RAZZISMO E DEGRADO SOCIALE: I FATTI DI TOR SAPIENZA

28 Nov 2014

 

di Vincenzo Intermite

Gli episodi di rabbiosa protesta che, negli ultimi giorni, hanno interessato il quartiere di Roma est, Tor Sapienza, meritano un’attenta riflessione, non solo da parte della pubblica opinione e dei mezzi di informazione che già, in un modo o nell’altro e con modalità e asserzioni più o meno condivisibili, hanno fatto sentire e continuano a far sentire la propria voce, ma anche e soprattutto dagli esperti dei fenomeni e dei processi sociali, che possono far luce sulle reali dinamiche che hanno attivato tali proteste, e dal mondo politico, che avrebbe il compito di intervenire nella vicenda in modo fattivo e prendere misure risolutive che possano, nel riconoscimento dei diritti di ognuno, riportare la pace sociale e ristabilire la civile convivenza tra i diversi gruppi in contrapposizione. Non sembra che allo stato attuale delle cose ciò sia avvenuto, dal momento che gli unici politici presenti a Tor Sapienza sembrano essere quelli particolarmente esperti a fomentare odio e a gettare benzina sul fuoco, come gli esponenti della Lega Nord e della destra post-fascista e neo-nazista. E neppure sembra ormai che una soluzione sia, in tempi brevi, attuabile, dal momento che, quanto sta accadendo a Tor Sapienza non è l’azione di qualche esaltato che da un momento all’altro ha perduto i lumi della ragione, ma il risultato di politiche sociali insensate e di una colpevole e sconsiderata disattenzione per l’assetto sociale ed economico del quartiere da parte di tutti i governi e le amministrazioni che si sono succedute nel tempo, fatto che ha determinato lo sconcertante degrado sociale dell’area in questione, nella quale si sono concentrate le più svariate problematiche sociali, dalla microcriminalità alla prostituzione, dallo spaccio di droga a fenomeni di miseria sociale e vagabondaggio: tutto ciò non poteva che creare senso di frustrazione, insicurezza, bisogno di rivalsa, rabbia.

Come sempre è accaduto in simili situazioni, la furia si è rivolta, o è stata più o meno volutamente sviata, verso le fasce più deboli e sfortunate, cioè gli immigrati per i quali al degrado sociale, alla disoccupazione e alla miseria, alla mancanza di un alloggio e di una vita decente, si aggiunge il disagio dello sradicamento per la doppia estraneità dal paese d’origine che hanno dovuto lasciare e da quello di arrivo nel quale sono stranieri. Così la “rivolta”, piuttosto che individuare i veri responsabili dello sfacelo in cui versa il quartiere e ad essi rivolgersi, hanno attribuito tutta la responsabilità della situazione venutasi a verificare alla presenza di centri di raccolta per immigrati presenti nella zona. Pressate dalle proteste e dalle manifestazioni di piazza, e dal verificarsi di veri e propri pogrom ai danni delle strutture adibite ad ospitare gli immigrati, le autorità comunali hanno deliberato di spostare altrove tali strutture, creando così un precedente inquietante: non ci sarà da meravigliarsi se da ora in poi in tutti i quartieri cittadini e in tutte le città si pretenderà che le comunità di stranieri presenti siano allocati altrove, un “altrove” eternamente mobile e mai definitivo: questa è l’anticamera della segregazione, dell’apartheid, della mortificazione e dell’umiliazione dell’immigrato, in una parola della razzizzazione dello straniero.

È per questo che appare assolutamente urgente che si intervenga sia sul piano dell’analisi scientifica del fenomeno che su quello delle soluzioni politiche, se si vuole porre fine al degrado sociale di quell’area e frenare, al contempo, il processo di involuzione antropologica della popolazione italiano che, pressata dalla crisi economica, si avvia a smettere gli abiti da “brava gente” come una volta si diceva, e a vestire quelli del razzismo più bieco.

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