CORTE DI GIUSTIZIA UE. RISPETTARE RISERVATEZZA E DIGNITÀ DEI RICHIEDENTI ASILO GAY

11 Dic 2014

 

I giudici degli stati membri possono valutare la credibilità di una dichiarazione, ma non è loro consentito chiedere ad un richiedente di dimostrare il suo orientamento sessuale attraverso modalità che violerebbero la sua privacy o dignità personale, come test medici o richieste di fornire dettagli sui propri trascorsi sessuali. Lo ha stabilito la Corte di Giustizia dell’Unione Europea pronunciandosi sul caso di tre uomini, di cui uno proveniente dall’Uganda e uno da un paese musulmano, che non sono riusciti a ottenere il permesso d’asilo da un tribunale olandese. I tre richiedenti hanno proposto appello avverso tali decisioni. Investito della controversia, il Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi) ha interrogato la Corte di Giustizia dell’UE sugli eventuali limiti che potrebbero essere imposti dal diritto dell’Unione quanto alla verifica dell’orientamento sessuale dei richiedenti asilo.

In via preliminare, la Corte di giustizia rileva, nella sua sentenza, che le dichiarazioni di un richiedente asilo relative al proprio orientamento sessuale costituiscono solo il punto di partenza nel processo di esame della richiesta e possono necessitare di una conferma. Tuttavia, le modalità di valutazione, da parte delle autorità competenti, di tali dichiarazioni e degli elementi di prova presentati a sostegno di richieste devono essere conformi al diritto dell’Unione e segnatamente ai diritti fondamentali garantiti dalla Carta, quali il diritto al rispetto della dignità umana e il diritto al rispetto della vita privata e familiare.

Peraltro, tale valutazione deve essere individuale e tener conto della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente (compresi fattori quali la sua estrazione, il suo sesso e la sua età), al fine di valutare se gli atti a cui è stato o potrebbe essere esposto si configurino come persecuzione o danno grave.

In tale contesto, la Corte fornisce le seguenti indicazioni quanto alle modalità di valutazione da parte delle autorità nazionali.

In primo luogo, la valutazione delle richieste di asilo sulla sola base di nozioni stereotipate associate agli omosessuali non consente alle autorità di tener conto della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente. Il fatto che un richiedente non sia in grado di rispondere a tali domande non può costituire, di per sé, un motivo sufficiente per concludere per la sua mancanza di credibilità. In secondo luogo, anche se le autorità nazionali possono procedere, se del caso, a interrogatori destinati a valutare i fatti e le circostanze concernenti l’asserito orientamento sessuale di un richiedente asilo, gli interrogatori sui dettagli delle pratiche sessuali del richiedente sono contrari ai diritti fondamentali garantiti dalla Carta e, segnatamente, al diritto al rispetto della vita privata e familiare. Quanto, in terzo luogo, alla possibilità, per le autorità nazionali, di accettare, come hanno proposto taluni richiedenti asilo, il compimento di atti omosessuali, il loro assoggettamento a eventuali «test» per stabilire la loro omosessualità o ancora la produzione di prove quali registrazioni video dei loro atti intimi, la Corte sottolinea che tali elementi, oltre al fatto che non hanno necessariamente valore probatorio, sarebbero idonei a ledere la dignità umana il cui rispetto è garantito dalla Carta. Per di più, autorizzare o accettare un tipo di prove del genere avrebbe un effetto incentivante nei confronti di altri richiedenti e equivarrebbe, di fatto, a imporre a questi ultimi prove siffatte. In quarto luogo, considerata la delicatezza delle informazioni relative alla sfera personale di un individuo e, segnatamente, alla sua sessualità, non si può concludere che quest’ultimo manchi di credibilità per il solo fatto che, a causa della sua reticenza a rivelare aspetti intimi della propria vita, egli non abbia dichiarato immediatamente la propria omosessualità.

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