Modena, 30 marzo 2016
Si cominciano a vedere i primi effetti del Jobs Act sul territorio modenese. Ovvero i primi licenziamenti individuali ai sensi del decreto legislativo 23/2015, il cosiddetto Jobs Act. Licenziamenti che non permettono la reintegra del lavoratore, anche qualora dimostrasse davanti al giudice l’illegittimità del licenziamento stesso.
Per quanto riguarda il settore metalmeccanico a Modena, nelle scorse settimane, un’azienda associata a Confindustria, e con una cassa integrazione aperta firmata dalla stessa Associazione, ha deciso di licenziare un operaio per temporanea riduzione dell’attività lavorativa in un reparto.
Che fine ha fatto per Confindustria il Patto regionale per attraversare la crisi, dove tutte le parti sociali si sono impegnate a utilizzare tutti gli strumenti possibili prima di arrivare al licenziamento?
Inoltre, dove sono finite le rassicurazioni di Confindustria, anche a mezzo stampa, sul fatto che a Modena non esistono aziende che usano in modo leggero la normativa del Jobs Act ?
Il caso in questione conferma poi uno dei timori sollevato sin dall’inizio dalla Cgil e dalla Fiom, ovvero la rinuncia del lavoratore a difendersi. Infatti il lavoratore ha deciso, suo malgrado, di non impugnare il licenziamento e di accettare da subito la proposta conciliativa dell’impresa, nonostante ci fossero elementi per intentare una causa e provare a dimostrare il mancato giustificato motivo oggettivo del licenziamento. Andare in giudizio con il Jobs Act è infatti più rischioso che altro, visto che, se si vince, comunque non è possibile la reintegra (sono rari i casi in cui il giudice può disporre in tal senso), e se si perde si rischia di pagare tanti soldi di spese legali.
Tutto ciò conferma l’inciviltà di questa norma. Bisogna quindi fare di tutto per cambiarla, ripristinare le condizioni affinché il lavoratore possa difendersi e riavere il suo posto di lavoro in caso di sentenza a suo favore.
Con il Jobs Act viene meno anche la funzione del giudice del lavoro, in quanto saranno sempre meno i casi di lavoratori che si rivolgeranno alla magistratura, e qualora si vada a sentenza questa sarà fatta solo con la calcolatrice, potendo il giudice decidere solo come quantificare l’indennizzo sulla base dell’anzianità di servizio.
Per questa ragione è importante che la proposta di legge di iniziativa popolare della Cgil per un nuovo Statuto, ovvero la Carta universale dei diritti dei lavoratrici e delle lavoratrici, e per i 3 quesiti referendari per abrogare gli aspetti più negativi delle recenti leggi sul mercato del lavoro, veda l’impegno nella raccolta firme di tutte le forze politiche e sociali che hanno a cuore i diritti dei lavoratori.
La raccolta firme parte infatti in questi giorni, dopo la campagna straordinaria di assemblee che ha visto tutte le categorie della Cgil consultare migliaia di iscritti e registrare l’alto consenso per questa proposta che al centro rimette i diritti dei lavoratori, in alternativa al modello neo-liberista del Jobs Act e delle leggi sul mercato del lavoro degli ultimi 20 anni.
Cesare Pizzolla, segretario Fiom/Cgil Modena