13 Ott 2014
di Ciro Spagnulo
Ogni estate, le anticipazioni del Rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno provano a ricordare che una delle principali anomalie italiane resta la coesistenza di due ampie realtà geografiche che, dopo un secolo e mezzo di vita in comune, continuano a restare profondamente divise sotto il profilo economico e sociale. Ogni estate, però, le reazioni alla crude cifre del Rapporto è la disattenzione. Perfino nello stesso Mezzogiorno, dove solo un giornale, all’indomani della presentazione alla Camera delle anticipazioni, il 31 luglio, diede il giusto rilievo ai dati choc titolando in prima pagina “Campane a morte per il Sud”. Ed eccoli i dati choc del 2013: il divario di Pil pro capite tornato ai livelli di dieci anni fa; i consumi delle famiglie crollati quasi del 13% negli anni di crisi 2008-2013 e gli investimenti nell’industria addirittura del 53%; i tassi di iscrizione all’Università tornati a quelli dei primi anni Duemila; il numero di occupati sceso sotto i 6 milioni, il livello più basso dal 1977. “Una terra a rischio desertificazione industriale e umana, dove si continua a emigrare, non fare figli e impoverirsi: in cinque anni le famiglie assolutamente povere sono aumentate di due volte e mezzo, da 443mila a 1 milione e 14mila nuclei”. E, dice lo Svimez, le previsioni 2014-2015 confermano il trend negativo.
Durante la conferenza stampa di anticipazione, Riccardo Padovani, Direttore della SVIMEZ, disse che il Rapporto “non vuole offrire un mero aggiornamento delle nostre analisi alla luce dei dati precedenti o un quadro che sia soltanto la somma di un susseguirsi di variazioni congiunturali negative al Sud, ma contribuire a una consapevole identificazione delle condizioni strutturali, che vanno ben oltre gli aspetti ciclici, su cui intervenire per affrontare le emergenze, arrestare la recessione e riprendere un cammino di sviluppo”. Prima ancora, è però necessario che il dibattito meridionalista fuoriesca dalla marginalità a cui è stato relegato e con urgenza riacquisti il rilievo che merita.
Oppure, davvero, nel 2040 “si potrà ‘redicontare’ che è svanito il Mezzogiorno: senza clamore, per eutanasia”, come avverte Adriano Giannola, Presidente della Svimez, perché senza un disegno, i giovani del Sud, privi di voice, scelgono ormai da anni l’exit alimentando in silenzio un’emigrazione selettiva che sta provocando l’inversione della piramide demografica”.
Dopo le anticipazioni estive, il Rapporto completo verrà presentato il 28 ottobre a Roma.
SVIMEZ. AL SUD MENO NASCITE, PIÙ MIGRANTI. VERSO LA CATASTROFE DEMOGRAFICA
L’intreccio perverso tra crisi economica e dinamiche demografiche, già sottolineato nelle precedenti edizioni del Rapporto SVIMEZ, assume caratteri molto più definiti. Nel decennio 2001-2011 la popolazione è cresciuta di 104 mila unità nel Mezzogiorno (+5,0) e di circa 2,3 milioni di unità nel Centro-Nord (+63,9). Nel decennio, variazioni decisamente negative riguardano la sola popolazione italiana che si riduce di 263 mila unità al Sud, mentre cresce di 6 mila nelle regioni del Centro-Nord. In questo caso, il fattore principale di variazione è rappresentato dalle migrazioni interne che nel Mezzogiorno continuano a determinare un deflusso di popolazione nativa che ha permesso a diverse regioni centro-settentrionali di bilanciare la perdita dovuta alla dinamica naturale e di accrescere il numero di autoctoni residenti.
I dati del 2013 confermano la grave crisi demografica del Sud, affermatasi a partire dall’inizio del nuovo secolo, poi acuita dalla pesante crisi economica. L’anno scorso, infatti, la popolazione meridionale si valuta sia calata di circa 20 mila unità. Da ciò emergono con chiarezza due elementi: la ripresa delle emigrazioni verso il Centro-Nord ma soprattutto verso l’estero; inoltre per il secondo anno consecutivo il numero dei morti sopravanza quello dei nuovi nati. In Italia si assiste a un calo delle nascite, particolarmente evidente al Sud, e questo fenomeno crea un saldo negativo, tradottosi in una diminuzione della popolazione via via crescente.
Il profondo divario tra le aspettative, soprattutto delle nuove generazioni in termini di realizzazione personale e professionale e le concrete occasioni di impiego qualificato sul territorio ha determinato tra il 2001 e il 2013 la partenza dal Sud verso il Centro-Nord di oltre 1.559.100 meridionali, a fronte di un rientro di 851 mila persone, con un saldo migratorio netto di 708 mila unità. Di questa perdita di popolazione il 70%, 494 mila unità, ha riguardato la componente giovanile, di cui poco meno del 40% (188 mila) laureati.
Quanto alla dinamica naturale della popolazione, il numero dei nati nel Mezzogiorno, così come nell’Italia nel suo complesso, ha toccato nel 2013 il suo minimo storico: 177 mila, il valore più basso dall’Unità d’Italia.
Uno dei problemi centrali del Mezzogiorno è, quindi, la progressiva rarefazione delle giovani generazioni, con gli ormai già evidenti effetti sull’evoluzione demografica dell’area meridionale. Da un’area giovane e ricca di menti e di braccia, il Sud si trasforma sempre più in un’area anziana, economicamente sempre più dipendente dal resto del Paese.
Se questa tendenza alla perdita di peso demografico non verrà sollecitamente contrastata, il Mezzogiorno è un’area che sarà caratterizzata nei prossimi anni e decenni da uno stravolgimento demografico, un vero e proprio “tsunami” dalle conseguenze imprevedibili.
L’emigrazione, assieme alla lunga persistenza in uno stato di inoccupazione e “scoraggiamento” a investire nella formazione più avanzata, ha anche innescato una spirale di “depauperamento” del capitale umano.