30 Set 2014
Per affrontare le conseguenze dell’invecchiamento della popolazione, l’UE dovrà eliminare le disparità di genere e aumentare la partecipazione di lavoratori di tutte le età al mercato del lavoro, ma non va sottovalutato il ruolo fondamentale della mobilità e della migrazione. Questa è la conclusione principale della relazione intitolata “Matching Economic Migration with Labour Market Needs” (Conciliare la migrazione economica con le esigenze del mercato del lavoro), pubblicata nei giorni scorsi dalla Commissione europea e dall’OCSE.
In Europa, secondo le previsioni attuali, tra il 2013 e il 2020 la popolazione in età lavorativa (15-64 anni) diminuirà di 7,5 milioni (-2,2%), mentre nell’insieme dei paesi dell’OCSE aumenterà nella stessa proporzione. In uno scenario privo di migrazione netta ci si attenderebbe un ulteriore calo della popolazione in età lavorativa dei 28 paesi dell’UE, fino a un massimo di 11,7 milioni (-3,5%) entro il 2020. Lo afferma lo studio congiunto UE-OCSE Matching Economic Migration with Labour Market Needs (Conciliare la migrazione economica con le esigenze del mercato del lavoro).
Le conseguenze di tale riduzione non sono solo demografiche: il mercato del lavoro infatti è una realtà dinamica in cui le professioni variano, per cui le disparità e le carenze di competenze diverranno una questione di fondamentale importanza per l’UE. Secondo l’Indagine sull’impresa europea del 2013 realizzata da Eurofound, nonostante la stagnazione del mercato del lavoro il 40% delle imprese dell’UE hanno difficoltà a reperire manodopera con le competenze necessarie. Nel complesso, i dati disponibili suggeriscono che nella maggioranza dei paesi dell’OCSE, nel corso del prossimo decennio, le esigenze di manodopera si concentreranno in alcune professioni specifiche – che per la maggior parte richiedono competenze elevate, ma anche intermedie.
In questo contesto, lo studio delinea tre risposte programmatiche complementari:
promuovere la mobilità del lavoro all’interno dell’UE per garantire una migliore ripartizione delle competenze;
migliorare l’integrazione dei migranti provenienti da paesi terzi per garantire un utilizzo più intelligente delle loro competenze;
attrarre i lavoratori migranti altamente qualificati di cui ha bisogno il mercato del lavoro dell’UE.
I lavoratori migranti all’interno dell’UE offrono un contributo evidente alla crescita globale dell’occupazione: le persone che migrano tra paesi dell’UE presentano un tasso di occupazione (68%) più alto rispetto a quello dei cittadini del paese ospitante (64,5%). La mobilità all’interno dell’UE permette inoltre un uso più efficiente delle risorse umane tramite il trasferimento di manodopera e competenze dalle regioni o dai paesi di minor domanda a quelli in cui sono maggiormente richiesti. Secondo la relazione, sarà necessario intervenire a livello programmatico per continuare a rimuovere gli ostacoli alla mobilità. Favorire la mobilità del lavoro all’interno dell’UE richiederà anche strumenti più efficaci di conciliazione delle competenze e una maggiore promozione dell’apprendimento delle lingue,
Nel 2013 il tasso di occupazione dei cittadini di paesi terzi residenti nell’UE era inferiore di 12 punti percentuali rispetto a quello della media dei cittadini (52,6% contro 64,5%), con un divario ancora più marcato nel confronto tra persone con un’istruzione terziaria.
La relazione sottolinea che questo notevole spreco di capitale umano potrebbe essere ridotto in particolare agevolando il riconoscimento di diplomi stranieri, garantendo agli immigranti l’accesso ai programmi attivi per il mercato del lavoro di maggior efficienza e fornendo una formazione linguistica adeguata alle competenze dei migranti nei paesi di destinazione.
Esiste attualmente un livello ridotto di migrazione di manodopera qualificata da paesi terzi verso la maggior parte degli Stati membri dell’UE, nonostante il fatto che i paesi abbiano liberalizzato le norme sulla migrazione. Secondo la relazione, tale effetto è dovuto principalmente al sistema di ammissione legale nel paese ospitante e al fatto che nella maggior parte dei paesi i datori di lavoro sono restii ad assumere lavoratori stranieri. Essa sottolinea diverse opzioni disponibili per gli interventi futuri, quali la ricerca di un migliore equilibrio tra la dipendenza dalla richiesta dei datori di lavoro e i meccanismi di salvaguardia, e il miglioramento degli strumenti di conciliazione che consentano ai datori di lavoro di individuare i potenziali lavoratori migranti, compresi gli studenti stranieri.