24 Feb 2015
Nel corso del 2013 si sono rivolte ai Centri di Ascolto (CdA) della Caritas 135.301 persone. Il 41,2% si è rivolto a Centri di Ascolto ubicati presso regioni del Nord Italia. Il 40,8% a CdA del Centro e il 18,0% a CdA del Mezzogiorno (tale distribuzione non rispecchia l’incidenza della povertà o la presenza dei CdA nei territori considerati, ma dipende dal numero di CdA che hanno partecipato alla rilevazione, il 28,7% del totale, e dai sistem di raccolta dati). A livello complessivo si conferma la presenza di una quota maggioritaria di stranieri (61,8%) rispetto agli italiani (38,2%).
Sono dati dell’ultimo rapporto sulla povertà della Caritas, “False Partenze. Rapporto 2014 sulla povertà a l’esclusione sociale in Italia”. L’incidenza degli stranieri raggiunge i valori massimi nel Centro e nel Nord Italia (66,9 e 65,8) mentre, a causa di un elevato numero di italiani in stato di povertà e disagio sociale e di una ridotta presenza di stranieri residenti, appare più bassa nel Mezzogiorno, dove i nostri connazionali costituiscono la maggioranza assoluta degli utenti (59,7%).
Anche dal rapporto della Caritas appare dunque di particolare criticità la condizione delle famiglie straniere, colpite in modo prevalente dalla componente occupazionale della crisi economica. “Si tratta di persone e famiglie sospese tra paesi di origine sempre più lontani geograficamente e culturalmente, e una realtà italiana poco solidale, di corta memoria, scarsamente riconoscente dell’apporto degli stranieri all’economia e alla demografia nazionale”.
Tutti gli indicatori di deprivazione materiale forniti dall’Istat riportano una forte penalizzazione della componente straniera: il reddito mediano delle famiglie straniere è pari al 56% di quello degli italiani e un quarto delle famiglie straniere non è in grado di pagare con puntualità fitti e bollette (contro il 10,5 e l’8,3% degli italiani).
Nel complesso, si registra tra gli immigrati un aumento della disoccupazione di lunga durata, il rafforzamento delle tendenze all’etnicizzazione dei rapporti d’impiego, l’aggravamento del problema del sottoinquadramento rispetto al livello di istruzione, la riduzione delle retribuzioni, la precarizzazione dello status contrattuale.
“La crisi occupazionale riporta gli stranieri indietro di parecchi anni, a periodi che sembravano trascorsi, contrassegnati da forte rischio di irregolarità (entro sei mesi dalla perdita del lavoro, se non si trova una nuova occupazione ) se non già in situazione di conclamata irregolarità. Una importante differenza che caratterizza gli stranieri rispetto alla perdita di lavoro risiede nel fatto che, mentre nel caso degli italiani, il fenomeno della disoccupazione ha colpito prevalentemente le classi più giovani, e quindi i figli che restano nei nuclei di origine, nelle famiglie straniere straniera la persona che ha perso il lavoro è anche la persona che assolve la funzione di breadwinner”.
Una conferma del crescente stato di vulnerabilità finanziaria delle famiglie straniere risiede nel progressivo calo delle rimesse degli immigrati verso il paese di origine.
“Tali situazioni suscitano ulteriori ambiti di criticità, relative ai difficili rimpatri nel paese di origine: si tratta di percorsi di ritorno sofferti, economicamente costosi, emotivamente difficili da gestire, e che non risolvono del tutto la situazione: nei paesi di origine, il migrante di ritorno è considerato un fallito, poco affidabile, e fatica notevolmente a trovare un lavoro dignitoso”.