12 Dic 2012
La proposta, che per fortuna è stata respinta, ha scioccato il mondo. Marton Gyongyosi, uno dei giovani leader di Jobbik, terzo partito ungherese, vuole una lista per registrare gli ebrei che vivono nella repubblica magiara. Già finito all’attenzione degli osservatori internazionali per le sue manifestazioni contro la comunità rom, Jobbik non è però l’unico esempio di partito che ricorda il più tragico passato dell’Europa. Da tempo, anzi, se ne registra la proliferazione. In Grecia, per fare un esempio recente, Alba Dorata ha grande seguito. Proponiamo, di seguito, una riflessione sul fenomeno. (cs)
PICCOLA FENOMENOLOGIA DELL’ULTRAIDENTITARIO
di Vincenzo Intermite
Lo stretto rapporto che lega l’irrompere delle crisi economiche alla crescita e alla diffusione di gruppi e organizzazioni razzisti, ultranazionalisti e ultraidentitari, völkischper usare un’espressione cara alla letteratura nazista, è così ricorrente nella storia da poter essere considerato una sorta di costante, una legge fondamentale degli studi economici e sociali. Anche in epoche nelle quali non esistevano associazioni ideologiche come le moderne organizzazioni politiche, quali l’età medievale e moderna, nei periodi di maggiore difficoltà l’ostilità popolare si rivolgeva, o veniva diretta dagli stessi governi, contro gli stranieri, come avvenne nella Spagna di Filippo II nei confronti di ebrei e mori, e successivamente, nella Russia degli zar con la pratica dei pogrom contro le comunità ebraiche. Quello che produsse la crisi economica tedesca dopo il 1929 con l’ascesa al potere di Hitler è troppo noto per essere qui richiamato.
Che quella relazione ci sia è, dunque, accertato. Si tratta di individuarne il medium, di capire qual è il fattore che lega i due fenomeni. Lo si capisce, a mio avviso, solo se si tiene presente che l’ultraidentitario, nonostante le manifestazioni di forza e di machismo, è in realtà mosso da paura, non dello straniero o dell’ebreo, ma di se stesso, della sua incapacità di far fronte a nuove situazioni che possono sconvolgere la sua quotidianità. La sua debolezza è la rigidità con cui guarda alla propria identità concepita come qualcosa di immutabile, di imperituro, di dato una volta per tutte e definitivamente accertato: nel momento in cui questo monolite viene scosso dalla crisi economica che lo priva delle sue consuete sicurezze sociali, dei piccoli privilegi di cui godeva, dello status sociale che lo distingueva rispetto ad altri ai quali poteva guardare con una certa aria di superiorità, egli si sente smarrito, svuotato di senso, in pericolo.
Ora la sua identità non è più inattaccabile, viene anzi messa a dura prova; bisogna che essa venga ricostituita: ma ciò non può avvenire positivamente attraverso la valorizzazione delle proprie capacità, della propria virtù, della propria determinazione, perché la fissità che egli attribuisce alla propria identità non glielo consente; ciò può avvenire solo negativamente attraverso il rifiuto dell’altrui identità, attraverso la ‘disconferma’ di ciò che l’altro è, attraverso l’allontanamento del diverso che gli ricorda la propria pusillanimità.
L’ultraidentitario è, nella sostanza, un frustrato, un risentito in senso nietzschiano che esprime con rabbia e aggressività la propria debolezza, la propria insicurezza, la propria incapacità di commisurare al mondo la propria identità e di edificare se stesso nel rapporto con l’Altro.