SCHENGENLAND. L’IMMIGRAZIONE IN EUROPA FRA RETORICA SECURITARIA E MANCANZA DI UNA POLITICA COMUNE

28 Mag 2014

di Elisa Nobler

Lo scorso 12 maggio fra le coste della Libia e quelle di Lampedusa si è consumata l’ennesima strage di migranti alle porte dell’Europa. Un nuovo bilancio di morte ormai noto alle cronache, ma che non smette di gridare vendetta, per altre decine o centinaia di vite spezzate. Unica loro colpa quella di aver cercato di mettersi in salvo da abusi e persecuzioni, o anche semplicemente la voglia di costruirsi un futuro diverso e dignitoso. E puntualmente con gli sbarchi e le tragedie, ricomincia anche il balletto della politica dello scaricarsi le responsabilità l’un l’altro, del gridare all’ennesima “emergenza” e alla necessità di “affrontare questo problema collettivamente a livello europeo”, del lamentarsi per la solitudine in cui l’Italia viene lasciata a gestire “l’ondata di sbarchi” sulle proprie coste.

Viene da chiedersi: ma l’arrivo dei “barconi” sulle nostre isole è un fenomeno nuovo? Non era prevedibile che, con i primi caldi e con le tensioni politiche e sociali crescenti nei paesi della sponda Sud del Mediterraneo, le persone avrebbero ricominciato a fuggire verso l’Europa? E oltre a chiedere “soccorso” alle istituzioni europee nel momento del bisogno, abbiamo poi contribuito a trovare delle soluzioni comuni? Oppure abbiamo favorito un modello di politica migratoria restrittiva e penalizzante nei confronti dei migranti che non fa che alimentare l’irregolarità? Per provare a rispondere a queste domande occorre ripercorrere brevemente alcune tappe fondamentali dell’evoluzione delle politiche migratorie europee, sia dal punto di vista normativo che da quello del discorso politico che vi si è costruito attorno.

La dottrina dell’immigrazione zero che oggi sperimentiamo ha un’origine piuttosto lontana che risale alla crisi petrolifera del 1973-74, che segnò la fine degli anni d’oro dello sviluppo economico europeo e l’inizio di un periodo di ristrutturazione economica globale. Poiché la delocalizzazione delle imprese nei paesi meno sviluppati era diventata più vantaggiosa, l’Europa occidentale si convinse che non avrebbe avuto bisogno di ulteriori lavoratori non qualificati e che era necessario porre fine al modello guestworker di reclutamento di lavoratori stranieri (comunitari ed extra-comunitari) praticato fino a quel momento e restringere il più possibile i propri canali d’ingresso legale. Questa scelta fu frutto sia di una sottovalutazione del fabbisogno di manodopera europea, sia della precisa scelta politica di tranquillizzare un’opinione pubblica sempre più ostile verso l’immigrazione. Il manifestarsi degli effetti della crisi infatti aveva determinato un aumento della concorrenza fra lavoratori “autoctoni” e stranieri per l’accesso a risorse divenute più scarse, come il lavoro e il welfare. Infatti, la fine delle politiche di reclutamento attivo aveva prodotto l’effetto opposto e indesiderato di incentivare l’insediamento permanente dei migranti presenti sui territori nazionali e le richieste di ricongiungimento famigliare, interrompendo così i modelli di migrazione circolare e stagionale. Per contro i governi degli stati membri della CEE non erano preparati a rispondere alle trasformazioni della società con adeguate politiche di integrazione. A queste tensioni si aggiunsero nel corso degli anni ’70 e ’80, nuovi flussi migratori provenienti dai paesi in via di sviluppo dell’Africa, Asia e America Latina, dove la crisi globale aveva avuto effetti economici e politici ancora più devastanti: l’aumento delle disuguaglianze fra Nord e Sud del mondo e lo scoppio di nuovi conflitti produsse nuove pressioni migratorie caratterizzati da un numero crescente di rifugiati politici e richiedenti asilo.

Furono questi aspetti, ma soprattutto i mutamenti geopolitici causati dal crollo del Muro di Berlino e del blocco sovietico e la paura dell’arrivo nei paesi della CEE di flussi incontrollati dall’Europa orientale, a determinare un primo cambio di atteggiamento nella gestione delle politiche migratorie in Europa. Fino a quel momento, il governo dell’immigrazione era stato materia di competenza esclusiva degli stati membri, ma dal 1989, nell’ambito del più ampio processo di integrazione europea, anche le questioni dell’immigrazione cominciarono ad essere oggetto di politiche sovranazionali. Nel 1993 il Trattato di Maastricht, istitutivo dell’Unione Europea, incluse la politica dei visti nel nucleo di competenza comunitaria, mentre nel 1997 furono inserite anche le materie dell’asilo, della circolazione delle persone e dell’integrazione dei migranti con il Trattato di Amsterdam. Tuttavia, il processo di costruzione di una politica europea comune sull’immigrazione è stato ed è tuttora molto lento e difficile, principalmente a causa delle resistenze degli stati membri a concedere parte della propria sovranità in materia di gestione dei flussi migratori e di attribuzione della cittadinanza.

