IN FUGA DA UN SUD SEMPRE PIÙ TORMENTATO

26 Nov 2013

di Ciro Spagnulo

Anno dopo anno i rapporti Svimez ci consegnano del Sud la fotografia di una situazione in progressivo, inarrestabile peggioramento, apparentemente irrisolvibile. In questo solco si colloca anche l’ultimo, che disegna un Mezzogiorno ancora più martoriato da una crisi che dura ormai da sette anni e che lì colpisce più ferocemente. Rispetto al resto del Paese, infatti, l’economia del Mezzogiorno ha registrato maggiori perdite di posti di lavoro, la maggiore caduta dei redditi e una contrazione dei consumi più pronunciata. La situazione è tale che negli ultimi venti anni sono emigrati dal Sud circa 2,7 milioni di persone. In particolare, nel 2011 si sono trasferiti al Centro-Nord circa 114 mila abitanti, soprattutto in Lombardia e nel Lazio. Sono partiti in particolare dalla Campania ( 36.400), dalla Sicilia (23.900), dalla Puglia (19.900) e dalla Calabria (14.200).

Grave è soprattutto la situazione dei giovani. Oltre 1.300.000 sono emigrati al Centro-Nord dal 2001 dal 2011 e 180 mila, di cui 20.000 laureati, si sono diretti all’estero nello stesso periodo. 1.850 mila oramai non provano più a cercare alternative: non studiano e non lavorano (Neet).

Lo Svimez torna a sottolineare che da “un’area giovane e ricca di menti e di braccia, il Sud si trasforma sempre più in un’area anziana, economicamente sempre più dipendente dal resto del Paese. Un’area che sarà caratterizzata nei prossimi anni e decenni da uno stravolgimento demografico dalle conseguenze imprevedibili”.

Nel prossimo cinquantennio perderà 4,2 milioni di abitanti, oltre un quinto; di contro, il resto del Paese ne guadagnerà 4,5 milioni. Diminuiranno soprattutto i giovani e perciò la base della piramide dell’età si rovescerà rispetto a quella del Centro-Nord. La popolazione del Mezzogiorno si ridurrà complessivamente al 27,3% di quella nazionale, a fronte dell’attuale 34%.

Secondo lo Svimez per risollevare le sorti del Sud “occorre rilanciare una visione strategica di medio-lungo periodo, che veda nella riqualificazione urbana, energie rinnovabili, sviluppo delle aree interne, infrastrutture e logistica i principali drivers dello sviluppo”.

RAPPORTO SVIMEZ 2013. ALCUNI DATI

Nel 2012 il Pil è calato nel Mezzogiorno del 3,2%, oltre un punto percentuale in più del Centro-Nord, pure negativo (-2,1%). Per il quinto anno consecutivo, dal 2007, il tasso di crescita del PIL meridionale risulta negativo.

Dal 2007 al 2012, il Pil è crollato del 10%, quasi il doppio del Centro-Nord (-5,8%).

In termini di Pil pro capite, il gap del Mezzogiorno nel 2012 ha ripreso a crescere, arrivando al livello del 57,4% del valore del Centro Nord.

In valori assoluti, a livello nazionale, il Pil è stato di 25.713 euro, risultante dalla media tra i 30.073 euro del Centro-Nord e i 17.263 del Mezzogiorno.

Negli anni della crisi, dal 2008 al 2012, i consumi della famiglie meridionali si sono ridotti del 9,3%, oltre due volte in più del Centro-Nord (-3,5%).

In cinque anni, dal 2008 al 2013, sono 560 mila i posti di lavoro persi. Gli occupati sono scesi sotto i sei milioni, allo stesso livello del 1977.

Nel 2007 il livello di valore aggiunto dell’industria meridionale era fermo ai valori del 2001, mentre dal 2001 al 2007 nelle aree arretrate della Germania e della Spagna è cresciuto rispettivamente del 40% e del 10%. Dal 2007 al 2012 il Sud ha ridotto il proprio prodotto del 25%, i posti di lavoro del 24% e gli investimenti del 45%.

Nel 2012 il 14% delle famiglie guadagna meno di mille euro al mese, quasi tre volte più del Centro-Nord. Anche se in una famiglia lavorano due persone, il rischio povertà interessa ben il 23% delle famiglie, quattro volte più che al Centro-Nord.

Rispetto alla media nazionale, il Sud registra un gap socio-economico del 42,8%, superiore di oltre dieci punti a quello misurato dal divario di Pil pro capite (-32%).

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