03 Set 2009
Il segno meno davanti all’economia globale degli ultimi mesi ha colpito duramente il lavoro dei migranti e le loro entrate. “Ci sono segnali secondo cui il volume dei nuovi flussi migratori di forza lavoro si è andato decisamente riducendo e questo fenomeno è stato registrato in diverse regioni del mondo”. Lo ha spiegato Ibrahim Awad, direttore del Programma Migrazioni internazionali dell’Ilo (l’agenzia Onu del lavoro), in un’intervista a Radio Articolo 1.
Per molti stranieri le porte d’ingresso nei paesi sviluppati si sono chiuse dal momento che diversi paesi “dopo lo scoppio della crisi economica hanno introdotto nuove misure in materia di migrazione e altri hanno voluto riordinare il proprio sistema di ammissione dei lavoratori migranti. In generale i paesi – spiega Awad – hanno optato per l’introduzione di norme che delineassero con esattezza la domanda, limitando le ammissioni che non fossero indirizzate a particolari mestieri. Alcuni hanno adottato strumenti per incoraggiare i lavoratori migranti a tornare nel loro paese d’origine”. Per l’Ilo è evidente l’intenzione dei governi di ridurre “la presenza di lavoratori migranti sul proprio territorio per delimitare così le conseguenze della diminuzione della richiesta di forza lavoro”.
Un volto duro che non fa notizia. La notizia, però, è che i migranti non tornano a casa. Spiega sempre Awad che “per quanto riguarda i flussi di ritorno ci si aspettava che fossero consistenti mentre, in linea di massima, finora non è stato così. In generale, non vi è stato un ritorno massiccio ai paesi di origine”. Centinaia di migliaia di persone tengono duro, dunque, nelle tante “Americhe” del mondo, nonostante la stretta nelle politiche sull’immigrazione e nonostante le minori opportunità occupazionali.
Mandano, però, meno soldi a casa. “La Banca Mondiale – ha detto sempre Awad a Radio Articolo 1 – verifica i flussi delle rimesse (i soldi che i migranti mandano alle loro famiglie nei paesi di origine, ndr) e ha previsto una loro diminuzione in tutto il mondo. Nella seconda metà del 2008 si è già verificato un calo del tasso di crescita delle rimesse e una riduzione del loro volume reale in alcuni paesi e in alcune regioni. In generale – prevede l’esperto dell’Ilo -, assisteremo a un loro abbassamento nel 2009 che avrà, ovviamente, effetti molto seri sui paesi di origine e in alcuni di essi in particolare. Ad esempio, se l’India è la nazione che riceve le maggiori rimesse al mondo, nel 2008 queste ultime rappresentavano il 3.8% del prodotto interno lordo, una cifra piuttosto modesta rispetto all’economia indiana intesa nel suo insieme. Per molti altri paesi, però, il calo delle rimesse può avere conseguenze serissime, drammatiche. Nel 2008, in una nazione come il Tagikistan – prosegue Awad -, le rimesse rappresentavano il 45% del PIL, potete facilmente immaginare cosa comporterebbe una riduzione del 10% delle rimesse per l’economia e il popolo tagiko. A causa dei suoi effetti moltiplicatori, potrebbe danneggiare l’occupazione interna, gli standard di vita, avere un grosso impatto sul numero dei poveri, e così via”. (rassegna.it)