ANCHE LE PAROLE POSSONO UCCIDERE. UNA CAMPAGNA PER L’USO RESPONSABILE DEL LINGUAGGIO

28 Ott 2014

 

Avvenire, Famiglia Cristiana e FISC, Federazione dei 190 settimanali cattolici italiani, hanno annunciato il 23 ottobre a Montecitorio, alla presenza della Presidente Laura Boldrini, la campagna sociale contro la discriminazione “Anche le parole possono uccidere – No alla discriminazione. L’altro è come me – #migliori si può”, che invita ad un uso responsabile del linguaggio. I promotori sono convinti che una deriva nell’uso del linguaggio si traduca spesso in comportamenti discriminatori e, per l’appunto, invitano ad una maggiore responsabilità nell’uso del linguaggio. E’ un richiamo che unsolomondo condivide e rilancia.

La campagna si ispira alle parole pronunciate a braccio, di recente , durante un Angelus in piazza San Pietro: “ Voi sapete che anche le parole uccidono. Quando io sparlo, faccio una critica ingiusta, spello con la mia lingua un fratello: anche questo è uccidere. Anche le parole uccidono. E’ molto brutto vedere uscire dalla bocca di un cristiano un insulto o un’aggressione. E’ brutto, capito? Niente insulti. Insultare non è cristiano. In realtà, davanti a Dio siamo tutti peccatori e bisognosi di perdono, tutti. Gesù ci ha detto infatti di non giudicare”.

Il mondo dell’editoria già nei giorni precedenti si era reso protagonista di un’ altra pregevole iniziativa, ‘Europa’, un lavoro di inchiesta e di approfondimento con il quale La Stampa ha contribuito a far conoscere numeri e dati dell’immigrazione e, soprattutto, a sfatare miti. L’iniziativa è stata condotta in collaborazione con altre testare europee.

NON SONO RAZZITA, MA… /RICERCA DI FAMIGLIA CRISTIANA E SWG A SUPPORTO DELLA CAMPAGNA “ANCHE LE PAROLE POSSONO UCCIDERE”

A supporto della campagna “Anche le parole possono uccidere” Famiglia Cristiana ha commissionato a SWG una rilevazione demoscopica sugli “italiani e la discriminazione” dalla quale viene fuori che sono gli italiani stessi a reputarsi razzisti e discriminatori.

L’assunto di partenza dell’indagine è che per orientarsi nell’insieme delle relazioni che caratterizzano la quotidianità, tutti noi dobbiamo usare strumenti di pre-comprensione della realtà basati sia sull’esperienza individuale (“cosa m’è accaduto in una situazione del genere?”), sua su quella collettiva (“che si dice in giro su quanto sarebbe accaduto ad altri in una situazione del genere?”). “Insomma: l’esperienza vissuta assieme a quanto mi dicono i media, le agenzie educative e la famiglia su un determinato tema sono il bagaglio necessario che costituisce sempre la nostra ‘visione del mondo’, che a volte può generare atteggiamenti e comportamenti discriminatori”.

La ricerca ha sottoposto agli intervistati otto situazioni tipo (dal “vedere per strada due omosessuali prendersi per mano”, a “essere fermati da persone di colore che vendono merce”), misurando le emozioni riferite per ciascuna di esse.

I risultati evidenziano come vedere persone che chiedono la carità, un tossicodipendente accasciato su una panchina o un gruppo di persone Rom generino prevalentemente emozioni negative: disagio nei confronti dei mendicanti (32% degli intervistati), rabbia verso i tossicodipendenti (29%) e paura nei confronti dei Rom (25%).

Così, se è molto probabile che nessuno degli intervistati abbia vissuto l’esperienza diretta di un attentato terroristico di matrice araba, il 36% dichiara di avere temuto che una persona araba vista all’aeroporto potesse essere un terrorista. Allo stesso modo per quanto ben pochi, probabilmente, sono stati borseggiati da una persona di etnia Rom su un autobus, l’83% degli intervistati dichiara di avere tenuto sotto controllo il proprio portafoglio quando una “zingara” è salita sull’autobus che stavano utilizzando.

Per approfondire la presenza o meno di atteggiamenti discriminatori e di narrazioni sociali negative nei confronti di particolari tipologie di persone, è stato chiesto agli intervistati di esprimere il proprio grado di simpatia/antipatia nei confronti di una serie di soggetti. Ne è emerso che gli italiani provano una marcata simpatia (punteggio medio superiore a 7 in una scala da 1 a 10) per i giovani, le donne, gli anziani, i poveri, gli uomini, i cristiani e i meridionali.

Rientrano invece in “un’area di neutralità” (punteggio pari a 6) i settentrionali, le persone di colore, le persone molto magre, gli omosessuali, le persone molto grasse e gli ebrei.

