PRESIDE VIETA SIMBOLI RELIGIOSI: BOCCIATO

24 Feb 2015

 

Impone con una circolare il bando per tutti i simboli di appartenenza religiosa nell’Istituto Statale di Istruzione Superiore della Bassa Friulana, in provincia di Udine, ma il Garante regionale contro le discriminazioni della regione Friuli Venezia Giulia e l’Ufficio regionale del MIUR costringono il dirigente scolastico a revocarlo. La circolare aveva per oggetto “Musulmani all’ISIS della Bassa Friuliana” e giustificava la messa al bando dei simboli religiosi, facendo però riferimento esplicito solo al “velo islamico”, con l’accentuarsi di casi di bullismo e di aggressioni e insulti a sfondo razziale e religioso a danno di allievi di origine e appartenenza araba dopo i noti eventi terroristici avvenuti a Parigi e l’accentuarsi della tensione in Medio Oriente.

Per il dirigente scolastico il divieto “all’ostentazione ed esibizione, specialmente se imposta, dei segni esteriori della propria confessione religiosa” da parte degli studenti, in particolare il “velo islamico”, avrebbe una triplice motivazione: il principio di laicità della scuola italiana; una “forma elementare di educazione” che vieta di indossare copricapi nell’ambito dell’attività didattica; perché indossare il velo islamico “può essere colto come una provocazione” e suscitare reazioni di ostracismo, disprezzo, rifiuto, ostilità.

Il Garante regionale dei diritti della persona ha dichiarato illegittima la circolare

1) perché l’art. 9 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), sottoscritta e ratificata dall’Italia, garantisce alla persona la libera manifestazione del proprio credo religioso, individualmente e collettivamente, in pubblico o in privato, anche mediante le pratiche religiose. “La libera manifestazione del proprio credo religioso mediante le pratiche religiose può incontrare l’unico limite nelle restrizioni che siano previste dalla legge e che siano necessarie in una società democratica, per ragioni di pubblica sicurezza, protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”;

2) perché la CEDU ha più volte sancito che l’utilizzo di indumenti religiosamente connotati, tra cui l’uso del velo islamico o di copricapo quali il turbante da parte dei Sikh o della kippah da parte degli Ebrei, o di simboli religiosi, quali l’uso di catenine attorno al collo con appeso il crocifisso, rientrano tra le manifestazioni del credo religioso “protette” dall’art. 9 della CEDU. Ne consegue che possono trovare restrizioni all’uso pubblico di indumenti o simboli religiosamente connotati solo se, in primo luogo, tali restrizioni sono stabilite dalla legge e se, ulteriormente, perseguono finalità legittime con mezzi appropriati e necessari (principi di proporzionalità e necessità).

Al contrario di quanto avviene in altri Paesi (ad es. la Francia), sottolinea il Garante, nell’ordinamento italiano non esiste alcuna norma di legge che vieti l’uso in pubblico, ed in specie nell’ambito degli istituti di educazione, del hijab: al contrario, due circolari del Ministero dell’Interno, n. 4/95 del 14 marzo 1995 e quella del 24 luglio 2000, ammettono espressamente la piena legittimità del suo utilizzo, anche nella sfera pubblica, come espressione del libero esercizio del diritto fondamentale alla libertà religiosa.

Nell’ordinamento scolastico esiste un’unica norma che può, a determinate condizioni, avere riflessi di natura restrittiva sull’uso pubblico da parte di donne o ragazze di fede musulmana all’utilizzo di veli islamici che coprano, parzialmente o integralmente, il volto. quali il niqab e il burqa. Si tratta dell’art. 85 del R.d. 18 giugno 1931 n. 773 che vieta di comparire mascherati in luogo pubblico, mentre l’art. 5 della Legge 22 maggio 1975 n. 152 proibisce l’uso di caschi protettivi o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo. La giurisprudenza amministrativa, però, riconosce che l’esercizio della libertà religiosa, quale diritto costituzionale, può costituire un giustificato motivo per l’uso di indumenti che coprano il volto della persona e la limitazione di tale diritto per motivi di ordine pubblico deve rispondere a criteri di proporzionalità e necessità, in relazione a specifici luoghi ed istanze ove sia riscontrabile una ragionevole e legittima giustificazione (Consiglio di Stato, decisione n. 3076 del 19 luglio 2008).

In precedenza era intervenuto anche l’Ufficio regionale scolastico del MIUR con una nota con la quale ricorda che certe “restrizioni possono essere unicamente quelle previste dalla legge”.

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