29 Gen 2013
di Mirto Bassoli
Manca ormai poco alle elezioni politiche del 24 e 25 febbraio 2013. La campagna elettorale, fin qui, non è riuscita a far emergere le vere priorità del paese, sulle quali sarebbe bene si confrontassero le forze politiche e i candidati alla guida del prossimo Governo.
La Cgil ha provato a dare un contributo in questa direzione, proponendo un proprio punto di vista, la propria agenda, in occasione della Conferenza di Programma del 25 e 26 gennaio: il lavoro, i diritti, la grande questione sociale presente nel paese, la costruzione di una via d’uscita dalla crisi, sono i temi proposti al confronto.
Tra questi, quello dell’immigrazione richiederebbe, soprattutto da parte della politica, un’attenzione assai diversa. Viviamo il paradosso di un paese nel quale si discute di immigrazione solo quando il tema è associato al problema “sicurezza” o agli sbarchi di clandestini. Per anni, soprattutto durante le campagne elettorali, abbiamo subito una propaganda martellante su questo. Oggi, invece, che l’afflusso di immigrati -complice la crisi- ha subito un rallentamento, si è passati dagli approcci negativi e strumentali al silenzio più assoluto.
Eppure la società italiana è profondamente mutata, proprio a partire dai dati relativi alla presenza di immigrati nella composizione della popolazione che risiede nel nostro paese. Basta leggersi l’ultimo dossier statistico Caritas e Migrantes, per avere un’idea precisa di come l’Italia sia cambiata: alla fine del 2011, la popolazione straniera censita era pari a 3.865.385 persone, il 6.5% del totale (come noto, in Emilia Romagna siamo oltre il 12%).
I numeri sono imparagonabili con la situazione che avevamo solo dieci anni fa. Ma è soprattutto la qualità della presenza in Italia di migranti che deve far riflettere: la percentuale elevatissima di soggiornati di lungo periodo; il numero di nati nel nostro paese da genitori stranieri; la ricomposizione dei nuclei famigliari.
Oggi siamo di fronte ad un’Italia che ha trasformato strutturalmente la propria composizione sociale, eppure stenta a rendersene conto.
La legislazione in materia di immigrazione è invece ancora figlia di un approccio al tema dell’immigrazione che tende ad interpretare tale fenomeno come se fosse un fatto transitorio. La legge italiana, a partire dalla sciagurata Bossi-Fini, è figlia della cultura dei respingimenti; continua a concepire il ruolo dei migranti come se fossero mera manodopera da sfruttare e poi rimandare al paese d’origine; siamo arrivati fino all’assurdità di introdurre in Italia il reato di clandestinità.
Questa impostazione va rovesciata, immaginando una nuova stagione nella quale la politica prova a ridisegnare completamente l’impianto normativo e delle leggi in materia di immigrazione. L’elenco dei provvedimenti necessari è lungo, ma proviamo a indicare alcune priorità.
Innanzitutto il diritto di cittadinanza e quello di voto: abbiamo sostenuto, come Cgil, la campagna di raccolta firme a sostegno delle due proposte di legge per lo “Jus soli” e per il voto nelle elezioni amministrative (“L’Italia sono anch’io). Da li bisogna partire per riformare completamente l’istituto della “cittadinanza”, ad iniziare dalla constatazione che in Italia abbiamo la più bassa percentuale in Europa di persone di origine straniera, successivamente naturalizzate.
Il tema della cittadinanza è un tema di carattere generale che richiama i principi generali della nostra Costituzione e della stessa Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, con l’obiettivo di darne piena e coerente attuazione.
La seconda priorità riguarda la necessità di chiudere le strutture dei Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE), divenuti luoghi aberranti e disumani di sospensione del diritto, oltre alla altrettanto impellente necessità di assicurare nel nostro paese l’effettivo esercizio del diritto
d’asilo. Teniamo presente che la Corte di Giustizia Europea si appresta a sanzionare l’Italia proprio su questo punto, oltre a porre l’accento sulla inaccettabile gestione dei minori non accompagnati.
La terza priorità riguarda la modifica radicale della normativa sugli ingressi. Come suggerito dall’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI), si tratta di modificare il cosiddetto “decreto flussi”, rendendolo annualmente obbligatorio, effettivamente corrispondente alle esigenze occupazionali delle singole regioni, basato su differenti criteri di attribuzione delle quote e in grado di assicurare in tempi rapidi l’ingresso del lavoratore straniero. Va introdotto un nuovo canale d’ingresso che consenta ai cittadini stranieri di entrare regolarmente in Italia con un visto per “ricerca di lavoro”. Va introdotto un meccanismo di regolarizzazione ordinaria per ogni singolo cittadino straniero già presente nel nostro paese che dimostri lo svolgimento di un’attività lavorativa o importanti legami famigliari o affettivi. Va rafforzato il diritto al ricongiungimento famigliare.
Infine, il quarto blocco di priorità riguarda il rispetto del principio di non-discriminazione, a partire dalla istituzione di una Agenzia nazionale antidiscriminazione, dalla necessità di garantire pari accesso alle prestazioni sociali tra nativi e cittadini di origine straniera, consentire ai cittadini stranieri la possibilità di partecipare a concorsi pubblici.
Come si può vedere, si tratta di mettere in campo una vera e propria svolta di portata copernicana nell’approccio al tema dell’immigrazione. Ragionare innanzitutto dell’immigrato come di un soggetto portatore di diritti universali e intangibili, che oggi finalmente richiedono di essere pienamente riconosciuti.
Torno al rapporto tra cittadinanza e diritti, citando un passaggio dell’ultimo libro di Stefano Rodotà che mi pare chiarisca bene questo concetto:
Mi sembrano parole di straordinaria efficacia e chiarezza che la politica farebbe bene ad assumere, con l’obiettivo di definire un nuovo orizzonte di valori e di principi ai quali riferirsi approcciando il tema rilevantissimo dell’immigrazione.
“Lo storico appello alla <lotta per il diritto> si declina, oggi, come lotta per <i diritti>. E proprio il dilatarsi degli orizzonti spaziali e temporali, insieme alla percezione sempre più diffusa che la persona non può essere separata dai sui diritti, scardina la cittadinanza come proiezione e custodia di una identità oppositiva, feroce, escludente, che separa e non unisce. La cittadinanza cambia natura, si presenta come l’insieme dei diritti che costituiscono il patrimonio d’ogni persona, quale che sia il luogo del mondo dove si trova, e così avvicina e non divide, offrendo anche all’eguaglianza una nuova, più ricca dimensione.”*Segreteria regionale CGIL Emilia Romagna