RAPPORTO ACTIONAID "L'ITALIA NON E' PIU' LA TERRA PROMESSA DEI MIGRANTI"

12 Mar 2013

 a cura di Arturo Ghinelli

LE 5 P DELL’INTEGRAZIONE SUBALTERNA

Precario, poco pagato, pesante, pericoloso e penalizzato socialmente. Così ActionAid descrive l’attuale condizione lavorativa dei migranti in Italia nel rapporto “l’Italia non è più la terra promessa dei migranti”. I lavoratori immigrati si inseriscono prevalentemente nella fascia di mercato cosiddetto “secondario”, di minore qualità, in cui i lavoratori sono privi di diritti e tutele sindacali, hanno livelli retributivi bassi, scarse opportunità di progressione professionale e sono ad alto rischio di disoccupazione per la precarietà degli impieghi. Riescono a trovare più facilmente occupazione nei settori e nei profili lavorativi non coperti dalla manodopera locale, soprattutto nelle aziende di piccole dimensioni e in posizioni professionali low skilled. Il 25% della forza lavoro è impiegata come personale non qualificato, contro il 7% degli italiani. Sono i cosiddetti lavori delle “cinque P”: precari, poco pagati, pesanti, pericolosi, penalizzati socialmente, che sintetizzano come l’inserimento lavorativo dei migranti avvenga all’insegna di un’integrazione subalterna.

La tendenza ad impiegare gli stranieri in posizioni di livello medio-basso si ripercuote anche sui livelli salariali; un lavoratore straniero percepisce 300 euro in meno rispetto a un lavoratore , lo stipendio netto mensile è mediamente di 973 euro per il primo contro i 1.286 del secondo (il divario è del 24%). Tra le donne la differenza è ancora più alta (788 lavoratrici straniere e 1.131 lavoratrici italiane, il divario è del 30%).

Vi sono differenze anche tra le singole nazionalità, albanesi e marocchini, impiegati soprattutto nell’industria e nell’edilizia, registrano salari superiori alla media; ucraini e filippini, per lo più donne impiegate nei servizi domestici, presentano lo svantaggio retributivo maggiore. L ’impiego “sbilanciato” sulle occupazioni a minor contenuto professionale non è spiegato dal di istruzione dei migranti, perché il divario tra i titoli di studio degli italiani e degli stranieri non è così ampio. Circa il 40% degli stranieri che hanno una laurea svolgono un lavoro non qualificato o un’attività comunque manuale, l’incidenza cresce fino ad oltre il 60% per gli occupati in possesso di un diploma (è del 20% tra gli italiani) .La dequalificazione professionale inizia con il difficile riconoscimento dei titoli di studio. Spesso le storie degli immigrati sono quelle di insegnanti, impiegati, ingegneri che si sono dovuti accontentare di lavorare come operai. Se si mette in relazione il titolo di studio con il tipo di inquadramento (rilevazioni sulle forze lavoro) il risultato è che milioni di lavoratori (il 17% del totale) svolgono un lavoro non adeguato rispetto al livello di istruzione; tra gli stranieri questa percentuale raggiunge il 37%. La mancata corrispondenza tra istruzione e professione è più alta tra le donne immigrate (46%) .

A fronte di una sfavorevole dimensione qualitativa, la dimensione quantitativa si presenta in termini più positivi. Infatti si nota come il tasso di occupazione degli stranieri sia sempre stato sostenuto e il tasso di disoccupazione ridotto.

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NON PIÙ TERRA PROMESSA DEI MIGRANTI”

L’Italidal 2011 non è più un paese di immigrazione ma è tornata ad essere terra di emigrazione, dice il rapporto “l’Italia non è più la terra promessa dei migranti”. La crisi economica ha avuto degli effetti anche sul numero di ingressi di persone straniere in Italia. Secondo i dati della fondazione ISMU, alla data del 1 gennaio 2012 registra una crescita della popolazione straniera in Italia pari a 27.000 unità, crescita inferiore rispetto a quella dell’anno precedente che aveva registrato 69.000 unità in più. I dati sulle assunzioni e cessazioni indicano una perdita di 43mila posti di lavoro, pari al 9,5%dei posti di lavoro complessivamente venuti meno alla fine dell’anno (-461.845).

Il tasso di occupazione immigrati è ulteriormente sceso rispetto allo scorso anno e diminuzione si è protratta ad un ritmo più sostenuto in ,confronto a quello degli italiani (dal 63,1% al 62,3% tra i primi, mentre è sostanzialmente stabile tra i secondi dove passa da 56,3% a 56,4%). Il divario è ben più ampio se si confronta il tasso di occupazione dall’inizio della crisi ad oggi (perdita di 4,4 punti percentuali tra i lavoratori stranieri e di 2 punti tra gli italiani). Alla discesa del tasso dioccupazione si è associato un incremento del tasso di disoccupazione che solo in un anno dal2010 al 2011 è salito dall’11,6% al 12,1%, aumentando il divario con i lavoratori italiani (per loro il tasso di disoccupazione è rimasto stabile passando da 8,1% a 8,0%).

