sta configurando anche come crisi dei valori di solidarietà e uguaglianza, diventa terreno fertile per la crescita e la diffusione di movimenti e partiti nazionalisti e populisti che soffiano sul fuoco dell’intolleranza e dell’odio verso l’“altro” in genere. Stranieri, rom, detenuti; per motivi diversi vengono ugualmente messi ai margini, stigmatizzati, criminalizzati. Abile strategia per ricercare consensi in questa difficile fase di mancanza di lavoro, di prospettive, di ideali per il futuro.

In questo contesto, assume quindi un’enorme importanza l’iniziativa Per i diritti. Contro la xenofobia”, promossa dalle associazioni Antigone, Lunaria e 21 Luglio e in collaborazione con ASGI – Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione. Una “campagna nella campagna” (elettorale) volta a sensibilizzare e fare pressione sui candidati alle elezioni europee affinché essi si impegnino prima e, soprattutto, dopo le consultazioni, a garantire il rispetto dei diritti fondamentali di migranti, rom e detenuti, che oggi risultano fortemente compromessi. Uno dei principali obiettivi della campagna è quindi il contrasto delle tendenze in atto, con attività di informazione e di denuncia delle violazioni dei diritti. Ma non ci si limita alla sola denuncia. Con l‘“Agenda dei diritti umani in Europa. Migranti, rom e detenuti”, un vademecum che verrà consegnato ai candidati, oltre all’analisi dello stato dell’arte, sono presentate anche delle proposte politiche che auspicano un vero cambio di rotta negli indirizzi e nelle pratiche nazionali e comunitarie.

Uno dei maggiori limiti delle attuali politiche italiane ed europee che riguardano migranti, rom e detenuti, è il trattenimento o il confinamento in “campi” separati dal resto della popolazione. Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE) per migranti “irregolari”, Centri di Accoglienza per i Richiedenti Asilo (CARA), campi nomadi per rom o sinti, carceri per i detenuti. Anche se hanno caratteristiche molto diverse, basate in primo luogo sulla possibilità o meno di entrare e uscire liberamente, sono tristemente simili dal punto di vista delle condizioni di vita all’interno. Soprattutto in Italia, tutti sono caratterizzati da sovraffollamento, e quindi da promiscuità e mancanza di riservatezza e di igiene, mancanza di cure adeguate, e maltrattamenti da parte del personale di sorveglianza. Trattamenti che, con riferimento alle nostre carceri, sono stati definiti dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo come “inumani e degradanti”. È quindi improrogabile una seria riforma del nostro sistema penitenziario che punti in primo luogo a ridurre il sovraffollamento carcerario e a migliorare le condizione di vita e della salute dei detenuti, promuovendo l’occupazione e la formazione professionale al fine di garantire il reinserimento sociale e abbattere il tasso di recidiva. I centri di detenzione amministrativa per migranti risultano oggi assolutamente inefficaci rispetto all’obiettivo di ridurre la migrazione “irregolare”, in presenza di una normativa che lega strettamente permesso di soggiorno e contratto di lavoro e di una richiesta di manodopera a basso costo soprattutto nell’enorme settore sommerso. Anche in ragione del loro costo non giustificato dai risultati, e del loro dubbio profilo giuridico, si auspica una definitiva chiusura di questi centri. Infine, i “campi nomadi”, per una popolazione che ormai nomade non è più, dovrebbero essere progressivamente abbandonati a favore di progetti inclusivi in materia di diritto all’alloggio che coinvolgano direttamente gli interessati, come forme di auto-costruzione, ricostruzione e manutenzione delle abitazioni.

