28 Ott 2014
di M. Elisabetta Vandelli
All’esito del ricorso presentato cinque anni fa’ contro l’espulsione collettiva nei confronti di trentadue cittadini afghani, due sudanesi e un eritreo, respinti verso la Grecia dopo essere stati intercettati in mare dall’Italia, prima ancora che raggiungessero le nostre coste, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con la sentenza del 21 ottobre, ribadisce i principi già espressi in altre sentenze come quello della irrilevanza della nozione di “paese sicuro” in relazione ai diritti sanciti dalla CEDU. La Grecia viene nuovamente riconosciuta, quindi, come un paese dove sussiste un concreto rischio di trattamenti inumani e degradanti e dove è praticamente impossibile riuscire a chiedere la protezione internazionale. Per questi motivi il governo Italiano non avrebbe dovuto, cinque anni fa’, respingere quelle persone.
I respingimenti collettivi sono stati dichiarati illegittimi una prima volta, dalla Corte di Strasburgo, nel 2012, con la sentenza Hirsi, che condannava l’Italia per gli allontanamenti in mare, indirizzati allora verso la Libia.
In particolare, secondo la Corte, nessuna espulsione o respingimento sommario e collettivo può essere effettuato, neanche in applicazione del Regolamento Dublino III (su cui si fonda il vigente sistema di asilo europeo), che non può giustificare, insieme agli accordi di riammissione, i respingimenti collettivi (sempre vietati) e il quale, invece, deve essere interpretato e applicato in conformità alla CEDU, con l’esame individuale di ogni persona.
Occorre cioè valutare caso per caso se chi viene rimandato indietro non corre pericoli o se, invece, deve chiedere asilo. Essenziale è anche il diritto ad un ricorso effettivo che la Corte accerta essere stato pure violato dall’Italia.
Nello specifico sono stati violati: l’art. 13 CEDU (“ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali”), ossia il diritto ad a un ricorso effettivo, combinato con l’articolo 3 CEDU, ossia il divieto di trattamenti inumani e degradanti (“nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”), “perché le autorità italiane hanno esposto i ricorrenti, rimandandoli in Grecia, ai rischi conseguenti alle falle della procedura di asilo in quel paese”.
E’ stato, inoltre, violato anche l’art. 4, Protocollo 4, ossia il divieto di espulsioni collettive poiché i ricorrenti sono stati oggetto di un respingimento collettivo senza esaminare la loro situazione personale e, di conseguenza, senza permettere loro di esporre le loro argomentazioni per contestare il provvedimento adottato dall’autorità competente., come invece accade ai migranti che arrivano via terra ai quali viene sempre garantito l’accesso alla procedura per la richiesta di protezione.
L’obbligo di non respingimento, come interpretato dalla CEDU, si sostanzia nel dovere di informare lo straniero sul suo diritto di ottenere una protezione internazionale e nel dovere di offrire una procedura individuale, equa ed effettiva che consenta di determinare e valutare la qualità di rifugiato. Non solo, ma gli Stati devono astenersi dal rinviare una persona in un Paese in cui potrebbe correre il rischio reale di essere sottoposto a torture o pene inumane o degradanti.
Secondo la giurisprudenza della CEDU, le azioni eseguite in alto mare da una nave di Stato costituiscono un caso di competenza extraterritoriale e di responsabilità dello Stato interessato, in base al quale il divieto di espulsioni collettive va’ applicato anche ai respingimenti operati in mare, dunque prima ancora che i migranti raggiungano le coste europee.
L’adempimento dell’obbligo di non respingimento esige, infine, una valutazione del rischio personale di danno, che può essere effettuata soltanto se ogni straniero ha accesso ad una procedura equa ed effettiva con la quale la sua causa viene esaminata individualmente. I due aspetti sono talmente interconnessi che possono essere considerati come facce di una stessa medaglia.
Per tutti questi motivi l’espulsione collettiva di stranieri è contraria ai diritti sanciti dalla Convenzione dei Diritti dell’Uomo ed è quindi inaccettabile.