15 Apr 2015
Il decreto attuativo del bonus per le neomamme è arrivato in Gazzetta Ufficiale. Nel decreto si stabilisce come l’Inps abbia 15 giorni di tempo per mettere a punto i modelli attraverso cui inviare domanda per ricevere l’assegno. Si prevede anche che l’Inps assicuri “le modalità più idonee per facilitare l’accesso alla misura da parte dei nuclei familiari, anche mediante le proprie sedi territoriali, il contact center e procedure telematiche assistite”.
Quanto ai tempi entro cui presentare la domanda, nel dpcm viene riportato come possa essere avanzata “dal giorno della nascita o dell’ingresso nel nucleo familiare a seguito dell’adozione del figlio”. Inoltre viene specificato che “ai fini della decorrenza dell’assegno dal giorno della nascita o dell’ingresso nel nucleo familiare a seguito dell’adozione, la domanda deve essere presentata non oltre il termine di 90 giorni dal verificarsi dell’evento ovvero entro i 90 giorni successivi all’entrata in vigore del presente decreto”. Nel caso in cui la domanda sia presentata oltre i tempi previsti, “l’assegno decorre – si chiarisce – dal mese di presentazione della domanda”.
L’incentivo alla natalità, viene ricordato nel decreto, passa attraverso un assegno pari ad 960 euro per figlio, ovvero 80 euro mensili, per le famiglie con un Isee non superiore ai 25 mila euro. Per i nuclei sotto 7.000 euro il bonus raddoppia. L’assegno è concesso fino al terzo anno di età o d’ingresso nel nucleo familiare a seguito dell’adozione. Nel decreto viene anche riportato l’arco temporale di validità del bonus, che opera per “per ogni figlio nato o adottato tra il 1 gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017”.
Ricordiamo che ne hanno diritto tutti i cittadini stranieri, anche quelli privi della ‘carta’, a differenza di quanto prevede il decreto. Al riguardo l’ASGI ha scritto una lettera a Matteo Renzi e al presidente dell’INPS. “La citata disposizione di legge”, scrive, “limita la prestazione assistenziale in questione ai cittadini italiani, ai cittadini comunitari e ai cittadini stranieri titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo ex art. 9 TU immigrazione. Tale limitazione è a nostro avviso del tutto illegittima”, afferma l’Asgi, “in quanto il diritto comunitario estende il diritto alla parità di trattamento nell’accesso alle prestazioni sociali anche ad altre categorie di stranieri”.
Infatti
l’art. 12 della direttiva 2011/98/UE stabilisce la parità di trattamento con i cittadini italiani per tutti gli stranieri titolari di un permesso per lavoro o che consente di lavorare (cioè attualmente il permesso unico di cui al dlgs. 40/2014) nell’accesso a tutte le prestazioni regolate dal Regolamento CE 883/2004 (tra le quali rientrano le prestazioni di maternità e di assistenza familiare);
l’art. 29 della direttiva 2011/95/UE prevede la parità di trattamento per i titolari dello status di rifugiato politico e per i titolari di protezione sussidiaria (per questi ultimi la direttiva consentiva la limitazione della parità alle prestazioni essenziali, ma l’art. 27 Dlgs 21.2.14 n. 18 di recepimento di detta direttiva ha previsto una totale parificazione anche per tale categoria);
l’art 14 della direttiva 2009/50 prevede che i titolari di “carta blu” (cioè di permesso di soggiorno per stranieri altamente qualificati) beneficino di un trattamento uguale a quello riservato ai cittadini dello Stato membro che ha rilasciato la carta stessa , per quanto concerne le disposizioni della legge nazionale relative ai settori della sicurezza sociale definiti dal regolamento CEE n. 1408/71, tra cui rientrano le prestazioni familiari.
Innanzitutto l’ASGI ricorda che tali norme comunitarie contengono previsioni incondizionate e sufficientemente precise e sono pertanto direttamente applicabili in ogni Stato membro. Inoltre l’INPS deve attenersi alle disposizioni di legge tra le quali devono intendersi non solo le leggi nazionali, ma anche le norme di diritto comunitario, che, oltre che essere direttamente applicabili – ricorda l’ASGI – prevalgono in caso di contrasto, sulle norme nazionali. L’obbligo di “disapplicazione” delle norme nazionali contrastanti con il diritto comunitario non grava infatti solo sull’autorità giudiziaria, ma anche su tutti gli organi della Pubblica Amministrazione (come peraltro ripetutamente affermato dalla giurisprudenza della CGE) e dunque anche sull’INPS.
Alla luce di ciò l’ASGI ritiene che “abbiano diritto al bonus bebè anche i titolari dello status di rifugiato politico e di protezione sussidiaria, i titolari di carta blu e i titolari del permesso unico ex Dlgs 40/2014” e invita l’INPS a disporre, con circolare attuativa, l’applicazione diretta delle richiamate norme comunitarie con conseguente riconoscimento del bonus bebè anche alle categorie sopra indicate. “Ciò anche al fine di evitare un vasto contenzioso giudiziario come quello che già ha coinvolto e tuttora coinvolge codesto Istituto in relazione all’assegno per famiglie numerose di cui all’art. 65 L. 448/98 e all’assegno di maternità di cui all’art. 74 dlgs 151/01”.