28 Feb 2013
di M. Elisabetta Vandelli
La Corte Costituzionale si è espressa sul ricorso promosso dal Presidente del Consiglio dei Ministri in merito alla legge regionale Calabria n. 44 del 2011 che prevedeva interventi per il sostegno delle persone non autosufficienti.
Essa individuava, tra i destinatari degli interventi, le persone non autosufficienti anche «cittadini europei o extracomunitari con regolare carta di soggiorno residenti nella Regione Calabria».
Secondo i giudici tale disposizione, nella parte in cui limitava le provvidenze destinate ai cittadini extracomunitari ai soli titolari della carta di soggiorno, introduceva una discriminazione costituzionalmente illegittima in quanto irragionevole e lesiva del principio di eguaglianza.
Questo perché la limitazione prevista si basava su un elemento di distinzione arbitrario, che si presentava privo di collegamento con le condizioni di bisogno e di disagio che le provvidenze in questione miravano a fronteggiare.
Non vi era, infatti, alcuna ragionevole correlazione tra il requisito di accesso ai benefici (possesso del «permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo») e le situazioni di bisogno e di disagio, riferibili direttamente alla persona in quanto tale, che costituiscono il presupposto di fruibilità delle prestazioni sociali.
La stessa Corte precisa come, una volta che il diritto a soggiornare nel territorio nazionale non sia in discussione, non si possano «discriminare gli stranieri, stabilendo, nei loro confronti, particolari limitazioni per il godimento dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti invece ai cittadini» (sentenza n. 61 del 2011). Pertanto l’accesso a una misura sociale non poteva essere differenziato in ragione della necessità di uno specifico titolo di soggiorno o di «particolari tipologie di residenza volte ad escludere proprio coloro che risultano i soggetti più esposti alle condizioni di bisogno e di disagio che un siffatto sistema di prestazioni e servizi si propone di superare perseguendo una finalità eminentemente sociale» (sentenza n. 40 del 2011).
La pronuncia di illegittimità viene poi ulteriormente fondata su quanto già puntualizzato dalla Corte in diverse sentenze. In particolare i giudici ribadiscono che sì al legislatore, sia statale che regionale, è consentito attuare una disciplina differenziata per l’accesso a prestazioni eccedenti i limiti dell’essenziale, ma i canoni selettivi da adottarsi devono corrispondere al principio di ragionevolezza, in quanto «è consentito (…) introdurre regimi differenziati, circa il trattamento da riservare ai singoli consociati, soltanto in presenza di una “causa” normativa non palesemente irrazionale o, peggio, arbitraria» (sentenza n. 432 del 2005).