TRIBUNALE DI TORINO SUL TRATTENIMENTO NEL CIE DI UN CITTADINO ALBANESE AFFETTO DA GRAVI DISTUIRBI PSICHICI

12 Mar 2013

 

di M. Elisabetta Vandelli

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Il trattenimento nei CIE è una indiscutibile forma di restrizione della libertà personale.

La destinazione dei centri è quella « di evitare la dispersione degli immigrati irregolari sul territorio e di consentire la materiale esecuzione, da parte delle Forze dell’ordine, dei provvedimenti di espulsione emessi nei confronti degli irregolari » (ne prende atto la Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica, «Rapporto sullo stato dei diritti umani negli istituti penitenziari e nei centri di accoglienza e trattenimento per migranti in Italia», approvato il 6 marzo 2012, p. 127).

Il trattenimento è oggi concetto normativamente indefinito e decisamente scarso: labili paiono le possibilità di darne una lettura che sia in linea col dettato costituzionale. L’art. 14 c.5 delinea un orizzonte temporale potenzialmente esteso a 18 mesi, ossia un tempo rispetto al quale diventa imprescindibile stabilire per legge le modalità di limitazione della libertà personale. Un fatto –già grave-è non definire le modalità di trattenimento di soggetti che, al massimo, potrebbero restare nei centri non più di 15 giorni; un fatto diverso è non organizzare un centro in cui le persone potrebbero dover trascorrere diversi mesi. Le assolute carenze organizzative, le difficoltà di assistenza, il tenore precario e perennemente emergenziale di questa strutture rispetto ad un individuo che vi permanga a lungo moltiplicano il loro effetto afflittivo esponenzialmente.

A maggior ragione di afflizione non si dovrebbe trattare laddove non ci sia reato (e colpevolezza, dunque).

Inoltre il principio Cotituzionale di riserva di legge è radicalmente compromesso dalla disciplina legislativa del trattenimento nella parte in cui, oltre ai «casi», non disciplina i «modi» di incisione della libertà personale, diritto inviolabile di ogni uomo.

In questo contesto si inserisce un importante provvedimento del Tribunale di Torino, chiamato a decidere sulla richiesta di proroga del trattenimento nel Cie di Torino di un cittadino albanese affetto da disturbo borderline della personalità, con un quadro clinico precario (ripetuti ricoveri in cliniche psichiatriche e pregressi tentativi di suicidio).

Nonostante la grave malattia di cui il soggetto è affetto, veniva comunque ritenuto idoneo al trattenimento presso il Centro.

All’ esito dell’ udienza, però, il Giudice adito ha prorogato il trattenimento per soli 7 giorni, anziché i 30 giorni originari, ritenendo che tale periodo fosse funzionale a consentire la valutazione aggiornata delle condizioni di salute del cittadino albanese.

Infatti il Tribunale ritiene necessaria, per decidere in merito ad una proroga più lunga del trattenimento nel Cie, una relazione clinica che metta in luce se le condizioni di salute del soggetto siano compatibili o meno con il trattenimento presso il Centro, “avendo riguardo al tipo di assistenza e di interventi” che la struttura del Cie di Torino è in grado di assicurare al soggetto trattenuto.

Argomento questo raramente toccato dalla magistratura ma che spesso viene preso in considerazione nelle denunce delle condizioni di restrizione all’interno dei Cie anche in merito alla violazione dell’art. 3 CEDU per cui “nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”.

Ai sensi dell’art. 3 della Convenzione, infatti, tutti i detenuti hanno il diritto di vivere in condizioni di detenzione compatibili con il rispetto della dignità umana.

Le autorità hanno, pertanto, l’obbligo di proteggere il benessere fisico delle persone private della libertà personale, garantendo loro anche la necessaria assistenza medica. In tal senso, costituisce un trattamento degradante ai sensi dell’art. 3 CEDU il fatto stesso che ad un detenuto non sia stata garantita l’assistenza medica di cui necessita.

 http://www.asgi.it/home_asgi.php?n=2613&l=it

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