31 Mar 2014
di M. Elisabetta Vandelli
La Corte di Giustizia Europea è stata interpellata dai Giudici di merito olandesi, attraverso rinvio pregiudiziale alla Corte, in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione.
Nello specifico è stato chiesto alla Corte se gli artt. 21 e 45 TFUE e la Direttiva UE n°2004/38 CE concedano ai familiari di membri dell’Unione, ma cittadini di paesi terzi, un diritto di soggiorno nello Stato membro di cui i cittadini posseggono la cittadinanza, e se tale diritto venga riconosciuto anche quando il cittadino membro si rechi regolarmente in uno Stato membro diverso da quello di residenza, a causa delle sue attività professionali.
Innanzitutto rilevano i Giudici della Corte che i cittadini terzi non posseggono alcun autonomo diritto di soggiorno. Essi possono eventualmente divenire titolari di un diritto al soggiorno che deriva direttamente dall’esercizio della libertà di circolazione da parte del loro familiare, cittadino UE, solo quando il cittadino membro si rechi o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello di cui possiede la cittadinanza. A tal scopo occorre che il cittadino di paese terzo abbia avuto la qualità di familiare durante tutto il periodo di tempo necessario a maturare il diritto al soggiorno (3 mesi).
Per familiare si intende il coniuge o il partner con unione registrata, i figli fino al ventunesimo anno di età, anche del coniuge, o comunque a carico, e gli ascendenti, anche del coniuge, comunque a carico.
Da ciò discende che, quando, ai sensi e nel rispetto delle disposizioni della direttiva relative a un diritto di soggiorno di durata superiore a tre mesi, un cittadino dell’Unione ha soggiornato effettivamente in un altro Stato membro e, in tale occasione, in detto Stato ha sviluppato o consolidatola sua vita familiare, l’efficacia pratica dell’articolo 21 TFUE impone che la vita familiare condotta nello Stato membro ospitante possa continuare quando il cittadino fa ritorno nel proprio Stato di origine. Ciò implica che in una situazione siffatta al familiare, cittadino di un paese terzo, venga riconosciuto un diritto di soggiorno derivato. Le disposizioni della Direttiva si applicano anche per analogia quando detto cittadino dell’Unione ritorni, con il familiare interessato, nel proprio Stato membro di origine. Diversamente verrebbe leso il diritto di libera circolazione del cittadino membro.
Diversamente la Corte ritiene che il cumulo di numerosi soggiorni di breve durata nello Stato UE ospitante, pur considerati nel loro complesso, non faccia sorgere un diritto di soggiorno derivato in capo al familiare cittadino di paese terzo. Questo perché la Direttiva richiede, per ottenere il diritto al soggiorno derivato, che il familiare terzo abbia dimorato, unitamente al familiare membro dell’ Unione, per un periodo superiore a tre mesi continuativi nello Stato UE. Pertanto ritiene la Corte che i soggiorni brevi (come una serie di fine settimana o vacanze) trascorsi in uno Stato membro diverso da quello di cui il cittadino dell’ Unione possiede la cittadinanza, non siano rilevanti.
Infine, ai sensi dell’art. 45 TFUE, il diritto al soggiorno , nello Stato membro di cui il familiare possiede la cittadinanza, spetta al cittadino di Paese terzo anche quando il familiare cittadino UE risieda sì nello Stato membro, ma si rechi regolarmente in un altro Stato membro per lavoro, mentre il cittadino di Paese terzo rimanga nel Paese UE di origine.
L’Italia ha recepito la Direttiva citata, relativa al diritto di soggiorno dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel Territorio degli Stati membri, con il Decreto legislativo n°30/2007.