14 Set 2009 mobilitazione,
A partire dagli anni novanta l’Italia è diventata un grande paese di immigrazione. La quota di popolazione immigrata è passata dallo 0,6 per cento del 1991 al 6 per cento circa del 2008, vale a dire circa cinque milioni di persone, tante quante quelle di una regione come il Lazio. E non si tratta di una presenza passeggera, ma di una realtà stabile, come confermano diversi indici: i ricongiungimenti familiari, il numero crescente dei bambini e dei ragazzi di seconda generazione, l’acquisto di case, la vitalità imprenditoriale, l’impatto sul fisco. E’ una realtà che richiederebbe il passaggio dalle attuali logiche securitarie a politiche realistiche ed efficaci di integrazione, tra le quali una diversa normativa sull’acquisizione della cittadinanza, peraltro di recente resa più difficile sul versante dello jus connubii (per matrimonio) con il “pacchetto sicurezza”. Con intenti opposti, attualmente sono varie le proposte di legge finalizzate al cambiamento della norma. Tra quelle che vanno nella direzione di favorire processi di inclusione suscita gande attenzione il progetto di legge scritto da Fabio Granata (Pdl, vicino a Gianfranco Fini) ed Andrea Sarubbi (Pd), dunque un progetto bipartisan.
La proposta Granata-Sarubbi prende atto che le norme attuali “mal si adeguano” a “un’immigrazione stabile, strutturale”, a un Paese come l’Italia che è oramai d’adozione per milioni di stranieri. Prevede, perciò, di facilitare l’acquisizione della cittadinanza sia dimezzando i tempi ora previsti sia con il passaggio dallo jus sanguinis (cittadinanza per eredità, cioè per essere nato da madre o padre italiani) allo jus soli ( cittadinanza collegata al territorio di nascita, come avviene negli Usa).
La norma chiave è quest’ultima, il passaggio dallo jus sanguinis allo jus soli. In particolare, la proposta prevede che su richiesta dei genitori, fatta al momento della nascita, è cittadino italiano il minore nato in Italia da stranieri di cui almeno uno soggiornante da 5 anni “ed attualmente residente”. E’ cittadino italiano anche il minore nato all’estero che completa un percorso scolastico in Italia. Resta, inoltre, la possibilità di diventarlo al compimento dei 18 anni di età.
Per gli adulti i dieci anni di residenza legale nel Paese, richiesti dalla legge attuale, sono ridotti a cinque, ma i richiedenti la cittadinanza devono avere un reddito minimo (è così anche adesso) e superare un esame di italiano.
Un primo momento di confronto sulla proposta Granata-Sarubbi si sarebbe dovuto tenere nella Commissione affari istituzionali della Camera dei Deputati il 10 settembre, ma è stato rinviato a causa della livorosa opposizione della Lega Nord e di parte del Pdl, ma non mancherà di animare fortemente il dibattito politico dei prossimi mesi.
La riforma della cittadinanza sarà anche al centro della mobilitazione d’autunno del nostro sindacato. E’ forte, infatti, nella Cgil la consapevolezza che il tema è indissolubilmente legato a quello della piena espressione dei diritti delle persone immigrate.