28 Apr 2014
di Vincenzo Intermite
La visita effettuata il 12 marzo nella piana di Gioia Tauro da un team di medici aderenti all’associazione Medici per i Diritti Umani (MEDU) e il relativo resoconto da essi stilato, offre un quadro della situazione di vita dei lavoratori immigrati, che vivono e lavorano in quei luoghi, assolutamente sconfortante e vergognoso per un Paese che ama definirsi culla della civiltà e che pretende di essere una tra le più avanzate democrazie liberali del mondo occidentale.
Sembra davvero che si sia completamente perduto il senso delle parole, quando si scorda che la dottrina politica denominata liberalismo ha come suo presupposto ineludibile il riconoscimento dell’esistenza di diritti naturali inalienabili e inviolabili, presenti negli individui come proprio corredo genetico e, dunque, universali a prescindere dalla razza, dalla religione, dalla provenienza geografica, dallo status sociale e da qualunque altra situazione politica, economica e personale caratterizzante un individuo; e che le parole si usano a vanvera quando si scorda che il concetto di democrazia ha alla propria base quella di eguaglianza, integrazione e partecipazione attiva alla vita comunitaria: tutto il contrario dell’esclusione, della marginalizzazione, dell’isolamento sociale, dell’estraniazione, del disconoscimento della dignità umana e della riduzione degli individui a meri strumenti di lavoro.
Dal resoconto risulta che i paesi che accolgono questi lavoratori sono lasciati soli a gestire i grossi problemi che l’immigrazione comporta; che poco o nulla hanno fatto o stanno facendo la Regione Calabria e il Governo Renzi per sostenere lo sforzo delle amministrazioni locali e delle associazioni di volontariato, le quali hanno avviato meritevoli progetti che hanno potuto, però risolvere la situazione solo in minima parte. Si tratta di problemi di tipo abitativo, di questioni concernenti la sicurezza, l’igiene, la salute: non, dunque di frivolezze o di bisogni superflui, ma di quanto è necessario perché sia garantita un’esistenza decorosa, che è il minimo che si possa riconoscere ad ogni essere umano. I luoghi in cui vivono, oltre ad essere luoghi di fortuna fatiscenti, umidi e sovraffollati, sono sprovvisti di elementi essenziali come la luce elettrica, i servizi igienici, l’acqua potabile, l’areazione dei locali; non c’è da meravigliarsi, allora, se le visite mediche effettuate hanno evidenziato diffuse patologie anche in persone giovani e robuste che in migliori condizioni abitative e igienico-sanitarie avrebbero certamente presentato un quadro clinico completamente diverso.
Ad aggravare ulteriormente la situazione si aggiungono le durissime condizioni di lavoro a cui essi sono sottoposti, che prevedono orari molto gravosi a cui non corrispondono compensi congruenti, misure di sicurezza scarsi o del tutto inesistenti, assenza di diritti sindacali e di qualunque tipo di potere contrattuale: di fronte a tutto ciò nulla è stato fatto da parte delle autorità governative per alleviare questa situazione di sradicamento sociale e di sfruttamento, inerzia che non può che rassicurare coloro che di questa condizione di fragilità, vogliono approfittare, rafforzandoli, così, nella determinazione di replicare, anche per l’avvenire, gli stessi rapporti di lavoro e lo stesso tipo di asservimento.
L’appello finale dei Medici per i Diritti Umani si rivolge alle istituzioni nazionali, regionali e locali perché queste procedano da subito alla predisposizione di un piano che possa offrire ai lavoratori stagionali, che a fine ottobre giungeranno nella Piana per la nuova stagione agrumicola, un’adeguata accoglienza e condizioni di vita e di lavoro degne di un Paese civile, auspicando, al contempo, che, finalmente, il Governo italiano assuma decisioni risolutive in merito a questo problema gravissimo che è la condizione disumana nella quale versano i lavoratori stagionali della Piana di Gioia Tauro.