IMPORTANTE SENTENZA DEL TRIBUNALE DI NAPOLI: SE NATO IN ITALIA, IL CITTADINO “STRANIERO” È TITOLARE DI UN VERO E PROPRIO DIRITTO SOGGETTIVO AL RICONOSCIMENTO DELLA CITTADINANZA ITALIANA A PRESCINDERE DAGLI ERRORI BUROCRATICI DEI GENITORI

15 Apr 2015

 

 

di Ciro Spagnulo e Mohcine El Arrag

Il diritto alla cittadinanza italiana di un cittadino straniero nato in Italia e regolarmente soggiornante fino al compimento della maggiore età è un diritto soggettivo che può essere rivendicato a prescindere da errori burocratici commessi dai genitori, come la mancata iscrizione all’anagrafe o gli inadempimenti relativi alla residenza. Lo afferma la sentenza 4739 del 30/03/2015 del Tribunale di Napoli.

Il 9 maggio 2013 M.U., nato il 22 luglio 1994, presenta istanza di elezione della cittadinanza italiana presso il Comune di Monte Procida ex art. 4 comma 2 Legge 91/1992, cioè per essere nato in Italia ed avervi risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età. Il Comune gli comunica però il mancato accoglimento dell’istanza in quanto cancellato dall’anagrafe della popolazione residente dal 6 ottobre 2008 e sprovvisto di permesso di soggiorno dal 9 giugno 2006.

M.U. chiama in giudizio il Comune (contumace) chiedendo l’accertamento e la dichiarazione del suo status di cittadino italiano. Sostiene che l’interpretazione del Comune dell’art. 4 comma 2 della citata legge è assolutamente restrittiva in quanto “la residenza anagrafica quale requisito essenziale per il riconoscimento della cittadinanza ai minori nati in Italia al compimento del diciottesimo anno di età, era stata da tempo criticata dalla dottrina e disapplicata da numerose autorità giudiziarie”. Osserva, inoltre, che lo stesso ministero dell’Interno, con la circolare n. 22 del 7.11.07, aveva preso atto di ciò, “ritenendo opportuno individuare criteri di applicazione che rispondessero all’attuale contesto sociale, al fine di evitare che le omissioni o i ritardi relativi agli adempimenti spettanti ai soggetti esercenti la patria potestà e non imputabili al minore, possano arrecargli danno, laddove vi sia una documentazione atta a dimostrare l’effettiva presenza” nel Paese “nel periodo antecedente la regolarizzazione anagrafica, in tal modo completando quanto già era stato espresso con la circolare K 69/89 del 18.2.1997”. E M. U. è in grado di dimostrare il possesso del requisito della presenza. A fondamento della sua richiesta di riconoscimento della cittadinanza italiana allega, ad esempio, la documentazione attestante i suoi percorsi scolastici. Il Tribunale giudica fondata la richiesta di M. U. e gli dà ragione perché “può, quindi, ritenersi che il giovane, a prescindere dal mancato possesso /o rinnovo del permesso di soggiorno in capo ai suoi genitori, abbia risieduto ininterrottamente nel territorio italiano dalla nascita fino al compimento della maggiore età e che, dunque, lo stesso abbia acquistato la cittadinanza italiana”.

Il giudice ricorda che l’art. 4 comma 2 della legge 2.2.1992 n. 91 prevede che “Lo straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età, diviene cittadino se dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana entro un anno dalla suddetta data”; e che in base all’art. 2 del D.P.R. 572/1993, regolamento attuativo della legge, si definisce “legalmente residente” nel territorio dello Stato chi vi risiede avendo soddisfatto le condizioni e gli adempimenti previsti dalle norme in materia di ingresso e di soggiorno degli stranieri in Italia e da quelle in materia di iscrizione anagrafica. “I figli di stranieri nati in Italia, dunque, in virtù di tale disposizione, acquistano automaticamente la cittadinanza italiana qualora rendano manifesta tale volontà all’ufficiale di Stato Civile competente e ricorrano gli ulteriori presupposti stabiliti dalla legge (nascita in Italia e residenza legale ininterrotta), alla presenza dei quali il Sindaco del comune di residenza dell’interessato rilascerà la certificazione di cittadinanza (crf. l’art. 16 del D.P.R. 12.10.1993 n. 572) .Più volte, invero”, sottolinea il Tribunale, “la giurisprudenza ha avuto modo di sottolineare che nell’ipotesi in questione l’interessato è titolare di un vero e proprio diritto soggettivo a che gli venga riconosciuta la cittadinanza italiana, con l’ulteriore conseguenza che gli organi competenti (nella specie il Sindaco del Comune) pongono in essere solo atti dichiarativi e la relativa controversia è attribuita alla cognizione del giudice ordinario (cfr. tra le altre: Cass. S.U. 7.7.1993 n. 7441).

Anche il giudice sottolinea come il legislatore sia intervenuto al fine di semplificare l’acquisto della cittadinanza per gli stranieri nati in Italia, non solo con la possibilità di dimostrare il possesso dei requisiti con ogni documentazione, ma anche sancendo che non ricadono sui figli eventuali inadempimenti dei genitori o della pubblica amministrazione, come nel caso della mancata comunicazione all’interessato della possibilità di esercitare il diritto a divenire cittadino italiano (art. 33 legge 9.8.13 n. 98).

Sempre sul concetto di residenza legale, il giudice, citando la giurisprudenza, “ritiene che, ai fini che occupano, non possa trovare applicazione il concetto di residenza legale -ricondotto, dal regolamento, all’iscrizione anagrafica ed al possesso di un regolare permesso di soggiorno in capo ad almeno uno dei genitori- dovendo, al contrario, valorizzarsi quello di residenza di cui all’art. 43 c.c., da individuarsi nel luogo in cui una persona abbia la sua dimora abituale. Infatti, considerato che in base alla già citata normativa, non può l’interessato subire un pregiudizio a causa di inadempimenti dei genitori e/o della P. A. non imputabili al medesimo, deve ritenersi che l’avverbio “legalmente” -introdotto dalla legge 91/1992- vada inteso come ‘non illegale’ e quindi ‘autorizzato’. ” (Ndr. Grazie all’avv. Liana Nesta per averci fatto avere la sentenza).

sentenza n 4739 2015

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