30 Ott 2013
di Arturo Ghinelli
In questi giorni i media stanno riportando con insistenza la notizia della bimba trovata in Grecia insieme a un uomo e una donna rom che non sarebbero i suoi veri genitori. I genitori adottivi, immediatamente sbattuti in galera e presentati come criminali, con tanto di foto segnaletiche, e gli “zingari” in generale, riproposti per l’ennesima volta come soggetti senza scrupoli, dediti al sequestro, allo sfruttamento, alla violenza contro i bambini e le donne.
La stessa leggenda che continua ad alimentare i pogrom e i provvedimenti antigitani, dall’Ungheria a Ponticelli, dalla Francia a Torino, nonostante gli allarmanti rapporti annuali delle associazioni internazionali che si occupano di diritti umani e di minoranze discriminate. Se non trattato come caso individuale, che racchiude responsabilità personali, la notizia rischia di innescare una isteria collettiva verso l’intera comunità rom basata sullo stereotipo dei “rom che rubano i bambini”. I mezzi di comunicazione, compresa la trasmissione RAI “Chi l’ha visto”, si sono buttati a piene mani sulla notizia spargendo stereotipi e luoghi comuni; dimenticandosi poi di smentire con lo stesso rilievo che la bambina bionda non era stata rubata dai rom, ma era stata loro affidata dai genitori naturali.
Tuttavia, se da un lato tale stereotipo appare ben radicato nell’immaginario collettivo – benché non vi sia alcun dato scientifico a supporto di tale tesi -, dall’altro esiste all’interno della comunità rom la percezione di una sistematica e legalizzata sottrazione di minori rom da parte della società maggioritaria, attraverso l’allontanamento dalle proprie famiglie e le adozioni. Nell’attività di “rubare” legalmente i bambini alle coppie rom si distinguono in tutte le nostre città le assistenti sociali.