11 Dic 2014
Benché la crisi economica abbia contribuito a ridefinire il ruolo della forza lavoro straniera, mutandone le forme della presenza all’interno dei sistemi occupazionali, oggi, per alcune specifiche mansioni, per i cittadini stranieri è possibile parlare di indispensabilità sia per la complementarità con la forza lavoro italiana che per un effetto sostituzione in alcuni settori, come nel caso del welfare state familistico italiano, il quale necessita di manodopera straniera pena la sua implosione. Lo rileva la IV Nota semestrale sul mercato del lavoro dei migranti in Italia, curata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Ciononostante, osserva la Nota, la sfida che oggi si impone, dopo più di un lustro di sofferenza del mercato del lavoro, riguarda, da un lato, la sostenibilità dell’immigrazione sotto il profilo della gestione dei senza lavoro nel loro percorso di reinserimento lavorativo, vista la crescita esponenziale della disoccupazione, e, dall’altro, la necessità di garantire accettabili livelli occupazionali in determinati settori e dunque soddisfare strutturali fabbisogni di manodopera. “Individuare i punti di rottura all’interno degli assetti del mercato del lavoro e ipotizzare nuovi possibili riequilibri è impresa difficile”, afferma la Nota. “La netta segmentazione occupazionale tra italiani e stranieri – i cittadini comunitari ed extracomunitari sono caratterizzati da maggiore mobilità, salari di riserva più contenuti, maggiori chance di inserimento lavorativo e tuttavia maggiore esposizione ai processi di espulsione dal mercato del lavoro – è nota, così come è noto il fatto che la forza lavoro immigrata è solo in alcuni casi meno istruita di quella italiana e che in alcune comunità straniere sono presenti elevate quote di NEET (i giovani che non lavorano, non studiano e non sono in formazione: Not in Employment, Education and Training) e altissimi livelli di inattività femminile. Dunque, i lavoratori migranti sono una risorsa imprescindibile quando inseriti nel mercato del lavoro eppure, in caso perdita dell’occupazione, visto lo scarso attachment al sistema dei servizi per l’impiego e la forte dipendenza da reti sociali etnicamente omogenee, oneroso appare per loro il processo di un regolare reinserimento occupazionale”.
Secondo la nota, inoltre, la mobilità professionale dei lavoratori stranieri sarà la questione centrale del mercato del lavoro del prossimo futuro. “La presenza della forza lavoro straniera, come in uno specchio, pone in luce non solo i problemi sociali più o meno silenti della società di accoglienza, ma altresì riproduce le tendenze spontanee più esiziali del mercato del lavoro, sempre più bisognoso di una riserva di forza lavoro a basso costo. La penalizzazione, sia sotto il profilo retributivo che di sviluppo delle carriere e delle qualifiche professionali – soprattutto per gli stranieri di seconda generazione e di più lungo soggiorno sul territorio italiano – unitamente al mancato riconoscimento dei titoli di studio e ad una progressiva crescita del salario di riserva, non potrà non sfociare in tensioni che di certo diverranno il principale problema del mercato del lavoro degli stranieri. Diversamente dal quel che accade in molti economie sviluppate – volte al reperimento di forza lavoro ad alto livello di qualificazione – in Italia non si è mai manifestato un fabbisogno di personale immigrato dotato di elevate competenze tecniche e professionali, a conferma di quanto scarsa sia la necessità di manodopera qualificata per un sistema economico scarsamente orientato all’innovazione. I bassi livelli di qualificazione della forza lavoro immigrata sono forse il prodotto indiretto di una domanda di lavoro schiacciata su professionalità low skills. Si pensi ad esempio alla ‘funzione sostitutiva’ che le lavoratrici immigrate svolgono nel caso dei servizi domestici e di assistenza, di fatto garantendo la conservazione del tradizionale sistema di welfare italiano fondato sulla famiglia piuttosto che sui servizi pubblici. Proprio in ragione della particolare articolazione della domanda di lavoro e vista l’imprescindibilità della manodopera immigrata per soddisfare il fabbisogno di professionalità in alcuni particolari settori non direttamente esposti al ciclo economico, la popolazione straniera sembra aver risposto meglio alla crisi occupazionale degli ultimi anni, anche se sono evidenti alcune criticità”.
