13 Feb 2014
Il XXIII Rapporto Immigrazione Caritas-Migrantes è un Rapporto rinnovato nei contenuti e nell’approccio. A differenza di quelli precedenti, privilegia la dimensione qualitativa rispetto a quella statistico-quantitativa. Quest’anno il tema individuato è “Tra crisi e diritti umani”. In particolare il Rapporto ferma l’attenzione attorno ad alcuni punti nevralgici:
• Nel 2013, se nel mondo e in Europa le migrazioni crescono, in Italia il fenomeno continua, ma non aumenta. La crescita interna dei migranti – per i ricongiungimenti familiari, le nuove nascite – viene pressoché annullata dai rientri, dalle partenze per altre destinazioni europee e del mondo di numerose persone e famiglie migranti. Circa 5 milioni resta il numero di persone, comunitarie e non, che sono presenti in Italia, alla luce dei dati Istat e di una componente irregolare che permane, anche a causa di decreti flussi che non interpretano le esigenze del mondo occupazionale italiano. La disoccupazione maggiore dei lavoratori immigrati rispetto a quelli italiani è dettata da una precarietà lavorativa e da una debolezza di tutele che chiedono nuovi strumenti sociali, più che il semplice blocco dei flussi.
• Il 2013 ha visto la crisi far emergere il rischio – Lampedusa e Prato sono solo due esempi estremi e drammatici – di indebolire la tutela dei fondamentali diritti umani: il Mediterraneo è sempre più un luogo di morte per tante persone in fuga; l’Europa presidia i suoi confini solo sul piano della sicurezza; i diritti dei lavoratori sono stati rinnegati in alcuni luoghi di lavoro – dalle imprese di Prato alle campagne della pianura padana o della piana del Sele, della Capitanata, diRosarno o della Lucania – senza dimenticare il lavoro domestico.
• Il trattenimento nei Centri di Identificazione e di Espulsione (CIE) non soddisfa l’interesse al controllo delle frontiere e alla regolazione dei flussi migratori, ma sembra piuttosto assolvere alla funzione di “sedativo” delle ansie di chi percepisce la presenza dello straniero irregolarmente soggiornante, o dello straniero in quanto tale, come un pericolo per la sicurezza. Le norme che regolano il trattenimento nei CIE appaiono illegittime, in quanto non rispettano le garanzie
dei diritti costituzionali e non superano i test di ragionevolezza soprattutto quando riguarda persone che hanno già scontato la pena detentiva in carcere e, per un difetto dell’Amministrazione, si trovano a dover prolungare nei CIE la loro esperienza detentiva.
• Troppe sono ancora le vittime di tratta per sfruttamento sessuale o lavorativo che chiedono un riconoscimento e una protezione sociale, fortemente indebolita.
• Il riconoscimento delle discriminazioni in continua crescita in Italia è debole.
• La crisi non ha solo impoverito economicamente la società italiana, ma rischia di indebolire anche la sua democrazia.
L’immigrazione, spesso identificata come luogo di povertà, di insicurezza, di conflittualità sociale, oltre che essere luogo
di discernimento della qualità dei principi democratici, può diventare risorsa per la crescita dell’Italia: per il milione di ragazzi immigrati che vi nascono e crescono; per i giovani che arrivano nelle nostre città; per le storie familiari; per le culture, le esperienze di fede che invitano al dialogo e all’incontro; per una nuova prossimità vicina e lontana che aiuta a
riconoscere ogni persona nella sua dignità, interezza e unicità.
È A RISCHIO POVERTÀ METÀ DELLA POPOLAZIONE IMMIGRATA
Le famiglie dei migranti si sono ritrovate a fronteggiare la crisi in posizioni di evidente svantaggio. Il rischio di povertà interessa circa la metà di questo universo (quindi un’incidenza più che doppia rispetto alla situazione delle famiglie italiane), con tratti particolarmente gravi per alcune comunità. Il reddito mediano delle famiglie immigrate è solo il 56% di quello degli italiani. Tutti gli indicatori di deprivazione materiale, inoltre, riportano una forte penalizzazione della componente straniera che, ad esempio, risulta incapace di pagare con puntualità affitti e bollette praticamente in un quarto dei casi (rispettivamente contro il 10,5% e l’8,3% degli italiani). Più di un terzo dei nuclei composti da soli stranieri è interessato da fenomeni di deprivazione. In particolare occorre segnalare una più grave problematica legata ai profili abitativi, che per i migranti presenta acute criticità in misura tre volte superiore al dato corrispondente delle famiglie italiane.