14 Gen 2013
di Ciro Spagnulo
Alla luce del dibattito apertosi nei mesi scorsi sulla necessità di modificare le norme sulla cittadinanza, il ministro per la Cooperazione internazionale e l’Integrazione Andrea Riccardi ha proposto di sostituire lo ius sanguinis con lo ius culturae. L’idea dello ius culturae, che ha trovato immediati sostenitori in ambiti cattolici e qualche superficiale adesione a sinistra, ha suscitato poco dibattito, forse perché presentata sotto le più rassicuranti vesti di uno ius soli moderato. A nostro parere, però, merita più attenzione perché non è innucua e, anzi, costituisce un arretramento. Già di per sé l’espressione “ius culturae” è ambigua. “Cultura” è concetto sfuggente. Cambia secondo i propri presupposti culturali, ideali, politici. Farne poi l’ancoraggio dell’idea di cittadinanza rischia di alimentare conflitti. Perché stabilisce un “noi/loro”, dove “loro” per stare con “noi” devono, ha detto il ministro Riccardi, “aderire alla cultura dell’Italia”. Quale? La sua di cattolico o quella dei laici? E, poi, fino a che punto deve spingersi l’”adeguamento” dell’”altro” per riconoscerlo parte di noi?
L’unica cosa per noi chiara della proposta del ministro Riccardi è la sua concezione assimilazionista.