25 Feb 2014
RAPPORTO ITALIANI NEL MONDO. RECESSIONE: MENO IMMIGRATI, PIÙ EMIGRATI
Nei mesi scorsi è stato presentato l’ottavo Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrates, edito da Tau. Racconta da diverse angolazioni i migranti italiani di ieri e di oggi e lo fa tenendo costantemente presente che “dietro i numeri ci sono le storie, belle e meno felici, facili e difficili, di realizzazione o di perdita, di riuscita o con un triste epilogo”.
Quest’anno il Rapporto sottolinea le conseguenze che la grande recessione ha sulla mobilità delle persone verso e dal Paese. “Come non accadeva da più di un decennio”, scrive, “nel 2012 si è avuta una brusca frenata degli ingressi di migranti nel territorio tricolore. Dall’altra parte però si è assistito a un forte movimento interno anche degli stessi immigrati dalle regioni del Sud Italia verso il Centro-Nord e a una serie di importanti partenze verso l’estero di disoccupati, laureati, giovani e meno giovani e degli stessi immigrati e delle loro famiglie che sono ritornate nei luoghi di origine o hanno preferito spostarsi in Europa, in paesi cioè dove il momento di crisi ha avuto meno ripercussioni sul piano del lavoro”. Non manca, ovviamente, come sempre un’ampia sezione statistica, dalla quale estrapoliamo qualche dato.
Secondo l’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (Aire) del Ministero dell’Interno al 1 gennaio 2013 i cittadini italiani residenti fuori dei confini nazionali sono 4.341.156, il 7,3% dei circa 60 milioni di italiani residenti in Italia. L’aumento, in valore assoluto, rispetto all’anno precedente è di 132.179 iscrizioni, +3,1%.
La ripartizione continentale rimarca, ancora una volta, che la maggior parte degli italiani residenti fuori dall’Italia si trova in Europa (2.364.263, il 54,5% del totale); a seguire l’America (1.738.831, il 40,1% del totale) e, a larga distanza, l’Oceania (136.682, il 3,1%), l’Africa (56.583, l’1,3%) e l’Asia (44.797, l’1,0%).
Dai dati Aire dell’ultimo triennio emerge che l’aumento più vistoso riguarda la comunità italiana in Asia (+18,5%). Evidentemente “anche l’Italia, come il resto del mondo, ha volto lo sguardo alle mille opportunità offerte, oggi, dall’Oriente”.
Le comunità di cittadini italiani all’estero numericamente più incisive continuano ad essere quella argentina (691.481), quella tedesca (651.852), quella svizzera (558.545), la francese (373.145) e la brasiliana(316.699). Seguono il Belgio (254.741), gli Stati Uniti (223.429) e il Regno Unito (209.720).
Il 52,8% (quasi 2 milioni e 300 mila) degli italiani residenti all’estero all’inizio del 2013 è partito dal Meridione, il 32% (circa 1 milione 390 mila) dal Nord e il 15,0% dal Centro Italia (poco più di 662 mila).
La Sicilia, con 687.394 residenti, è la prima regione di origine degli italiani residenti fuori dall’Italia seguita dalla Campania, dal Lazio, dalla Calabria, dalla Lombardia, dalla Puglia e dal Veneto. Si assiste a un ritorno del protagonismo del Nord Italia come territori di partenza a discapito delle regioni del Sud dove probabilmente la crisi da fattore di spinta si è trasformata in causa di impedimento allo spostamento.
L’analisi delle presenze all’estero per origine provinciale evidenzia la preminenza delle regioni del Sud Italia. Ad esclusione di Roma, prima in graduatoria con più di 298 mila residenti, seguono soprattutto province siciliane e campane. In particolare, nella graduatoria delle prime 10 province si susseguono Cosenza (152.403), Agrigento (152.403), Salerno (119.095), Napoli (113.787), Catania (108.413), Palermo (107.658) e Avellino (102.230). In nona posizione si trova Milano (98.583) e, a chiudere, vi è Potenza (95.653).
