PRESENTATO IL RAPPORTO ISMU SULL’IMMIGRAZIONE. RICOSTRUISCE GLI ULTIMI VENT’ANNI DEL FENOMENO

28 Nov 2014

 

E’ stato presentato nei gioni scorsi il XX Rapporto sulle migrazioni della Fondazione Ismu.  Il Rapporto ricostruisce la dinamica del fenomeno migratorio degli ultimi due decenni, che hanno visto crescere la popolazione straniera da 500mila (regolari) a 5 milioni e mezzo di unità (regolari e non).  Nel corso di questi vent’anni la presenza dei migranti si è consolidata stabilizzandosi: si è passati infatti da un’immigrazione legata a motivi di lavoro a una immigrazione per motivi familiari.  Dal 2013 poi è esploso il fenomeno degli sbarchi, che ultimamente sono diventati sempre più numerosi. Negli ultimi quattro anni, infatti, c’è stata, da un lato, una forte diminuzione (causata dalla crisi economica) dei flussi in entrata legati ai permessi di soggiorno e, dall’altro, a un aumento dei migranti che approdano via mare in fuga dai loro paesi in difficoltà. Dal 1° gennaio al 15 ottobre 2014 i migranti sbarcati in Italia hanno toccato la cifra record di quasi 150mila unità, numero più che triplo rispetto a quello degli sbarcati nel 2013 (43mila) e più che doppio rispetto al valore del 2011 (anno in cui si era registrata la cifra di 63mila arrivi a seguito delle primavere arabe). Ma alcune recenti ricerche mostrano che le mete preferite dei migranti che approdano via mare sulle coste italiane sono la Svezia e la Germania, e in generale il Nord Europa. Tutto porta a pensare, quindi, che è cambiata la dinamica migratoria: l’Italia, dopo essersi trasformata da paese di emigrazione a paese di immigrazione, adesso si trova al centro di complessi flussi di immigrazione, emigrazione e transito.

Al 1° gennaio 2014 la popolazione straniera in Italia è stimata da Ismu in oltre 5 milioni e mezzo di stranieri (regolari e non), con un aumento di oltre mezzo milione di unità rispetto all’anno precedente in cui si contavano 4 milioni 900mila presenti. Un incremento che a prima vista può sembrare consistente, ma che in parte è dovuto anche a rettifiche successive al dato censuario che hanno comportato il recupero in anagrafe di precedenti cancellazioni. Tenendo conto del fatto che i nuovi nati sono 78mila e gli sbarcati 43mila, l’incremento effettivo sembra dovuto soprattutto più agli ingressi per ricongiungimento familiare, che a quelli per motivi di lavoro. Secondo i dati più recenti le famiglie che hanno esclusivamente componenti stranieri sono oltre 1 milione e 300mila. Oggi la componente irregolare è ai minimi storici (6% del totale, pari a circa 300mila unità), sia per effetto delle più recenti sanatorie, sia per la minor forza attrattiva del mercato del lavoro nel nostro paese.

Nel corso di questi vent’anni si riscontra una crescita dei nuclei familiari passati da 235mila del 1991 ai quasi 2 milioni di oggi. Di conseguenza sono aumentati anche i minori: se all’inizio degli anni Novanta, questi erano poco più di 100mila, nel 2013 sfiorano quota 1 milione (995mila), la maggior parte dei quali nati in Italia.  Da questi dati quindi si evince che mentre in passato l’immigrazione era spesso fondata su un progetto a breve termine, negli ultimi 20 anni essa è diventata stanziale. Oggi infatti la principale ragione di ingresso nel nostro Paese avviene per ricongiungimento familiare e non per lavoro: tra il 1993 e il 2013 si registra una crescita di permessi di soggiorno per motivi di famiglia pari al 1.328%, mentre per quelli di lavoro l’incremento è stato “solo” del 488%.  Nel corso degli ultimi vent’anni è cambiata anche la scacchiera delle provenienze: se infatti fino ai primi anni Novanta si rileva la prevalenza dei marocchini e nel 2003 quella degli albanesi, nel 2007 la nazionalità più numerosa è quella rumena.