Suscitano antipatia (punteggio medio tra 4 e 5) i ricchi, i musulmani e le persone che chiedono la carità. Infine, le categorie di persone per cui i rispondenti provano una marcata antipatia (punteggio medio inferiore a 4) sono i rom e sinti e i tossicodipendenti.

Però, per ogni categoria presa in considerazione, esiste una quota di intervistati decisamente favorevole ed una quota di intervistati decisamente contraria, e ciò testimonia come, al di là della narrazione collettiva prevalente, per ogni gruppo esistano delle subnarrazioni contrastanti. Prendendo in considerazione le due categorie più estreme (i giovani e i tossicodipendenti), si osserva ad esempio che se il 62% degli intervistati esprime una valutazione positiva nei confronti dei giovani, esiste comunque un 13% di intervistati che li valuta negativamente; allo stesso modo, se il 71% della popolazione esprime un giudizio negativo nei confronti dei tossicodipendenti, esiste un 15% che prova simpatia nei loro confronti. Ciò evidenzia come, per ogni ambito della quotidianità esistano delle narrazioni diametralmente opposte, che originano da assunti diversi e che portano a mettere in atto comportamenti fortemente differenziati.

Per approfondire quali siano gli atteggiamenti di fondo che portano a queste diverse interpretazioni della realtà, i dati rilevati dall’indagine sono stati incrociati con altri dati derivati dall’osservatorio SWG sulla popolazione. Ciò ha permesso di osservare come chi fa riferimento ai valori della patria e ai valori della tradizione cattolica tende a mostrare una tolleranza più ampia rispetto al totale della popolazione, tranne che (soprattutto tra i cattolici più intransigenti) per gli omosessuali. Allo stesso modo, chi crede molto nel valore della scuola e della formazione si mostra più tollerante della media rispetto a tutte le categorie considerate. Anche il senso di insicurezza, la percezione di essere inclusi o esclusi nella società e il generale atteggiamento verso i migranti mostrano una correlazione significativa con alcune specifiche categorie.

Ciò sembra confermare che da un lato gli elementi culturali ed educativi hanno un effetto di protezione sulla crescita di atteggiamenti discriminatori, mentre le difficoltà e le paure individuali li alimentano.

L’indagine ha tentato anche di misurare come, in prospettiva, alcune situazioni potessero essere fonte di imbarazzo per gli intervistati.

Da questo punto di vista si conferma come tossicodipendente e rom/sinti siano le categorie sociali nei confronti delle quali è più alto il senso di disagio. Infatti il 70% dei rispondenti si sentirebbe a disagio ad andare a cena con un tossicodipendente e il 74% ad averlo come vicino di casa. Allo stesso modo il 66% degli intervistati sarebbe in difficoltà ad andare a cena con una persona di etnia rom/sinti e ben il 70% ad averla come vicino di casa.

Anche nei confronti delle persone extracomunitarie e dei musulmani è evidente la presenza di significative difficoltà di approccio da parte di una quota rilevante di intervistati. Il 41% si sentirebbe a disagio ad avere un vicino di casa extracomunitario e il 28% ad averlo come collega di lavoro, mentre il 42% degli intervistati nutrirebbe lo stesso sentimento ad avere come vicino di casa un musulmano ed il 33% ad averlo come collega. Persistono poi anche pregiudizi di lunga durata: il 13% degli intervistati si sentirebbe a disagio ad avere sul lavoro una donna come capo (15% tra i maschi) e il 24% ad avere come vicini persone di origine ebraica.

Il pregiudizio aumenta tanto più sentiamo il rischio di un coinvolgimento personale. Una figlia fidanzata con un tossicodipendente metterebbe a disagio l’82% degli intervistati. Lo stesso accadrebbe se il fidanzato fosse un ragazzo rom/sinti (73%), un musulmano (69%), un uomo molto più anziano di lei (58%), un’altra donna (54%), un extra-comunitario (50%), un disabile (39%), un ebreo (38%) o un ragazzo povero (29%).

La percezione e l’attenzione nei confronti del fenomeno è molto ampia. Non solo la grande maggioranza degli intervistati ha la percezione che in Italia siano diffusi atteggiamenti discriminatori, in particolare legati alle preferenze sessuali (87%) e alle origini etniche (83%), o ha assistito in prima persona a situazioni in cui qualcuno veniva discriminato, ma ben il 66% degli intervistati dichiara di essersi sentito discriminato almeno una volta, e il 51% di avere vissuto più episodi di discriminazione nel corso della propria vita. I motivi più frequenti per cui si sono sentiti discriminati i rispondenti sono: la condizione economica (40%), i motivi estetici (36%), il peso (35%) e il genere (34%).

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