12 Mar 2015
di Arturo Ghinelli
Dallo studio dell’ISMU sull’anno scolastico 2013-2014, “Alunni con cittadinanza non italiana. Tra difficoltà e successi”, risulta che sono 803mila gli alunni con cittadinanza non italiana, il 9% del totale. Ma l’anno scorso per la prima volta i nati in Italia erano il 51,7% dei figli dei migranti nel nostro sistema scolastico. E questa è la prima informazione che i politici non hanno ancora capito. Infatti continuano ad affrontare il discorso sugli studenti stranieri partendo solo dalle difficoltà dell’integrazione non considerando che per il successo scolastico le seconde generazioni si stanno avvicinando ai tassi dei coetanei con cittadinanza italiana. Sempre grazie al dato che le seconde generazioni sono diventate prime, si è avuto il sorpasso, come frequenza, degli istituti tecnici rispetto ai professionali e un aumento di presenza nei licei. Un’altra novità è rappresentata dal passaggio all’Università. Sono più gli studenti stranieri provenienti dai tecnici e dai professionali che si iscrivono all’università rispetto agli italiani e questo probabilmente perché le famiglie immigrate credono nell’istruzione come leva di mobilità sociale, mentre quelle italiane hanno perso molte speranze in proposito. Inoltre la ricerca indica che gli alunni italiani non vanno meglio in matematica e in Campania superano in termini di successo i ragazzi italiani. Infatti è nelle regioni del Sud che sono più alti i tassi di abbandono scolastico, quelle stesse regioni in cui la percentuale di studenti di origine straniera è più bassa che in altre regioni. Quindi anche gli abbandoni non sono una caratteristica degli alunni con cittadinanza non italiana.
Il sorpasso delle seconde generazioni ha anche rivelato come la barriera linguistica sia un falso problema e nasconda in realtà un pregiudizio duro a morire, da parte dei docenti e del sistema scolastico che con l’orientamento indirizza verso i professionali a prescindere dal successo scolastico. Il problema linguistico esiste per quei ragazzi che arrivano adolescenti nel nostro sistema scolastico. In questi casi è il sistema scolastico a non attuare dispositivi di aiuto immediato senza lasciare per mesi un alunno cinese in silenzio seduto in un banco. L’insegnamento dell’italiano ai ragazzi stranieri non è ancora strutturato uniformemente secondo un piano comune a tutte le scuole, per cui capitare in un istituto piuttosto che in un altro può fare molta differenza. Senza contare che l’intervento delle scuole spesso si limita al raggiungimento di una competenza comunicativa minima, per raggiungere la quale basterebbe trascorrere la ricreazione e il tempo libero insieme ai coetanei italiani. La scuola dovrebbe perseguire l’obiettivo di quella che Graziella Favaro chiama “la lingua per lo studio”, indispensabile premessa al successo scolastico. Questa era una delle 10 azioni contenute nel documento del MIUR del 2007 “La via italiana alla scuola interculturale” che non ci sono mai state e che, pur nella crisi economica, potevano trovare risorse anche piccole per essere portate avanti.
L’indagine ISMU evidenzia alcune situazioni complesse che andrebbero dipanate e affrontate in modo differenziato. Ad esempio il recente aumento di neoentrati può essere collegato con l’incremento significativo dei Minori stranieri non accompagnati che ha interessato l’Italia nel 2014. Secondo i dati della Direzione Immigrazione del Ministero del Lavoro al 31.12.2014 si è registrata una presenza di 10536 Msna: i l più alto numero mai registrato in Italia. Il 90,7% è di età compresa tra i 15 e i 17 anni e il 94,5 è costituito da maschi. Di questi minori non si hanno dati specifici relativi all’inserimento scolastico, ma laddove è avvenuto si tratta sicuramente di un inserimento problematico visto che si tratta di adolescenti con alle spalle anni di scuola nel proprio paese d’origine e quindi con sistemi scolastici diversi.
Ci sono poi 510 su 56mila scuole nelle quali la percentuale degli alunni non italiani supera il 50%, che si trovano in situazione critica perché sono a rischio di abbandono delle famiglie italiane e degli stessi studenti stranieri e non, in quanto sono a rischio di diventare o essere considerate scuole di serie B. Ovviamente la situazione cambia se si tratta di scuole dell’infanzia o di istituti superiori,se gli alunni stranieri sono nati in Italia o sono neoentrati, se la scuola si trova al Nord o al Sud, se il contesto sociale in cui opera collabora o emargina.
GLI ALUNNI STRANIERI CON DISABILITÀ
Nel 2007/08 gli alunni stranieri con disabilità erano 11.760, nel 2013/14 sono 26.626; un aumento notevolissimo che in parte si spiega con il prolungamento dell’obbligo scolastico, anche gli alunni con disabilità frequentano un maggior numero di anni anche oltre il biennio obbligatorio. Tuttavia queste spiegazioni non giustificano il forte aumento delle certificazioni per disabilità. Per affrontare in maniera inclusiva il problema, la strada non è quella di accentuare un approccio di tipo medicalizzante ma è importante far leva su strategie e azioni didattiche specifiche e individualizzate.
GLI ALUNNI ROM
Nello studio si utilizza, per brevità, la definizione di “alunni rom” e si sottolinea che non sono disponibili dati relativi alla distinzione tra coloro che sono di cittadinanza italiana e coloro che non lo sono: secondo alcune stime, più della metà degli studenti sarebbe in possesso della cittadinanza italiana. La definizione di “nomadi” è invece del tutto imprecisa e superata in quanto molti degli appartenenti alle comunità rom hanno perso il carattere nomade e vivono da generazioni negli stessi territori e dunque sono stanziali. Oltre al tema stanzialità/nomadismo vi sono molti altri aspetti che differenziano quelle che chiamiamo comunità o gruppi rom: la lingua, la religione, la provenienza, le abitudini o pratiche sociali. Una varietà di differenze che suggeriscono di non generalizzare e distinguere sempre le diverse situazioni adottando di conseguenza politiche e percorsi educativi e didattici differenziati.