Le principali caratteristiche socio-demografiche degli italiani residenti all’estero, secondo l’Aire sono, le seguenti:: il 48%, ovvero 2.083.726 in valore assoluto, sono donne; il 54% dei cittadini italiani all’estero è celibe; i vedovi sono il 2,6% e i divorziati il 2,0%; il 15,5% è minorenne, il 21,0% ha tra i 18 e i 34 anni, il 25,0% ha tra i 35 e i 49 anni, il 19,1% ha un’età compresa tra i 50 e i 64 anni e il 19,4% ha più di 65 anni; il 53,5% si è iscritto all’Aire perché effettivamente emigrato, il 38,8% lo ha fatto perché nato all’estero e il 3,2% per acquisizione di cittadinanza; il 10,7% è all’estero da almeno 3 anni; il 9,1% da almeno 5 anni; il 34,8% è residente fuori dall’Italia da minimo 5 e massimo 10 anni; il 37,5% (oltre 1,6 milioni) da più di 15 anni.
Nel 2011, secondo l’Istat, le cancellazioni di cittadini per l’estero sono state 50.057 (+10.512 rispetto al 2010), mentre le iscrizioni sono state 31.466 (+3.274 rispetto al 2010). Il numero degli espatri è il più alto registrato dal 2000. Chi si sposta verso l’estero è nel pieno dell’età lavorativa, ma va evidenziata la sua preparazione: il 22,0% è laureato, il 28,7% ha un diploma.
Dei 14.372 diplomati però, l’83,0% ha frequentato l’università o, almeno ha provato, salvo poi prendere la strada dell’espatrio. Detto in altri termini, in un clima di generale recessione economica considerando l’aumento vertiginoso dei tassi di disoccupazione in Italia e del disagio economico e sociale, molti giovani decidono di spostarsi all’estero prima ancora di aver finito l’università, una sorta di emigrazione del “semi-lavorato” dall’Italia che finisce con l’essere “effettivamente plasmato” fuori dai confini nazionali.
Di questi non è detto quanti finiranno il percorso di studi, così come non è dato sapere se si sono spostati con l’intento di lavorare o di frequentare un corso all’estero o, ancora, di specializzarsi fuori dai confini nazionali. Quanto affermato viene avvalorato considerando i primi tre territori dove si sono recati, nel 2011, sia i laureati (nell’ordine, Regno Unito, Svizzera e Germania) che i diplomati con almeno un accesso all’università (Svizzera, Regno Unito e Germania). Si tratta, infatti, delle principali realtà europee per quanto concerne la formazione e lo studio, ma anche per la professionalizzazione e la ricerca.
RAPPORTO ITALIANI NEL MONDO. PER LA CRISI E I TAGLI ALL’ISTRUZIONE SEMPRE PIÙ STUDENTI ITALIANI ALL’ESTERO. ERASMUS: UN’OPPORTUNITÀ NON PER TUTTI
Uno degli approfondimenti del rapporto Italiani nel mondo è dedicato alla mobilità internazionale degli studenti universitari e dei giovani laureati. Estrapoliamo qualche dato.
Secondo gli ultimi dati OCSE disponibili (2010) il numero di universitari italiani riprende a crescere, in particolare nel Regno Unito, che è di gran lunga la meta preferita dagli universitari italiani che intendono studiare all’estero, ed in Spagna. Considerevole è anche l’aumento in Germania, paese nel quale il numero di studenti italiani era stato costantemente in calo negli anni precedenti.
È difficile non connettere questa crescita delle iscrizioni all’estero degli universitari italiani con la situazione di crisi nella quale gli atenei del nostro Paese si sono venuti a trovare dopo il drastico taglio ai finanziamenti avvenuto nel 2008 e proseguito negli anni successivi, che ha in effetti innescato un significativo calo delle iscrizioni nelle università italiane negli ultimi anni.
Nell’ultimo anno accademico per il quale sono disponibili i dati (2010- 2011) sono stati ormai quasi 20.000 gli studenti italiani che hanno utilizzato il Programma comunitario Erasmus per la mobilità e la cooperazione tra le università in Europa, che riguarda tutti i tipi d’istruzione post-secondaria, tutte le discipline accademiche e tutti i livelli d’istruzione superiore fino al dottorato compreso, e prevede un periodo di formazione in un altro paese membro dell’UE, della durata di alcuni mesi ed integrato nel proprio percorso di studi universitari.
