L’IMPIETOSA ANALISI SVIMEZ DOVREBBE SPINGERE A METTERE IL MEZZOGIORNO IN PRIMO NELL’AGENDA DI GOVERNO

28 Ott 2014

 

di Vincenzo Intermite

 

La crisi economica mondiale che imperversa da diversi anni e che, a tutt’oggi, non ha trovato soluzioni definitive e soddisfacenti in nessuna parte d’Europa, fatta eccezione per “ripresine” parziali, temporanee e circoscritte ad alcune aree più fortunate o più virtuose, ha avuto un impatto particolarmente devastante nel Meridione d’Italia. La Conferenza stampa di anticipazione del Rapporto SVIMEZ 2014, dà un quadro desolante per ciò che concerne gli anni pasati: calo dei redditi, crollo della capacità d’acquisto delle famiglie e degli investimenti nell’industria, aumento esponenziale della disoccupazione, soprattutto giovanile, minori investimenti, da parte delle famiglie nella formazione universitaria dei giovani e,dunque, crisi sul piano della cultura, delle competenze e delle risorse intellettuali; ma ciò che più inquieta sono le previsioni relative agli anni che ancora ci attendono. ‹‹L’impatto sul Sud››, dice Riccardo Padovani, Direttore della SVIMEZ, ‹‹sia sul versante produttivo che su quello sociale e occupazionale, è stato non solo di maggiore entità ma ha prodotto effetti che non appaiono più transitori, ma strutturali›› e aggiunge:‹‹La stessa dinamica si protrarrà nel biennio 2014-2015, con un Sud che continua la sua spirale recessiva, mentre il resto del Paese si avvierà ad una lenta, e forse troppo debole ripresa. Alla fine di una crisi che sarà durata otto anni […] il profilo economico e sociale del Mezzogiorno sarà stravolto››.

Di fronte ad un’analisi così impietosa sarebbe logico aspettarsi che la quasi bicentenaria Questione Meridionale abbia un posto di primo piano nell’agenda del governo Renzi e di quelli successivi, entro il quadro dei provvedimenti da adottare per portare l’Italia fuori dalla crisi, perché la crescita economica e lo sviluppo dell’Italia intera non prescindono e non possono prescindere dalla ripresa del Mezzogiorno, né sono pensabili nella prospettiva di un inesorabile declina di una parte così importante e popolosa del Paese: la Questione Meridionale è Questione Nazionale, scriveva Gaetano Salvemini oltre un secolo fa, ma pare che né la levatura morale e culturale dello studioso, né le conferme della storia alle tesi da lui sostenute, abbiano minimamente scalfito la coriacea indifferenza delle classi dirigenti italiane che da allora ad oggi hanno assunto la guida del Paese; anzi, oggi la Questione Meridionale appare un problema negletto e superato, demodè, come se un problema si risolvesse da sé per il semplice fatto che non trova più posto nella pagine dei giornali e nei dibattiti politici.

Servono dunque interventi strutturali e urgenti, dettati da un’analisi seria del problema e non da considerazione di equilibri politici e di spartizione di cariche pubbliche e denari, che portano a soluzioni vacue ed effimere utili solo a passerelle elettoralistiche: si tratta di incidere in profondità nell’attuale assetto socio-economico-culturale del Mezzogiorno per debellare quelle malattie che rischiano, in tempi anche troppo brevi, di degenerare in una patologia mortale; e si tratta di interventi a tutto tondo che vanno dall’ambito economico a quello sociale, dal settore giuridico a quello dell’ ordine pubblico, perché non sono certo estranei alla situazione di recessione del Mezzogiorno i fenomeni di corruzione finanziaria e industriale, di evasione e di frode fiscale, degli appalti truccati legati ad un rapporto degenerato tra amministrazioni e territorio, dell’imperversare delle mafie e di altre forme di parassitismo sociale. Tutto ciò non può che scoraggiare gli investimenti, frenare la crescita, squilibrare il mercato dei prodotti e del lavoro, creare disoccupazione, sottoccupazione, lavoro nero e/o precario, indurre all’emigrazione verso aree geografiche più promettenti e meno degradate, determinare il crollo delle nascite; in poche parole: desertificazione e catastrofe demografica.

È la lotta contro queste degenerazioni il primo provvedimento da adottare: non certo lo smantellamento dei diritti dei lavoratori e le politiche di liberismo selvaggio che, abbattendo ulteriormente la capacità d’acquisto delle famiglie, determinano il calo della domanda e quindi dell’offerta e frenano, perciò, gli investimenti. Sarebbe piuttosto necessaria la ripresa di politiche keynesiane che implicano il welfare state, il riconoscimento dei diritti dei lavoratori, un positivo rapporto dei governi con i sindacati, intesi come interlocutori privilegiati nella pianificazione delle politiche sociali, la creazione di posti di lavoro, il sostegno alle fasce più deboli della popolazione: tutto ciò, insomma che possa contribuire a sostenere la domanda e a determinare sviluppo: è in questo senso che si deve intervenire e urgentemente, perché, come scrisse Salvemini a Turati e ai socialisti settentrionali, che poco si curavano delle condizioni del Mezzogiorno: ‹‹O voi tirate su noi, o noi tiriamo giù voi››.

IN DIECI ANNI PARTITI DAL SUD UN MILIONE E MEZZO DI PERSONE

In dieci anni, dal 2001 al 2011 sono migrate dal Mezzogiorno verso il Centro-Nord oltre 1 milione e mezzo di persone, di cui 188 mila laureati.

Il tasso di fecondità non garantisce più la stabilità demografica. Il Sud sarà quindi interessato nei prossimi anni da un stravolgimento demografico, uno tsunami

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