04 Nov 2009
«Una differenza così evidente nelle retribuzioni ha sicuramente origine nelle condizioni giuridiche del lavoratore immigrato». Kurosh Danesh, iraniano di 51 anni, da trenta in Italia dov’è coordinatore del comitato nazionale immigrati della Cgil, dosa le parole una ad una. Sa che sta per pronunciare quella che considera una verità scomoda, una di quelle stridono sgradevolmente con il mito degli italiani brava gente.
A quali condizioni giuridiche degli immigrati si riferisce?
«L’immigrazione è regolata dalla legge Bossi-Fini, che per il permesso di soggiorno introduce il principio del diritto duale: per mantenere l’autorizzazione a restare in Italia, un immigrato deve evitare di restare disoccupato per più di sei mesi. E per rinnovare il permesso di soggiorno, deve avere un contratto di lavoro in atto. Il diritto duale lega così la permanenza sul territorio di un immigrato alla sua condizione lavorativa ».
Cosa ha a che fare tutto questo con le retribuzioni?
«È il fattore che spesso introduce nelle relazioni di lavoro un elemento di ricatto. Chi assume conosce queste caratteristiche della Bossi-Fini e cerca di usarle a proprio favore per imporre a un immigrato condizioni peggiori in termini di retribuzioni, inquadramento e condizioni di lavoro. Non è un caso se l’incidenza di infortuni sul lavoro per gli stranieri è più alta».
Intende dire che la Bossi-Fini consegna il coltello dalla parte del manico agli imprenditori?
«Esatto, ma allo stesso tempo risulta dannosa per lo sviluppo dell’intero Paese».
Al contrario: molte imprese in questo modo recuperano competitività, ammesso che lei abbia ragione.
«In una logica di breve periodo possono avere dei vantaggi. Ma tutte le esperienze storiche, dall’unificazione tedesca all’integrazione delle varie ondate migratorie negli Stati Uniti, dicono che queste differenze di salari alla fine vanno a danno di tutti».
Lo dice perché fra italiani e stranieri, specie in tempo di crisi, si crea una concorrenza al ribasso per il lavoro?
«Partendo dall’elemento di ricatto che dicevo, sicuramente sì: questa concorrenza può esistere. È il datore di lavoro che la fa nascere. Ma il risultato alla fine è una forte compressione dei salari di tutti i lavoratori, dunque anche del loro potere d’acquisto e dei consumi delle famiglie. Ma se non c’è domanda, non c’è crescita e in ultima analisi ne soffrono anche le imprese».
Esiste anche un’altra lettura: la rigidità del contratto nazionale favorisce gli italiani, perché hanno più scatti.
«Posso anche accettare questa impostazione. Ma non me la prenderei con il modello contrattuale o con gli scatti di anzianità, uno dei pochi istituti che ancora proteggono i lavoratori. La soluzione non è annullarli, ma varare programmi di formazione professionale perché gli stranieri possano entrare nelle imprese a livelli di qualifica migliori ».
Le differenze in busta paga sono da sempre un aspetto del lavoro immigrato, in ogni Paese. Davvero c’è scandalo?
«Il punto è: con la situazione demografica che avete, voi italiani avete bisogno di noi. La popolazione italiana invecchia. Gli stranieri arrivano perché qui c’è una effettiva domanda di nuova manodopera e con il passare degli anni certe situazioni diventano intollerabili».
A cosa si riferisce?
«Uno straniero arrivato vent’anni fa poteva accettare di guadagnare un terzo meno dei suoi colleghi italiani. Ma ormai anche da voi l’immigrazione è un fenomeno vecchio, siamo già alla seconda generazione. I figli degli immigrati si sentono italiani a tutti gli effetti, queste forbici nelle retribuzioni per loro sono inconcepibili. Eppure restano».
F. Fub.
Fonte: Cgil, l’Unità
PER SAPERNE DI PIU’:
http://www.cgilmodena.it/fondazione-leone-moressaretribuzioni-gli-stranieri-svantaggiati.html