28 Feb 2012
Prima la promessa di intervenire sulla sovrattassa per rimodularla, adesso quella di raddoppiare la durata dei permessi di soggiorno lasciandola invariata. In attesa che almeno quest’ultima venga mantenuta, la CGIL e il suo patronato, l’INCA, intanto depositano al TAR un ricorso per contestare la legittimità del contributo. Scrivono Vera Lamonica, segreteria confederale della CGIL e Morena Piccinini, presidente dell’INCA, che “Il tributo chiesto agli immigrati incide sulle persone più deboli ignorandone di fatto la scarsa capacità contributiva, penalizza maggiormente con la sua gradualità di applicazione i lavoratori stagionali, le somme raccolte solo in minima parte vanno ad alimentare il miglioramento dei processi amministrativi a vantaggio del fondo rimpatri e delle misure di pubblica sicurezza. I costi delle politiche di contrasto alla immigrazione irregolare vengono così addebitati a chi si impegna e si sforza per rimanere nella regolarità e si è avviato al processo di integrazione”. Per questi motivi, “è stato depositato presso il Tar del Lazio il ricorso per chiedere l’annullamento del decreto che istituisce il contributo aggiuntivo per i permessi di soggiorno. Promosso da CGIL e dal Patronato INCA, il ricorso si fonda su motivazioni che ne mettono in risalto l’ingiustizia e la illegittimità costituzionale. Il ricorso chiede la sospensione del provvedimento fino al giudizio del Tribunale Amministrativo”. L’eventuale sentenza di annullamento, dicono Lamonica e Piccinini, avrà effetto sulla totalità dei soggetti interessati dalla norma e non, come quando si ricorre per i singoli, sui soli ricorrenti”. Per il ricorso, CGIL e INCA si sono affidati agli avvocati Vittorio Angiolini, Luca Santini e Marco Cuniberti, i quali così l’argomentano:
“Il contributo è stato fissato sulla base della durata dei permessi di soggiorno. E’ pertanto del tutto sganciato dalla capacità contributiva dei richiedenti, ed essendo di “indole tributaria”, viola il principio dell’art. 53 della Costituzione, che stabilisce che tutti debbono concorrere alla spesa pubblica in ragione della loro capacità contributiva.
Appare evidente che essendo il contributo imposto sulla base della richiesta di rilascio o di rinnovo del permesso di soggiorno, questo di per se non definisce alcun sintomo di ricchezza, né il contributo pagato per la destinazione che ha, offre alcun vantaggio futuro allo straniero che è costretto a versarlo.
Inoltre il contributo è un prelievo tributario particolarmente odioso, illegittimo e discriminatorio, in quanto colpisce esclusivamente gli stranieri regolarmente soggiornanti, imputando loro i costi di attività che sono a vantaggio dell’intera collettività.
Infatti il gettito derivante da questo contributo confluisce per il 50% nel “Fondo rimpatri” (come stabilito dall’art. 14-bis del Testo Unico). Ma questo Fondo non giova sicuramente allo straniero che chiede il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno, in quanto potrebbe restare in Italia a tempo indeterminato.
Inoltre in questo modo gli stranieri regolari contribuiscono in misura differente dagli altri cittadini alle spese di rimpatrio, spese sostenute non nell’interesse degli stranieri, ma dell’intera collettività e quindi a carico della fiscalità generale. I costi dell’immigrazione irregolare pertanto vengono addebitati in misura significativa proprio a coloro che si impegnano e si sforzano per rimanere nella regolarità.
Inoltre la convenzione OIL n. 143/75 ha stabilito che in caso di rimpatrio il lavoratore e la sua famiglia non devono sostenere i costi del rimpatrio. Se perciò non è consentito accollare questi costi agli stranieri irregolari appare ancora più irragionevole accollarli ad uno straniero regolare, il quale – oltretutto – è oggetto alla stipula del contratto di soggiorno, che prevede un impegno da parte del datore di lavoro a sostenere le spese di rientro nel paese di provenienza, secondo quanto stabilito dall’art. 5 bis del Testo Unico.
Ancora più irragionevole ed illegittimo è che i costi del contrasto all’immigrazione irregolare non sono addossati in forma di una tantum, ma sono dovuti ad ogni rinnovo del permesso di soggiorno. Pertanto più tempo permane lo straniero nel nostro Paese, più dovrà versare.
In merito all’ulteriore impiego del 50% del gettito, che l’art. 14-bis del Testo Unico destina a sostenere gli oneri connessi alle attività istruttorie per il rilascio e il rinnovo dei permessi di soggiorno, occorre evidenziare che il Decreto ha dettato previsioni in parte difformi, destinando il 70% di questa quota ad attività che nulla hanno a che fare con le attività per i rilasci e i permessi di soggiorno, e soltanto una parte assolutamente residua al fine stabilito, violando quanto stabilito dal Testo Unico.
Ma anche qualora il decreto avesse rispettato quanto stabilito dal Testo Unico, occorre evidenziare che gli stranieri già sostengono i costi relativi all’espletamento delle procedure, con l’importo di 30 euro, che viene incassato attraverso Poste Italiane.
Illegittimo pertanto appare la “duplicazione” del contributo, oltretutto variabile sulla base della durata del permesso di soggiorno (laddove le attività istruttorie sono uguali per tutti), quando il Testo Unico si era limitato a fissare una misura minima e massima.
La scelta di graduare l’ammontare in base alla durata è senz’altro irragionevole e discriminatoria in quanto colpisce maggiormente i lavoratori precari che versano in situazioni economiche più difficili. Questo perché lo straniero che si trova a dover rinnovare il permesso di soggiorno più volte nell’arco dell’anno, avendo per contratti di lavoro di tipo stagionale o interinale, pagherà cifre di gran lunga più elevate di colui che avrà un permesso annuale o biennale”.
http://www.cgil.it/tematiche/Documento.aspx?ARG=&TAB=0&ID=18491
http://www.inca.it/News/201202240738.htm