RESPINTI, SPRECATI, IN FUGA… IL DIFFICILE RAPPORTO DELL'ITALIA CON I CERVELLI

11 Feb 2013

 

di Ciro Spagnulo e Mohcine El Arrag

Il Rapporto Italia 2013 dell’Eurispes focalizza la sua attenzione anche sul brain drain, la fuga dei cervelli, un fenomeno in crescita in un paese come l’Italia incapace di garantire opportunità professionali e condizioni di lavoro adeguate ai suoi giovani più formati e specializzati. Il Rapporto ricorda, tra le altre, un’indagine curata per il The National Bureau of Economic Research che sottolinea il deficit tra ricercatori in entrata, il 3%, e in uscita, il 16,2%, al contrario di quanto avviene in Germania, Regno Unito, Francia, Svizzera e Svezia, dove il saldo è positivo. Solo l’India, dice la stessa indagine, fa peggio dell’Italia con il 40% dei ricercatori che scelgono di lavorare all’estero e l’1% di quelli in ingresso. Eurispes ricorda anche che sono solo 16 gli stranieri che tra il 2007 e il 2013 hanno scelto l’Italia per utilizzare le borse di studio messe a disposizione dall’European Research Council (ERC), agenzia dell’Unione Europea, e 106 su 257 gli italiani che le hanno utilizzate in altri paesi.

C’è da aggiungere anche che i ricercatori italiani scelgono di andare via per proseguire la formazione o intraprendere un percorso professionale, ma, diversamente dai colleghi degli altri paesi, non prevedono di ritornare in Italia.

Il brain drain è in crescita, sottolinea Eurispes. Dal 2002 al 2011 è aumentato il numero dei laureati che ha lasciato l’Italia: dall’11,9% del 2002 sono passati al 37,9%. La Repubblica ne ha calcolato i costi incrociando i dati sulla spesa sostenuta dalla collettività per far arrivare un giovane al titolo di studio universitario (circa 124 mila euro) e quelli sui laureati che espatriano, più di 68mila dal 2002 al 2011. E’ di circa un miliardo di euro all’anno.

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Non solo l’Italia è incapace di garantire opportunità professionali e condizioni di lavoro adeguate ai suoi giovani più formati e specializzati, che perciò preferiscono andare all’estero, ma tra le grandi nazioni europee è anche il fanalino di coda nella capacità di attrarre studenti stranieri nelle sue università. Come ha riconosciuto anche il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Francesco Profumo, dipende innanzitutto da un meccanismo organizzativo che rende l’accesso alle nostre università un percorso ad ostacoli. Giunti in Italia, le difficoltà non diminuiscono, ma assumono altri nomi: requisiti di accesso e di permanenza piuttosto rigidi, difficoltà burocratiche e lungaggini nell’ottenimento e nel rinnovo del permesso di soggiorno, borse di studio e residenze universitarie insufficienti, corsi in lingua inglese pressoché inesistenti. Al termine degli studi, inoltre, non si può rimanere se non si ha la fortuna di avere un’occupazione che consenta la conversione del permesso da studio in lavoro. In questi anni, infatti, nessuno ha provveduto a colmare il vuoto legislativo che impedisce di ottenere un permesso per attesa occupazione. Accade, così, che debbono andare via molte intelligenze sulle quali l’Italia ha comunque investito .

Non è un caso, dunque, che gli stranieri iscritti nelle università italiane nel 2011/2012 sono solo il 3,8%, poco più di 65.000 su un totale di circa 1.728.000. Sono invece l’8,6% a livello comunitario, con punte del 10,7% in Germania e del 21,6% nel Regno Unito.

Del resto, quanto l’Italia tenga in conto competenze e intelligenza lo dicono il calo delle immatricolazioni all’ Università, 58 mila in meno dal 2003/2004, e il ritardo di un anno nell’adozione della carta blu.

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Ne parliamo spesso, ma ricordiamo, infine, che l’Italia rinuncia anche agli effetti potenzialmente benefici dell’immigrazione qualificata, che potrebbe contribuire alla ricchezza nazionale. Per evitare questo spreco di intelligenze bisognerebbe facilitare il riconoscimento di titoli e competenze.

BRAIN DRAIN. ALTRI PARERI

Non tutti gli studiosi e non tutte le ricerche condividono l’allarme per la fuga dei cervelli. La considerano inconsistente e, in ogni caso, non necessariamente negativa per il Paese. Al riguardo segnaliamo uno scritto di Massimo Livi Bacci apparso di recente su Neodemos: (“Fuga dei cervelli”: o non c’è o non si vede. Per ora. “) nel quale il demografo scrive, tra l’altro, che “le prove della “fuga” – ammesso che si possa definire senza equivoci il termine – sono abbastanza inconsistenti, un po’ perché i dati oggettivi sono rari e mal misurano il fenomeno, un po’ perché quelli esistenti non sembrano convalidarne l’esistenza.

http://www.eurispes.eu/sites/default/files/Sintesi_Rapporto_Italia_2013.pdf

 http://www.neodemos.it/index.php?file=onenews&form_id_notizia=667

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