Un’altra delle priorità più urgenti è la necessità di riconoscere realmente il diritto dei migranti di arrivare in Europa e in Italia e di poter chiedere asilo. Il 3 ottobre 2013, 366 migranti sono morti nei pressi di Lampedusa nel tentativo di raggiungere le coste della Fortezza Europa. Purtroppo, però, si si tratta solo della più grave delle numerose stragi che avvengono ogni anno nel Mediterraneo e che testimoniano il fallimento delle politiche nazionali e comunitarie di governo delle migrazioni. Politiche tutte incentrate sul controllo delle frontiere esterne che, oltre ad essere estremamente costose, si fondano sull’attività di organizzazioni di dubbia legittimità come FRONTEX e su accordi di riammissione e di cooperazione con i paesi di origine, che non garantiscono il rispetto di minimi standard di dignità umana e, come la Libia, non hanno ratificato la Convenzione internazionale di Ginevra sul diritto di asilo. Per porre fine a questa barbarie, l’Agenda sottolinea come il più efficacie strumento di lotta all’immigrazione “irregolare” sia la facilitazione dell’ingresso legale sul territorio per ricerca di lavoro e per ricongiungimento famigliare, oltre che la garanzia di poter chiedere asilo e di non essere respinti, scongiurando altri vergognosi episodi come quello del respingimento di profughi somali ed eritrei dall’Italia in Libia, per il quale siamo stati anche condannati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Sarebbe quindi auspicabile un ribaltamento del rapporto fra le risorse destinate al controllo delle frontiere e ai rimpatri (oggi quasi 2,5 miliardi di euro) e quelle destinate all’accoglienza e all’inclusione (oggi circa 1,5 miliardo di euro).

Naturalmente, il preoccuparsi maggiormente di tutelare tutti coloro che risiedono in Europa, implica mettere in discussione anche la nozione di “cittadino” o perlomeno di scollegarla dall’ormai anacronistico concetto di “nazione” come identità di sangue, suolo e cultura. Di fronte al diffondersi di gruppi che si richiamano ad un modello di cittadinanza “esclusiva”, riservata a pochi, l’Agenda contrappone invece un’idea di “cittadinanza europea di residenza” che riconosca pari diritti ai milioni di cittadini di origine straniera residenti da anni in Europa, così come ai loro figli nati o giunti in Europa in tenera età. Favorire un accesso più facile alla cittadinanza e promuovere un’idea di cittadinanza aperta e inclusiva, non significa solo liberare molti stranieri dal ricatto del permesso di soggiorno e dalle discriminazioni nell’accesso alle cariche nel pubblico impiego e a certi servizi del welfare. Significa affrontare, ad esempio anche la questione dello status giuridico dei rom, molto spesso apolidi o cittadini di uno stato non più esistente (ad. es. Ex-Jugoslavia), che richiede strumenti specifici per far emergere queste persone da un limbo di irregolarità che ostacola il pieno godimento dei diritti fondamentali.

Significa anche riconoscere diritti e doveri fra cui quello di votare ed essere rappresentati. Diritto che, in attesa di una vera riforma della legge sulla cittadinanza, dovrebbe essere garantito ai cittadini stranieri non comunitari almeno per le elezioni amministrative ed europee. L’allargamento del suffragio anche alla popolazione rom, spesso non registrata anche se cittadina, e ai detenuti che rimangono “cittadini di serie B” anche una volta scontata la pena, è indice di una democrazia che vuole far progredire sé stessa, e che anzi dovrebbe interrogarsi sul progressivo calo dell’affluenza alle urne da parte degli aventi diritto; in particolare alle elezioni europee, viste ancora come poco importanti, perché le istituzioni comunitarie appaiono lontane, poco comprensibili e ultimamente anche poco popolari visti i risultati delle politiche di austerity.

In questo quadro, quindi, diventa fondamentale sensibilizzare candidati e opinione pubblica sull’opportunità che le prossime elezioni europee ci forniscono per imprimere un vero cambio di passo alle politiche europee. Resta da vedere se i candidati saranno capaci di raccogliere queste sollecitazioni e se si spenderanno per una reale applicazione delle norme esistenti in difesa dei diritti umani a tutti i livelli istituzionali e per adottarne altre – una fra tutte il reato di tortura – e se riusciranno a ridurre il razzismo istituzionale e mediatico. D’altra parte chissà se gli elettori saranno capaci di resistere alle sirene dell’euro-scetticismo e a capire che tutelare i diritti dei gruppi più ai margini, significa tutelare anche i propri diritti e che solo un’Europa più accogliente e più unita potrà sopravvivere a sé stessa.

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