Negli ultimi due decenni, inoltre, la crescita dell’immigrazione ha trasformato il mercato del lavoro italiano rendendolo irreversibilmente multietnico.  Gli archivi Inps registravano nel 1991 (primo anno disponibile) soltanto 209.220 lavoratori stranieri regolari, passati a 263.257 nel 1994 (anno di pubblicazione del Primo Rapporto Ismu), per poi arrivare a 878.993 all’inizio del millennio.  Poi a partire dal 2005 l’Istat ha istituito la nuova indagine permanente sulle forze lavoro straniere, strumento che permette di monitorare in modo più attendibile la crescita e la trasformazione del fenomeno migratorio nel nostro Paese.  Tra il 2005 e il 2013 gli occupati stranieri passano da 1.169.000 a 2.356.000, registrando una crescita di 1.187.000 unità (+201%), mentre quelli italiani diminuiscono di ben 1.329.000, passando da 21.393.000 a 20.064.000.  La disoccupazione assume una configurazione sempre più multietnica, considerato che, in quest’arco di tempo, il numero di immigrati alla ricerca di un impiego quasi si quadruplica, fino ad arrivare a coprire oltre un sesto del totale dei disoccupati (mentre ne rappresentava solo un quattordicesimo all’inizio del periodo considerato).  A colpire è soprattutto il fatto che, anche negli anni più bui di questa recessione, gli occupati stranieri hanno continuato a crescere, dando corpo a quello strano binomio di un’immigrazione che cresce nonostante la stagnazione. Anche considerando i dati relativi all’ultimo anno, si nota che nel 2013, rispetto al 2012, gli occupati stranieri crescono, anche se di poco (+22.000), mentre quelli italiani diminuiscono di 501.000 unità, arrivando a quota 20.064.000.  Per Eurostat 2013, ben il 29% degli stranieri è impiegato in un’occupazione elementare (rispetto al 7% degli italiani), il 52,9% lavora come operaio specializzato in agricoltura, pesca, lavori artigianali, o come conduttore di impianti e macchinari. Il 13% svolge mansioni impiegatizie o di addetto alle vendite, e solo il 5% occupa una posizione “apicale”, svolgendo una professione manageriale o tecnica (categoria che invece copre il 35,9% degli occupati italiani). Neppure 1 su 10, tra gli stranieri diplomati o laureati, svolge un lavoro qualificato. Più di 4 stranieri su 10 risultano sovraistruiti, ovvero impiegati in mansioni che richiedono competenze inferiori rispetto al titolo di studio conseguito, una percentuale che tra le donne sfiora addirittura il 50%. Con l’intento di combattere l’immigrazione irregolare, nel 1990 fu introdotta la programmazione dei flussi che però venne di fatto attuata solo tra il 1995 e il 1998 prevedendo un numero di ingressi tra 20mila e 25mila. Quote modeste sia rispetto al numero dei candidati all’ingresso, sia alla richiesta del mercato  del lavoro. In questo scarto hanno trovato origine le periodiche regolarizzazioni di massa, che col tempo si sono imposte come il canale “normale” di ingresso.  Negli anni si è tentato di rendere questo meccanismo più funzionale alla lotta all’immigrazione irregolare (prevedendo “quote privilegiate” per i Paesi sottoscrittori di accordi, o quote più coerenti coi reali fabbisogni, ad esempio per infermieri professionali, o con ingressi stagionali, o attribuendo privilegi ai discendenti di emigranti italiani, o cercando di attrarre migranti qualificati o aspiranti imprenditori).  Nessuna strategia è risultata efficace. Si può perciò sostenere il sostanziale fallimento della programmazione dei flussi. Questo regime infatti si è ridotto a un equivalente delle regolarizzazioni, servendo a sanare situazioni di chi già viveva e lavorava in Italia. E anche la recente riduzione del numero di irregolari non è dovuta a un reale incremento delle programmazioni, ma al semplice calo degli ingressi, dovuto alla crisi, che ha reso il nostro Paese meno interessante per gli immigrati in cerca di lavoro.

I rapporti ministeriali sugli alunni con cittadinanza non italiana, pubblicati periodicamente negli ultimi venti anni, documentano che la presenza straniera nella scuola italiana è cresciuta rapidamente e in modo esponenziale soprattutto nell’ultimo decennio. Basti pensare che se nell’a.s. 1992/93 erano poco più di 30mila, lo 0,3% del totale, nell’anno scolastico 2013/14 sono 802.785, ovvero il 9% della popolazione scolastica complessiva, 16.155 in più rispetto all’a.s precedente (secondo i dati resi disponibili dal MIUR il 27/10/2014) in cui erano 786.630. In pochi anni l’Italia è arrivata ai livelli di presenze dei paesi con più antiche tradizioni di immigrazione: senza il contributo degli stranieri, il numero degli iscritti nelle scuole italiane avrebbe subito un ridimensionamento nel corso degli ultimi due decenni. Dal 2008/09 a oggi, tuttavia, c’è stato un rallentamento nella crescita e ciò evidenzia il passaggio dell’Italia a una fase di maggiore stabilizzazione dei flussi migratori nella scuola. Questo fa presupporre che la popolazione scolastica potrebbe ridursi significativamente nel prossimo futuro.

Nel 2013, nei 38 paesi dell’Europa, sono state presentate 484.600 domande di asilo, il 32% in più rispetto al 2012.  In particolare l’Europa meridionale ha registrato un incremento dal 2012 al 2013 del 49%, arrivando a 89.600 domande, che rappresentano però solo il 18,5% del totale delle richieste presentate in Europa.  L’Italia, con 28.700 domande di asilo presentate nel 2013, ha segnato un incremento notevole rispetto al 2012 (oltre +10.480) ma è rimasta in una posizione di secondo piano nel panorama europeo dell’accoglienza.  Insoddisfacenti sono gli attuali dispositivi dell’accoglienza. Una volta tratti in salvo e distribuiti sul territorio, in misura preponderante nelle regioni del Sud, i rifugiati sono molto spesso abbandonati a se stessi anche quando vengono riconosciuti come meritevoli di protezione. Il recente aumento dei fondi e dei posti disponibili nei progetti SPRAR (il Sistema di Protezione e Accoglienza dei Rifugiati), portati a 20.000, indica una presa di coscienza del problema e fa sperare in una svolta.

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