Tra la fine degli anni ‘90 e l’inizio degli anni duemila sembrò farsi strada un sentimento di maggiore apertura verso le questioni migratorie: il vertice di Tampere sembrò incarnare questo spirito di cambiamento e di maggiore collaborazione fra Stati membri per la definizione di una politica comune sull’immigrazione e l’asilo entro i successivi cinque anni. Purtroppo però questa tendenza subì una netta battuta d’arresto a causa degli attentati terroristici a New York (2001), Madrid (2004) e Londra (2005). In ragione dell’urgenza di contrastare il terrorismo, le priorità stabilite a Tampere vennero riviste a favore della lotta alla migrazione irregolare e del controllo delle frontiere esterne, stabilendo da quel momento in poi una stretta associazione fra terrorismo, sicurezza e migrazioni. Tuttavia, numerosi studiosi (Martiniello, Castles, De Haas ecc.) sostengono che questa tendenza a considerare la mobilità umana solo come un problema di sicurezza, accompagnata da una crescente politicizzazione e “mediatizzazione” della migrazione, non è solo il frutto dei drammatici eventi dei primi anni duemila. Al contrario, questo atteggiamento ha caratterizzato il processo stesso di europeizzazione delle politiche sull’immigrazione: nel diventare “più Europee” le politiche migratorie sono diventate più securitarie, sposando così l’approccio restrittivo di molti Stati membri. Rita Sanlorenzo*, definisce il nucleo essenziale della normativa europea sull’immigrazione “modello Schengenland, basato cioè sugli accordi di Schengen

(1985), che avevano l’obiettivo di abolire le frontiere interne fra gli Stati membri spostando i controlli ai confini esterni. Confini che vanno spesso oltre il mediterraneo o le frontiere dei paesi dell’Europa orientale, poiché uno degli elementi chiave di questa politica è la conclusione di accordi di cooperazione con i paesi di provenienza o di transito dei migranti. Accordi che non puntano a rimuovere le cause alla base delle migrazioni, ma a stabilire condizioni di riammissione (rimpatrio) degli immigrati “irregolari” e di riduzione delle partenze, limitando la libertà di spostamento e di richiesta di asilo, con metodi altamente lesivi dei diritti umani (trattenimento per lunghi periodi in centri di detenzione dentro e fuori dall’UE, deportazione fuori dai paesi di partenza…), come ci insegna la vergognosa vicenda degli accordi Italia-Libia.

Tutto questo apparato di controllo e coercizione, è però solo parzialmente efficace e i dati dimostrano che in realtà tende ad incrementare la migrazione irregolare, soprattutto perché non agisce sulle cause principali degli spostamenti, ovvero la domanda di lavoro ancora presente nell’UE e le tensioni e i conflitti nel resto del mondo, specialmente nei paesi ai confini con l’Europa. E sorge il dubbio che, in fondo l’immigrazione irregolare di lavoratori scarsamente qualificati non sia così indesiderata come si proclama ufficialmente. Prova ne siano le numerose regolarizzazioni compiute anche dai governi più rigidi, per riconoscere un’immigrazione di fatto, rimasta nell’ombra per anni. I lavoratori stranieri sono “richiesti ma non benvenuti” (Zolberg) e quindi per evitare i costi economici e politici del loro riconoscimento li si include nella società in una posizione subordinata rispetto ai cittadini europei (Mezzadra) continuando ad utilizzare una retorica anti-immigrazione di facciata. Mentre in campagna elettorale si fa la faccia dura criminalizzando l’”extra-comunitario”, il mercato del lavoro può continuare a beneficiare di lavoratori a basso costo e senza diritti, facendo nel contempo anche concorrenza sleale al lavoratore locale e abbassando così il livello dei diritti e delle possibilità di rivendicazione di tutti. Se qualche rappresentante politico avesse il coraggio di spiegare queste cose agli elettori europei, si smonterebbero facilmente gli argomenti dei movimenti nazionalisti e razzisti in così forte espansione. Ma preferiamo continuare a parlare di “clandestini“. In Italia, ci siamo persino inventati un reato (appunto di clandestinità) legato al solo fatto di esercitare il proprio diritto di spostarsi. Ma in un paese in cui è clandestino il 12% del lavoro (sommerso), sono clandestini 90 milioni di tasse (evasione fiscale) ed è clandestino anche lo Stato se Mafia SPA può produrre un fatturato di 150 miliardi di euro**, va da sé che per affrontare la questione dell’immigrazione irregolare o del traffico di esseri umani, si dovrebbe agire a 360° su tutte queste altre forme di irregolarità, che sono poi indissolubilmente legate le une alle altre. Ma questo è molto più complicato e implica la volontà politica di cambiare le cose… volontà che non sembra essere di casa in Italia né in Europa.

image_print

Articoli correlati

12 Mag 2025 cooperativa gulliver

OPERATRICI SOCIO-SANITARIE, PEGGIORANO LE CONDIZIONI DI SALUTE E DELLA SICUREZZA SUL LAVORO. A RISCHIO ANCHE LE LORO RETRIBUZIONI

E’ preoccupante la situazione di salute e sicurezza delle lavoratrici del settore della cura (operatrici socio sanitarie-OSS, assistenti di base-ADB, […]

12 Mag 2025 comitato referendum

REFERENDUM 8-9 GIUGNO, A VIGNOLA SABATO 17 MAGGIO BICICLETTATA ITINERANTE PER INFORMARE I CITTADINI

Flash mob intinerante in bici sabato 17 maggio a Vignola. L’iniziativa è promossa dal Comitato cittadino per i referendum per […]

12 Mag 2025 cgil mirandola

REFERENDUM 8-9 GIUGNO LAVORO E CITTADINANZA, SE NE PARLA IN UN INCONTRO PUBBLICO A MIRANDOLA IL 19 MAGGIO

Incontro lunedì prossimo 19 maggio a Mirandola promosso dal Comitato referendario su lavoro e cittadinanza.L’appuntamento è previsto alle ore 18 […]