15 Set 2014
di Vincenzo Intermite
Anche quest’anno, con la riapertura delle scuole, si ripresenta il tentativo, palesemente razzista, di procedere alla formazione delle classi seguendo il criterio della provenienza geografica, dando luogo, di conseguenza, a classi di soli bambini stranieri. Si ricorderà che lo scorso anno ciò era avvenuto a Costa Volpino, in provincia di Bergamo, a Landiona in provincia di Novara e a Bologna. Quest’anno è la volta della scuola elementare di Pratola Peligna, in provincia dell’Aquila, dove, in una fase di avvicendamento dirigenziale, docenti e genitori, di comune accordo, hanno assunto la decisione di far confluire, come in una sorta di apartheid, nella prima A tutti i bambini italiani, nella prima B tutti i bambini stranieri. Fortunatamente, tale decisione è stata immediatamente sconfessata dal nuovo dirigente, prof. Raffaele Santini, che, una volta insediatosi, ha dichiarato la sua ferma intenzione di respingere qualunque forma di razzismo e di rimescolare i bambini formando classi eterogenee, anche a costo di ritardare di ore l’ingresso a scuola.
In questo caso un dirigente attento e competente ha posto rimedio alla superficialità e alla grossolanità manifestata dal suo corpo docente e dalle famiglie dei suoi alunni e questo non può che rallegrarci: resta, però, il fatto sconfortante che questi rigurgiti razzisti sono diventati una sorta di appuntamento fisso in prossimità di ogni nuovo anno scolastico, e ciò fa pensare ad una preoccupante diffusione di sentimenti di intolleranza e xenofobia, talvolta magari inconsapevoli, ma proprio per questo forse anche più inquietanti, perché meno controllabili.
Ciò che più inquieta, peraltro, è che tali sentimenti, estremamente diseducativi, sembrano dilagare proprio nelle agenzie educative per eccellenza: la scuola e la famiglia. È lì che i bambini dovrebbero apprendere i principi di libertà ed eguaglianza, che regolamentano la nostra vita in società, il rispetto nei confronti del prossimo, il senso di solidarietà per chi è meno fortunato, il riconoscimento dell’uguale dignità delle culture, delle concezioni politiche, delle religioni, delle situazioni personali. Sono questi i valori a cui, dopo secoli di odio e di guerre, è approdata la nostra civiltà e che dobbiamo difendere con tutte le nostre forze, perché ne va del nostro futuro e del futuro dei nostri figli. Che cosa rischiano di apprendere, invece, le nuove generazioni da quelle agenzie? L’odio razziale, l’intolleranza, l’egoismo, la presunzione di appartenere ad una civiltà superiore, unica detentrice di chissà quale verità assoluta.
Chi, allora, rischia di contaminare quella che è la nostra storia e la nostra cultura? Chi aggredisce alle fondamenta i nostri valori e i nostri principi? Chi tradisce veramente i cardini della nostra convivenza? I bambini stranieri che, in una scuola interculturale, scambiano dinamicamente con quelli italiani conoscenze e competenze o quegli adulti che nello straniero sanno vedere solo il pericolo e che, di fronte al diverso, non sanno che passivamente e staticamente replicare se stessi?