28 Gen 2015
Per il 48% degli intervistati, gli immigrati non sarebbero necessari per coprire quei mestieri non più graditi ai nostri connazionali, mentre l’80% ritiene che gli italiani debbano avere precedenza sugli immigrati sia rispetto alle opportunità di lavoro che alle possibilità di accesso ad alloggi popolari. Per quanto attiene alla dimensione familiare, per tre italiani su quattro i matrimoni misti possono produrre maggiore integrazione culturale, e lo stesso ricongiungimento favorisce la loro integrazione sociale. Di fatto, è possibile concludere che secondo gli italiani le famiglie stesse possono costruire ponti e colmare distanze tra gruppi e persone che si ritengono “diverse”. Sono alcuni dei risultati del Rapporto 2014 del Centro Internazionale Studi Famiglia presentato nei giorni scorsi al Centro Internazionale Studenti Giorgio La Pira di Firenze. 4.000 le interviste realizzate dal CISF, più del doppio della misura consueta del campione utilizzato ordinariamente dai principali istituti di sondaggio, con due obiettivi principali: da un lato indagare la conoscenza del fenomeno da parte delle famiglie italiane e la valutazione conseguente che di esso esprimono; dall’altro, iniziare a vedere se la dimensione familiare che l’immigrazione ha ormai ampiamente assunto viene percepita e in che termini. Secondo i dati 2013 del rapporto Idos-Unar sono 2.350.000 le famiglie con almeno un componente non italiano, mentre risultano 5.360.000 gli immigrati presenti sul suolo nazionale, l’8,1% dei quali residenti, (su un totale di 60.783.000). Di questi, i cristiani risultano il 53,2%, il 29,6% ortodossi, il 33,1% musulmani. Dalla Romania risultano oltre 1 milione di presenze, 525.000 dal Marocco, 503.000 dall’Albania, 321.000 dalla Cina e 234mila dall’Ucraina.