12 Nov 2014
Tra la fine del 2011 e la fine del 2013, le imprese a guida immigrata registrate negli elenchi camerali sono aumentate del +9,5% (e del 4,1% nell’ultimo anno), a fronte di una lieve diminuzione di quelle facenti capo ai nati in Italia (-1,6%). A seguito di questi andamenti, alla fine del 2013 sono 497.080 le imprese condotte da cittadini immigrati, con un’incidenza dell’8,2% sul totale. Sono alcuni dei dati del Rapporto Immigrazione e Imprenditoria 2014, presentato questa estate. Con la sua cadenza annuale, il Rapporto consente di avere una fotografia aggiornata della componente immigrata nel tessuto imprenditoriale e di valutarne lo specifico apporto al sistema economico-produttivo nazionale.
Al 31dicembre 2013, incluse anche quelle degli immigrati, sono complessivamente 6.061.960 le imprese. Sono meno dell’anno precedente (6.093.158), per lo più a seguito delle profonde difficoltà di quelle artigiane, in costante calo dal 2009. Nonostante la crisi economica e le maggiori difficoltà che devono affrontare sul piano burocratico, di accesso al credito e di inserimento nel mercato interno, a differenza degli autoctoni, gli imprenditori immigrati hanno raggiunto esiti positivi in termini di bilancio tra imprese avviate e cessate.
Tra la fine del 2011 e la fine del 2013 negli elenchi camerali le imprese degli immigrati sono aumentate del +9,5% (e del 4,1% nell’ultimo anno), a fronte di una lieve diminuzione di quelle facenti capo ai nati in Italia (-1,6%). A seguito di questi andamenti, alla fine del 2013 sono 497.080, con un’incidenza dell’8,2% sul totale. Il dinamismo che la componente immigrata continua a dimostrare anche in questi anni di crisi si lega, tra l’altro, a una crescente capacità di aprirsi a forme di impresa più complesse, come le società di capitali, ma le esperienze tecnologicamente avanzate, innovative e ad alto valore aggiunto restino ancora poco diffuse. Si tratta, infatti, in larga maggioranza di imprese individuali (400.583, l’80,6% del totale) e, anche in conseguenza di ciò, di attività a esclusiva conduzione immigrata (94,0%). Un significativo fattore di dinamismo è legato alle imprese condotte da donne (117.703), che nell’ultimo anno sono aumentate del 5,4%.
Il Nord raccoglie poco più della metà delle imprese immigrate (30,4% nel Nord Ovest e 21,3% nel Nord Est), il Centro oltre un quarto (26,3%) e il Meridione oltre un quinto (22,0%). La regione che ne cinta di più è la Lombardia (oltre 94mila, il 19,0% del totale). Seguono il Lazio, con oltre 60mila (12,2%), la Toscana (48mila, 9,7%) e, quindi, due regioni del Nord Est, Emilia Romagna (46mila, 9,2%) e Veneto (circa 42.500, 8,6%). Cinque regioni che, da sole, raccolgono quasi 6 imprese immigrate ogni 10 (58,7%).
Le province predilette dall’imprenditoria immigrata sono quelle di Roma (51mila, 10,3%) e Milano (42mila, 8,4%). Incidono maggiormente sul tessuto produttivo locale a Prato (24,4%), Firenze (14,1%) e Trieste (13,7%).
Gli imprenditori di origine straniera seguono per lo più logiche di ricambio degli imprenditori autoctoni in settori facilmente accessibili, che non richiedono grandi investimenti iniziali e con margini di crescita e di profitto ridotti, segnatamente nel commercio e nell’edilizia, due settori che raccolgono oltre 6 imprese ogni 10. Prevale il commercio (oltre 175mila imprese, 35,2% sul totale), seguito dalle costruzioni (126mila, 25,4%). Seguono, a distanza, le attività manifatturiere (41mila, 8,3%), le attività di alloggio e ristorazione (36mila, 7,2%) e i servizi di noleggio, agenzie di viaggio e altri servizi alle imprese (4,7%). Il primo settore di attività è l’edilizia in molte regioni del Centro e del Nord, mentre il commercio prevale nella Provincia Autonoma di Bolzano, nelle Marche, nel Lazio e in tutte le regioni meridionali.
Pur denominate spesso imprese “etniche”, i prodotti e i servizi che offrono sono destinati in prevalenza a clienti italiani, per quanto non manchi l’attenzione ai bisogni delle collettività immigrate, come attestano non solo i negozi di prodotti tipici dei Paesi di origine, ma anche specifiche imprese di servizi. Numerosi sono, ad esempio, i casi di piccole realtà editoriali-giornalistiche (i cosiddetti giornali “etnici”), di servizi di assistenza legale e burocratica (disbrigo pratiche), di carattere sociale (come gli asili nido) o altro (agenzie viaggio, call center). Rilevante anche il contributo al settore artigiano, in cui molti mestieri, prima praticati diffusamente dagli italiani, vengono “salvaguardati” per il fatto che sono gli immigrati a farsene carico.