Peggiorano le condizioni occupazionali. La popolazione straniera in età da lavoro (15 anni ed oltre) nel 2013 supera i 4 milioni di individui di cui 2.355.923 occupati, 492.940 persone in cerca di lavoro e 1.275.343 inattivi.
Negli ultimi due anni (2012-2013), si osservano tre fenomeni strutturali:
1. a fronte della diminuzione del numero di occupati italiani di 500 mila unità nell’arco di appena dodici mesi, aumenta il numero di occupati stranieri di entrambe le componenti UE ed Extra UE per complessivi +21.875 lavoratori;
2. aumenta in modo significativo il numero di stranieri in cerca di lavoro, che passano dalle 382.670 unità del 2012 alle 492.940 del 2013, con una crescita rilevante sia della componente UE (+24,9%) che Extra UE (+30,6%), dunque ben più dell’incremento pari a +11% fatto registrare dalla componente italiana;
3. aumentano nell’arco di un anno gli stranieri inattivi (1.275.343 nel 2013), con una crescita prevalentemente concentrata tra gli stranieri Extra UE (+52.540), anche in ragione della crescente stabilizzazione nel nostro paese della componente extracomunitaria il cui peso cresce altresì in relazione ai ricongiungimenti familiari (soprattutto negli ultimi anni).
L’analisi dei tradizionali indicatori del mercato del lavoro confermano un generale peggioramento delle condizioni occupazionali degli stranieri. Il tasso di occupazione dei lavoratori stranieri, pur mantenendo performance migliori rispetto alla controparte italiana, e l’Italia è l’unico caso nell’Unione Europea in cui ciò avviene, ha conosciuto una costante contrazione, più di quanto non abbia perso il tasso di occupazione degli italiani. Se nel 2012 l’indicatore occupazionale ha fatto registrare per gli stranieri un tasso del 60,6% (4,2% punti in più rispetto al tasso di occupazione dei cittadini italiani), nel 2013 il valore si è attestato su quota 58,1% e dunque solo di 2,8 punti superiore al 55,3% degli italiani. Parallelamente è cresciuto il tasso di disoccupazione attestandosi, nell’ultimo anno, al 17,3% contro l’11,5% delle forze lavoro di nazionalità italiana.
La maggiore concentrazione di occupati stranieri Extra UE si registra nelle regioni del Nord Ovest (585 mila circa) ed in quelle del Nord Est (poco meno di 432 mila unità). I lavoratori stranieri di cittadinanza UE sono presenti soprattutto nella regioni del Centro Italia dove si concentra più del 33% degli occupati comunitari. La minore presenza di lavoratori stranieri si registra, invece, nel Mezzogiorno: solo il 15,5% dei lavoratori UE e il 12,2% degli Extra UE è occupato in una regione meridionale.
La distribuzione territoriale della disoccupazione segue, sostanzialmente, le proporzioni registrate tra gli occupati.
I beneficiari degli ammortizzatori sociali. Nel 2013 il numero di beneficiari di trattamenti di integrazione salariale ordinaria con cittadinanza in Paesi extracomunitari è di 69.460 unità. Essi rappresentano l’11,2% del totale di beneficiari (619.514).
I lavoratori che nel 2013 hanno usufruito di indennità di mobilità
sono 314.441, di cui 17.618 (5,6%) con cittadinanza extracomunitaria. Tale percentuale è in leggera crescita: infatti negli anni 2011 e 2012 era rispettivamente pari 5,4% e al 5,5%.
