14 Mag 2013
di Ciro Spagnulo
Alcuni giorni fa Pietro Grasso, presidente del Senato, a ‘Radio Anch’io”, ha risposto alle sollecitazioni sullo ius soli del ministro Cécile Kyenge affermando la necessità di porre dei limiti per evitare fenomeni di “turismo di cittadinanza”, cioè l’ingresso di donne incinte allo scopo di dare al figlio la cittadinanza del paese di arrivo, e ha riproposto invece l’idea dello ius culturae. Ius culturae è un neologismo coniato dall’ex ministro Andrea Riccardi senza fondamento giuridico, che, però, come già abbiamo avuto modo di scrivere, non è da considerare innocuo perché può innescare conflitti nel momento di stabilire i criteri con i quali misurare l’appartenenza. Si pensi a quanta differenza c’è tra i concetti di identità, di cultura e di cittadinanza così come proposti da questa rivista e quelli di Magdi Cristiano Allam, che vuole le dimissioni della ministra Cécile Kyenge perché in quanto autodefinitasi italo-congolese non aderirebbe “all’identità nazionale italiana in modo integrale ed esclusivo” e dunque incarnerebbe “lo stravolgimento della nostra cultura e della nostra tradizione circa il concetto di cittadinanza, di società, di Patria e di nazione”. Lo ribadiamo, dunque. L’idea dello ius culturae è pericolosa e costituisce un arretramento. E come scrive Grazia Naletto su Cronache di ordinario razzismo “é semmai la cartina tornasole di quel sottofondo di ‘diffidenza e sospetti’ che caratterizza ancora oggi larga parte del ceto politico quando si confronta con la presenza dei migranti nel nostro paese.”