Le destinazioni preferite dagli studenti italiani in mobilità Erasmus sono state, nell’a.a. 2010-2011 la Spagna (7.547 studenti), la Francia (3.338), la Germania (2.199), il Regno Unito (1.849) ed il Portogallo (1.011).
Dall’a.a. 2007-2008, oltre alla mobilità per studio, il Programma Erasmus sostiene anche la possibilità per gli studenti universitari di usufruire di un tirocinio presso imprese o istituzioni pubbliche di un paese dell’Unione diverso dal proprio: questa opportunità è stata utilizzata dall’inizio del programma fino all’anno accademico 2010-11 da 6.603 studenti italiani che si sono recati all’estero. Inoltre, nell’a.a. 2010-2012, hanno partecipato a “Programmi intensivi”, di breve durata, 1.045 studenti italiani.
Anche se in crescita, la partecipazione italiana al Programma Erasmus resta comunque più bassa di quella che si ha in altre nazioni. La ragione della moderata partecipazione degli universitari italiani a questo progetto sta negli investimenti limitati che ad esso sono dedicati: infatti, nell’ultimo anno accademico disponibile, la copertura finanziaria si è ridotta a 199 euro al mese per la mobilità per studio ed a 493 euro per i tirocini. È evidente che borse di questa entità permettono di partecipare al programma solo agli studenti che appartengono a famiglie che possono permettersi di coprire quasi interamente la permanenza all’estero dei propri giovani.
Un analogo motivo probabilmente spiega anche la scarsa partecipazione al programma del personale docente: il rimborso medio per una missione di circa una settimana destinata all’organizzazione della collaborazione con l’università straniera partner è stata, nell’anno accademico 2010-11, solo di 746 euro. Non sorprende quindi che queste missioni siano state effettuate nello stesso anno, solo da 1616 docenti italiani, il 5,1% del totale dei docenti europei in mobilità Erasmus nell’anno accademico 2010/11.
UNA LEZIONE DIMENTICATA
Durante alcune presentazioni del volume “Le storie di unsolomondo” ci è stato chiesto come è possibile che con il nostro passato di emigrazione tanti italiani si mostrano intolleranti fino al razzismo nei confronti di chi oggi viene a cercare fortuna in Italia. “Non abbiamo imparato la lezione?”, è stata una delle domande. Abbiamo risposto che l’abbiamo imparata e che è stata così dura per i linciaggi, gli insulti e le restrizioni subiti che l’abbiamo addirittura messa in Costituzione.
L’8 maggio 1947 l’Assemblea Costituente accetta un emendamento del deputato Francesco Maria Dominedò che dice: “L’emigrazione è libera salvo gli obblighi stabiliti dalla legge per motivi di interesse generale”.
Dominedò lo spiega così: “Lo scopo del mio emendamento… era quello di far sì che fosse pienamente riconosciuta nella Costituzione la libertà di emigrazione, senza condizionarla all’eventualità di deroghe illimitate da parte della legge. …Con espresso riferimento all’interesse della generalità dei consociati, e cioè al bene comune, s’intende delimitare la potestà legislativa e porre in evidenza il significato eccezionale delle deroghe che possono essere introdotte in stretta aderenza a quell’interesse. Chi ricordi le gravi ferite portate al diritto di emigrare, per ragioni militariste o razziste, vorrà riconoscere la necessità che domani sia preservato da altri pericoli il diritto dell’uomo alla piena espansione della propria personalità e quindi il diritto di partecipare alla vita della comunità dei popoli da parte di chi, per dirla con Mazzini, può amare tutte le patrie perché ama veramente la propria….”.
L’emendamento contribuirà alla scrittura dell’articolo 35, il quale afferma anche che la Repubblica “Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro”. Anche perché l’Italia, quale Paese di emigrazione, desidera, come spiega Angela Maria Guidi Cingolani, deputata della Costituente, “che le condizioni di lavoro degli altri paesi siano il più possibile elevate, in modo da ottenere ai propri emigranti condizioni altrettanto buone”. “…e tutela il lavoro italiano all’estero”, conclude infatti l’art. 35.
Poi la lezione è stata rimossa per tante ragioni che qui sarebbe lungo indagare. Ma sarebbe meglio rimpararla.