STRANIERA CHE FUGGE DAL MATRIMONIO FORZATO MERITA LA PROTEZIONE INTERNAZIONALE

30 Gen 2014

 

di M. Elisabetta Vandelli

Una donna di nazionalità nigeriana si è rivolta alla Suprema Corte di Cassazione per impugnare il diniego di protezione internazionale deliberato dalla competente commissione territoriale, chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiato o, in subordine, della protezione sussidiaria o della protezione umanitaria.

La ricorrente è fuggita dal paese di origine a causa del grave pericolo in cui versava per le violenze subite ad opera del padre e della matrigna, i quali avevano cercato di imporle un matrimonio forzato con un uomo di 72 anni e, al suo rifiuto, le avevano impedito di frequentare la scuola, giungendo poi a farla rapire e a farla portare, insieme al fidanzato, in casa del suo pretendente, il quale aveva cercato di violentarla, mentre il fidanzato – già in precedenza arrestato arbitrariamente dalla polizia – era stato malmenato.

Il Tribunale, e successivamente anche la Corte d’Appello triestina, hanno respinto rispettivamente il ricorso e il reclamo presentati dalla cittadina nigeriana osservando che la richiedente non avesse specificato i fatti persecutori o il danno grave che l’avevano indotta a fuggire dalla Nigeria.

In particolare si contestava alla donna che i maltrattamenti subiti nel paese di origine dalla stessa, poiché non posti in essere direttamente dallo Stato o dai suoi apparati, non configuravano la persecuzione o il danno grave comportanti il diritto al protezione internazionale. La motivazione addotta dai due Tribunali specificava che la persecuzione o il danno grave devono essere posti in essere direttamente dallo Stato, da partiti o organizzazioni che controllano lo Stato o soggetti non statuali qualora lo Stato, o chi lo controlla, non voglia fornire protezione alla vittima di persecuzione o danno grave. Per tali motivi non ritenevano che la cittadina Nigeriana avesse diritto ad alcuna delle forme di protezione internazionale o della protezione umanitaria posto che non aveva subito persecuzioni o danni gravi posti in essere direttamente da organi Statali.

Di diverso orientamento la Suprema Corte di Cassazione Civile a cui la donna si è rivolta nel grado di giudizio successivo, impugnando il rigetto, che ha accolto il ricorso della donna con l’ ordinanza n. 25873/2013.

In questa pronuncia la Cassazione ha dato un’interpretazione innovativa delle leggi in materia di rifugiati provenienti dai paesi extra comunitari, assumendo una posizione diametralmente opposta a quelle del Tribunale e della Corte di Appello di Trieste. Nello specifico la Suprema Corte ha ritenuto che, anche in mancanza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato del cittadino extracomunitario o apolide, lo Stato italiano è tenuto a riconoscere, ai sensi del Decreto legislativo n. 251/ 2007, la protezione sussidiaria anche se la violenza e il danno grave non provengono dallo Stato.

Nel caso di specie, la costrizione della cittadina nigeriana ad un matrimonio forzato nel Paese di origine, costituisce grave violazione della sua dignità, e dunque trattamento degradante che configura a sua volta danno grave ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria. Ad ogni buon conto, infatti, la minaccia di un danno grave può provenire anche da soggetti privati, come i familiari stessi della vittima, quando lo Stato non sia in grado di fornire la protezione adeguata.

Pertanto, anche se non poteva essere concesso l’asilo politico, la donna aveva diritto comunque alla protezione sussidiaria. Questo perché, spiega la Cassazione, la protezione sussidiaria è accordata al cittadino di un Paese non appartenente all’Unione europea o apolide che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato, ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva in precedenza la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno, e che per questo motivo non può o non vuole avvalersi della protezione di detto Paese. L’art. 14 Decreto n. 251/2007 definisce quale danno grave, subito dalla persona in fuga dal proprio Paese, la pena di morte, la tortura o altra forma di trattamento inumano o degradante ai suoi danni all’interno del Paese di origine, oltre che la minaccia grave e individuale alla vita e alla persona derivante da violenza indiscriminata in condizioni di conflitto armato, interno od internazionale.

image_print

Articoli correlati

22 Lug 2025 cgil modena

IL SEGRETARIO CGIL DANIELE DIECI: LA CONSULTA CONFERMA LA NOSTRA RICHIESTA DI REFERENDUM

“La Corte Costituzionale ha giudicato incostituzionale mantenere il tetto delle sei mensilità di risarcimento in caso di licenziamento illegittimo. Esattamente […]

22 Lug 2025 agricoltura

CAMPAGNE MODENESI, LE BRIGATE DEL LAVORO FLAI CGIL PORTANO I “DIRITTI IN CAMPO”

E’ partita in questi giorni la campagna Diritti in campo delle Brigate del lavoro Flai Cgil Modena che vede impegnati […]

17 Lug 2025 affitti brevi

FEDERCONSUMATORI E SUNIA DI MODENA SUI CONTROLLI SVOLTI DALLA POLIZIA LOCALE IN MATERIA DI AFFITTI BREVI/TURISTICI

Apprendiamo da un comunicato stampa del Comune di Modena dell’attività ispettiva svolta dalla Polizia Locale nei confronti dei circa 700/800 […]