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ECONOMIA SOMMERSA

L’economia sommersa e il lavoro irregolare non sono un effetto dell’immigrazione, che ha radici ben più profonde, tuttavia gli immigrati costituiscono un serbatoio di manodopera peril lavoro “nero” (ad esempio per l’impossibilità di stipulare un contratto se privi di un regolare titolo di soggiorno, per debolezza nel mercato occupazionale, ecc). Il nodo cruciale risiede nella funzionalità dell’economia sommersa nel sistema economico italiano. Lo dice il rapporto “l’Italia non è più la terra promessa dei migranti”.

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ATTORI DI SVILUPPO ECONOMICO

Secondo il rapporto “l’Italia non è più la terra promessa dei migranti”, la discussione pubblica stenta a riconoscere gli immigrati come attori veri e propri di sviluppo economico, mentre se ne parla più frequentemente in termini di integrazione o in termini di sicurezza. Però i lavoratori stranieri regolarmente residenti in Italia contribuiscono per il 12% alla creazione del Pil attraverso il lavoro dipendente e autonomo, un valore che si aggira attorno ai 167 miliardi di euro, a fronte di una presenza della popolazione straniera che è il 7,5% della popolazione residente (4,5 milioni di persone) e il 9,0% degli occupati totali (2 milioni di persone).

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LE RIMESSE

Per il rapporto “l’Italia non è più la terra promessa dei migranti”, le rimesse finanziarie dei migranti verso i Paesi in via di sviluppo costituiscono una fonte importante e flessibile di finanziamento anche durante la crisi globale in corso: le rimesse superano spesso l’Aiuto Pubblico allo Sviluppo.

I dati della Banca d’Italia mostrano che le rimesse inviate dai cittadini stranieri residenti in Italia sono in continua crescita: 7,4 miliardi di euro il volume complessivo delle rimesse in uscita dal nostro Paese nel 2011, con un incremento del 12,5% rispetto al 2010 e superiori al 2009. Tale dato si deve principalmente non al miglioramento salariale o occupazionale degli immigrati, quanto piuttosto al miglioramento delle condizioni dei costi di invio delle rimesse

Inviano rimesse 8 immigrati su 10. In generale tutte le categorie di migranti inviano soldi ai familiari in patria, ma ovviamente le rimesse non vengono effettuate tanto dagli

ultimi arrivati quanto da coloro che risiedono da più tempo.

Ogni straniero invia mediamente al Paese di origine una somma pari a 1.508 euro all’anno (dati relativi al 2010).

Quasi la metà delle rimesse (47,4%) sono destinate all’Asia (con più di 3 miliardi di euro); un quarto (27,4%) sono destinate ai Paesi europei (che ricevono quasi 1,7 miliardi di euro). Seguono Africa (12,5%) e le Americhe (11,6%). Anche in termini di trasferimenti monetari procapite emergono delle differenze significative: gli asiatici inviano in media 4.402 euro a testa all’anno, gli americani 2.155 euro, gli africani 857, e gli europei 772. A livello di singole nazionalità,gli immigrati che inviano più soldi sono i cinesi, con un ammontare complessivo di 1,7 miliardi di euro e una quota pro-capite che raggiunge i 9mila euro. Secondo alcune stime, un cinese in Italia mantiene tre cinesi in patria.

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LA CITTADINANZA

Secondo il rapporto “l’Italia non è più la terra promessa dei migranti”, la condizione degli immigrati richiede interventi incisivi. Nei Paesi Ue per ogni 100 stranieri si registrano in media 2,4 acquisizioni di cittadinanza; in Italia questo valore scende a 1,5. Nel nostro Paese prevale il principio dello ius sanguinis, ereditato dalla legislazione civile dell’Italia pre-unitaria, stabilito all’art.4 del codice civile del 1865 e, successivamente, nella prima legge sulla cittadinanza del 1912, riconfermato nella legge del 1992 che lo sottopone a condizioni più rigorose, quali la residenza legale e ininterrotta sino al raggiungimento della maggiore età.

Nell’ultimo decennio l’acquisizione della cittadinanza è avvenuta soprattutto per matrimonio, palesando le difficoltà di ottenere la cittadinanza per naturalizzazione (anche se le restrizioni normative introdotte nel 2008 hanno ridimensionato l’incidenza delle cittadinanze per matrimonio).

Al 1 gennaio 2011, sono 993.238 i minori che risiedono in Italia, pari al 21, 7% della popolazione straniera. Oltre il 65% dei minori è nato in Italia, ma questa percentuale raggiunge punte più elevate nei gradi inferiori della scuola.

Considerando che da oltre trent’anni l’Italia si è trasformato da Paese di emigrazione in uno di immigrazione, e che sono sempre più rilevanti i flussi in entrata, per Actionaid appare superata una concezione della cittadinanza che non considera il territorio come luogo di convivenza e appartenenza. I giovani di seconda generazione, nati e cresciuti in Italia, parlano italiano, talvolta non conoscono il Paese dei loro genitori, si sono formati qui e qui vedono il loro futuro, si sentono italiani ma non lo sono sul piano giuridico; per loro è evidente questa frattura tra norma e identità personale.

http://www.actionaid.it/it/media_center/comunicati/comDetail.html?Y=2013&category=&page=1&DETTAGLIO=ff8080813c38d111013cfd23e0e70108

http://www.actionaid.it/filemanager/cms_actionaid/images/XML_pdf/Eventi_pdf/Migrazione_2013.pdf

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