30 Ott 2013 presidio,
Ancora una testimonianza da Lampedusa che pubblichiamo volentieri (grazie a Franco Zavatti per avercela proposta)
di Sharani Bonaccorso
Vi racconto una storia. E’ la storia di Aregai. 36 anni. Eritreo.
E’ arrivato col barcone che è naufragato.
Mi parla della sua terra e della sua città, Asmara, costruita quasi interamente da architetti italiani.
Parla un ottimo inglese, come tutti quelli che hanno frequentato le scuole.
Dopo 18 mesi di servizio militare obbligatorio, proprio quando aspettava una carta che lo rendeva “cittadino libero”, l’Eritrea è entrata in conflitto con l’Etiopia e lui ha dovuto prestare servizio in difesa del confine.
La guerra non è violenta ma il presidio è costante e così passa 15 anni della sua vita sotto le armi.
Decide ad un certo punto di riprendere in mano la sua vita e si sposta, anzi scappa, in Sudan.
Lì rimane 3 anni ma non è affatto felice,soprattutto per i continui insulti da parte della popolazione locale in quanto cristiano in una terra musulmana.
Finalmente riesce a recuperare i soldi necessari per la prima parte del viaggio, quella lungo la terra d’Africa, e parte dal Sudan in direzione della Libia.
20 giorni, in 20 in un cassone di land rover.
Sale il primo, allarga le gambe, ecco il secondo, pancia con schiena.
Più sono stretti più ce ne entrano.
E si parte.
Le provviste sono sufficienti, un pasto al giorno e acqua su richiesta. Il prezzo da pagare…1600 dollari.
Al confine con la Libia vengono scaricati e immediatamente arrestati. In prigione per 2 giorni.
I suoi capelli lunghi… tagliati.
Ancora in viaggio, verso la costa libica, in uno dei tanti accampamenti creati apposta.
L’ultima tappa verso un altro continente.
Altri 1600 sono i dollari che loro pagano per salire in 518 su un barcone di zinco da 20 metri.
Aregai viaggia con 2 cugini, fratelli fra di loro, la moglie di un altro cugino che ha lasciato 5 figli in Eritrea e un amico con la moglie e una bimba di 16 mesi.
Il mare è calmo e la barca procede in direzione Lampedusa.
A solo un miglio dalla costa dell’isola accade qualcosa. Il motore si blocca. Probabilmente la cinghia è stata tagliata. Inoltre c’è una falla da cui inizia ad entrare acqua.
Il capitano si allarma. Sono le 2,30 di notte, forse le 3, non di più. Una imbarcazione passa con una traiettoria a ferro di cavallo intorno alla barca ma non si ferma.
Le luci della costa sono vicine.
Non hanno telefoni cellulari a bordo e allora il capitano prova ad attirare l’attenzione, spera che qualcuno si accorga di loro, dei loro segnali luminosi a intermittenza. Per oltre 1 ora cercano in tutti i modi di farsi vedere. Sono le 4 del mattino quando da il via all’ultimo tentativo disperato. Trova degli stracci, li cosparge di gasolio e li accende.
Sfortunatamente parte del gasolio gli scivola sul braccio e all’accensione si brucia.
Lancia la fiaccola sulle persone che gli stanno intorno, più di 200 a poppa accanto a lui, che per paura si spostano tutte da uno stesso lato.
Il barcone non può supportare tale sbilanciamento e la barca si inclina inesorabilmente verso il mare.
Sono le 4 del mattino e uomini donne e bambini sono in mare, o bloccati in stiva.
Non tutti sanno nuotare e chi è più esperto non si risparmia nella ricerca di familiari scomparsi sott’acqua. E’ buio. Uno dei due cugini di Aregai decide di spendere tutte le sue energie nella ricerca del fratello, pessimo nuotatore.
Non vuole raggiungere terra senza di lui. Entrambi rimarranno sotto al mare.
Anche l’amico tenta disperatamente di ritrovare la sua figlioletta ma….Aregai sa nuotare. E’ caduto in acqua in prossimità del cugino. Cerca di convincerlo che è meglio che ognuno pensi a sé ma non c’è il tempo di parlare.
Tutto intorno decine e decine di braccia, nel tentativo di stare a galla ,lo trascinano giù.
Più volte si ritrova sott’acqua ma riesce a divincolarsi fin quando capisce che per salvarsi la vita deve allontanarsi il più possibile da lì.
Nuota sott’acqua. Risale per prendere fiato e di nuovo giù.
Nonostante il fisico atletico anche lui è stanco quando arriviamo.
Mi dice sottovoce che dopo questa esperienza di sicuro non fumerà più.
Lui non vuole rimanere in Italia.
Sa perfettamente che in Italia non c’è possibilità di trovare lavoro.
I suoi contatti sono in Svezia e Norvegia ma il suo sogno è di arrivare in Canada.
Non subito, forse tra un paio d’anni. E sposare la fidanzata che dal Sudan partirà in aereo verso il Canada. Lei che è riuscita ad avere tutti i permessi e fortunatamente non rischierà la vita.