Per l’anno 2013 i beneficiari di indennità di disoccupazione ordinaria non agricola e speciale edile (relativi a lavoratori con data di licenziamento entro il 31/12/2012) e di ASpI (relativi a lavoratori con data di licenziamento a partire dall’1/1/2013) sono nel complesso 1.620.316, dei quali 212.806 con cittadinanza extracomunitaria (13,1%). Tale percentuale è stabile rispetto al 2012, anno in cui era pari al 13,2%, ed è in crescita rispetto al 2011 quando era pari al 12,2%. Nel tempo la composizione per genere dei beneficiari extracomunitari evidenzia un leggero incremento della percentuale femminile che passa dal 47,1% del 2011 al 48,1% del 2013.
Nel 2012 (il riferimento è all’anno in cui si è verificato l’evento di disoccupazione) il numero dei beneficiari di disoccupazione ordinaria non agricola con requisiti ridotti-Mini ASpI 2012* è pari a 515.659, dei quali 52.070 con cittadinanza extracomunitaria, pari al 10,1% (12,2% per i maschi; 7,7% per le femmine). Tale percentuale è in crescita rispetto agli anni 2010, quando era pari al 7,9% e 2011 anno in cui era pari al 9,7%.
Per l’anno 2012 i beneficiari di disoccupazione agricola sono 507.495, di cui 59.565 con cittadinanza extracomunitaria pari all’ 11,7% (maschi: 17,2%; femmine 5,5%). Tale percentuale è in leggera crescita: negli anni 2010 e 2011 era rispettivamente dell’ 8,9% e del 10,6%.
Infortuni e malattie professionali. I dati infortunistici dei lavoratori stranieri hanno mostrato una diminuzione negli ultimi due anni; si è passato dalle oltre 104mila denunce del 2012 a circa 95.000 del 2013 (-9,3%), mentre 114 sono state le denunce registrate per i casi mortali nel 2013 (dati ancora provvisori, non stimati e non consolidati). Tra il 2011 e il 2012 si era avuta una diminuzione leggermente più sostenuta (-10,6%), da circa 117mila a oltre 104mila casi, equo distribuita tra i lavoratori comunitari e gli extra-comunitari; per gli infortuni mortali, è stato registrato un maggiore decremento, da 146 a 123 casi interessando sia gli extra-comunitari (da 86 a 73 casi), sia quelli occorsi ai comunitari passati da 60 casi a 50.
Nel 2013 gli infortuni ai danni dei lavoratori stranieri hanno rappresentato il 15,6% degli infortuni in complesso (605.646) e il 16,1% degli infortuni mortali (710). Dei 94.669 casi riguardanti i lavoratori stranieri, il 73,5% ha interessato i nativi dei Paesi Extra UE e il rimanente 26,5% quelli dei Paesi UE, con percentuali analoghe per i casi mortali (71,9% e 28,1% rispettivamente).
I dati sulle malattie professionali dei lavoratori stranieri risentono di talune problematiche che portano a una sottostima del fenomeno. Accade che si contraggano malattie senza che esse si manifestino istantaneamente data la latenza delle patologie; i tempi di esposizione della malattia possono essere molto lunghi, pertanto gli ultimi anni in cui l’immigrazione è aumentata, non possono far comprendere l’entità del fenomeno; la mobilità elevata del lavoratore, in qualità di migrante, non consente, inoltre, di fare maturare le condizioni per la denuncia e a volte i lavoratori stranieri che si ammalano, tendono a tornare nel paese di origine.
Nel biennio consolidato 2011-2012 si osserva un incremento del 7,0% delle malattie professionali ai danni dei lavoratori stranieri, che passano da 2.671 a 2.858 denunce, confermando i dati crescenti degli ultimi anni.
Gli incrementi percentuali maggiori si sono registrati nei settori dell’Attività di famiglie e convivenze come datori di lavoro per personale domestico (90,6%), dell’Istruzione (50%), dell’Estrazione di minerali da cave e miniere (42,9%), dell’ Attività dei servizi di alloggio e di ristorazione (29,9%).