Nell’insieme, si tratta di attività controllate in oltre i tre quarti dei casi da lavoratori nati oltre i confini dell’Unione Europea (384.318 imprese, 77,4% del totale), mentre i Paesi di origine che si segnalano per un maggior numero di titolari di ditte individuali sono Marocco (61.177, 15,3%), Romania (46.029, 11,5%), Cina (45.043, 11,2%), Albania (30.376, 7,6%), Bangladesh (20.705, 5,2%) e Senegal (16.894, 4,2%).
I diversi gruppi nazionali si distribuiscono diversamente nei vari settori di attività. Si delineano, infatti, delle specifiche dinamiche di concentrazione settoriale per le quali quasi la metà dei titolari di imprese individuali nati all’estero e attivi nella manifattura è cinese (48,9%), quasi un terzo di quelli attivi nel commercio è marocchino (29,2%), oltre un quarto di quelli attivi nell’edilizia è romeno (28,0%) e un altro quinto albanese (20,8%), quasi un quarto di coloro che scelgono le attività di alloggio e ristorazione è cinese (24,0%) e uno su nove è egiziano (11,0%). Tra gli immigrati titolari di ditte di noleggio, agenzie di viaggio e servizi alle imprese, invece, oltre un quarto è di origine bangladese (18,6%) o egiziana (7,5%).
L’apporto delle imprese immigrate al sistema economico-produttivo nazionale sarebbe più incisivo se le si mettesse in condizione si superare le maggiori difficoltà che incontrano rispetto alle imprese degli autoctoni. Al riguardo, il Rapporto indica come obiettivi da perseguire i seguenti: le agevolazioni in materia creditizia; la semplificazione degli adempimenti burocratici; l’alleggerimento del carico fiscale; il sostegno e l’assistenza da assicurare anche nelle fasi successive allo start-up; l’insistenza (anche) su settori diversi da quelli tradizionali; la maggiore apertura a forme societarie diverse dall’impresa individuale, che consentano anche di ampliare il numero di dipendenti e superare la coincidenza tra realtà familiare e realtà aziendale; l’ampliamento del raggio di azione (rispetto al territorio nazionale e, quindi, tramite l’attivazione di legami operativi con i Paesi di origine); collegamenti più stretti con le strutture creditizie, a supporto di impegni imprenditoriali di più rilevante portata; l’apertura all’associazionismo di categoria e alla formazione di consorzi (da considerare una condizione facilitatrice dell’accesso ai benefici di legge, come anche all’assistenza tecnica e operativa).
Secondo i dati del CRIBIS, gli immigrati hanno inciso per l’11% sulla richiesta di crediti finanziari nel 2013. Ai primi posti si collocano i romeni, gli albanesi e i marocchini, mentre i cinesi si posizionano “solo” al 29° posto, un dato che riflette l’attitudine della collettività a ricorrere in primis al supporto delle reti parentali e comunitarie. Nel complesso, gli immigrati preferiscono ai prestiti finalizzati quelli personali (che coprono il 40,3% di tutte le richieste da loro avanzate), in quanto, pur comportando tassi più alti, richiedono meno garanzie e pongono meno vincoli. In generale, la propensione a ricorrere alle banche è in crescita, anche grazie alle strategie più mirate attuate dal sistema creditizio. “Su queste dinamiche bisogna insistere e vigilare con attenzione, per evitare che emergano situazioni di sovra-indebitamento e per arginare il ricorso a canali di finanziamento meno controllabili”. Peraltro la rischiosità media degli imprenditori immigrati, per quanto riguarda la regolarità nei pagamenti, è più elevata rispetto a quella degli italiani ed è andata aumentando nell’ultimo triennio, in particolar modo nel caso delle imprese di più piccole dimensioni (analogamente a quanto si osserva tra gli italiani).
La scelta imprenditoriale ha costituito, e spesso continua a costituire, stante la crisi, una strategia di autoimpiego e una concreta possibilità di avanzamento sociale, tanto più in un Paese dalla mobilità “bloccata” come l’Italia e in particolare nel caso dei cittadini di origine straniera. Col tempo, poi, è emerso anche un forte legame (e per certi aspetti una certa funzionalità) rispetto ai meccanismi della subfornitura, del subappalto o nei servizi alle imprese.
Non va sottovalutato il ruolo degli immigrati imprenditori come fattore di internazionalizzazione del sistema imprenditoriale italiano. Secondo una recente indagine del Cnel, il 16% delle imprese immigrate intrattiene contatti con i Paesi di origine degli imprenditori coinvolti e queste potenzialità andrebbero meglio sfruttate.