09 Apr 2013
di M. Elisabetta Vandelli
La Corte di Appello di Brescia, con la Sentenza n° 311/ 2013 del 18 marzo 2013, non ha potuto che ribadire, seguendo la pronuncia in primo grado del Tribunale di Brescia, l’eclatante natura discriminatoria del provvedimento del Sindaco di Chiari, con il quale veniva introdotto, nell’ordinamento comunale, l’obbligo per gli stranieri, che volessero contrarre matrimonio, di esibire il permesso di soggiorno.
La pronuncia della Corte di Appello si allinea così anche alla sentenza della Corte Costituzionale n. 245/2011 con cui viene dichiarato incostituzionale il requisito dell’esibizione del titolo di soggiorno per lo straniero che vuole convolare a nozze, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 116 c. 1 c.c., come modificato dall’art. 1 della legge n. 94/09 (pacchetto sicurezza), nella parte in cui impone l’esibizione, da parte dello straniero, di un documento attestante la regolarità del suo soggiorno, ai fini delle pubblicazioni e della celebrazione del matrimonio in Italia.
Il provvedimento del Sindaco di Chiari, che impediva quindi la celebrazione del matrimonio allo straniero che fosse privo del titolo, proprio in antitesi alla pronuncia della Corte Costituzionale predetta, introduceva una disposizione discriminatoria nei confronti degli stranieri perché “diretta a limitare il riconoscimento, il godimento e l’esercizio in condizioni di parità dei diritti umani e delle libertà fondamentali”come prescritto dall’art. 43 del TUI.
Il diritto a contrarre matrimonio incarna infatti un diritto umano fondamentale, tutelato come tale dalla Costituzione, ed espressamente enunciato della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nonché da diverse pronunce della CEDU, è pertanto un diritto che spetta «ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani», con la conseguente che la «condizione giuridica dello straniero non deve essere pertanto considerata come causa ammissibile di trattamenti diversificati e peggiorativi».
Ne discende così una preclusione, per le istituzioni pubbliche, ad effettuare segnalazioni alcune di condizione di illegalità di soggiorno, proprio perché non sono tenute (né possono) richiedere il permesso di soggiorno, per le pubblicazioni matrimoniali.